di Vijay Prashad e Jie Xiong
Traduzione di Lorenzo Battisti per Marx 21
Mentre la Cina conquista l’iniziativa dell’innovazione tecnologica, gli Stati Uniti hanno mobilitato un’arma diplomatica legata ai diritti per contrattaccare.
In questi giorni si sente molto parlare di una “sconosciuta” regione della Cina e di un popolo che sarebbe oppresso e rinchiuso in campi di concentramento. Come non sentire un sentimento di odio verso chi opprime e rinchiude? In questo articolo il marxista indiano Prashad e l’esperto di tecnologia Xiong inquadrano questa campagna anti cinese nel sistema mondiale di guerra degli Stati Uniti contro chi minaccia il proprio regno mondiale esclusivo.
Il 22 marzo, il segretario di Stato americano Antony Blinken ha autorizzato sanzioni contro Wang Junzheng, il segretario del Comitato del Partito Comunista Cinese del Corpo di Produzione e Costruzione dello Xinjiang (XPCC), e Chen Mingguo, direttore dell’Ufficio di Pubblica Sicurezza dello Xinjiang (XPSB).
Queste sanzioni, ha detto Blinken, sono dovute al fatto che Wang e Chen sono accusati di essere parte del “genocidio e dei crimini contro l’umanità nello Xinjiang”. Il Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti ha seguito l’esempio con le proprie sanzioni.
Wang e Mingguo hanno risposto condannando queste sanzioni, che non sono state imposte solo dagli Stati Uniti, ma anche da Canada, Regno Unito e Unione europea. Wang ha definito le sanzioni “una grossolana calunnia”, mentre Chen ha detto di essere “molto orgoglioso di essere stato sanzionato da questi paesi”.
Nell’ottobre 2011, l’allora segretario di stato americano Hillary Clinton ha annunciato un ” pivot to Asia”, con la Cina al centro del nuovo allineamento. Clinton ha detto molte volte – anche alle Hawaii nel novembre 2011 – che l’amministrazione dell’ex presidente Barack Obama voleva sviluppare “un rapporto positivo e cooperativo con la Cina”, l’accumulo militare degli Stati Uniti lungo le coste dell’Asia racconta una storia diversa.
La Quadrennial Defense Review 2010 degli Stati Uniti ha notato “la crescente presenza e influenza della Cina negli affari economici e di sicurezza regionali e globali” e l’ha definita “uno degli aspetti più significativi del panorama strategico in evoluzione”. Nel 2016, l’ammiraglio della marina americana Harry Harris, capo del comando del Pacifico, ha detto che gli Stati Uniti erano pronti ad “affrontare la Cina”, un’affermazione resa forte dall’accumulo militare degli Stati Uniti intorno alla Cina.
Le amministrazioni di Donald Trump e Joe Biden hanno ampiamente seguito la politica del “pivot to Asia”, con un’enfasi speciale sulla Cina. Gli Stati Uniti hanno faticato a tenere il passo con i rapidi progressi scientifici e tecnologici della Cina e hanno pochi strumenti intellettuali o industriali per competere.
Questo è il motivo per cui hanno cercato di bloccare i progressi della Cina usando il potere diplomatico e politico, e attraverso una guerra informativa; questi elementi compongono quella che viene chiamata una “guerra ibrida”.
Guerra informativa
Prima di un evento del marzo 2019 co-ospitato dalla Missione degli Stati Uniti presso le Organizzazioni Internazionali a Ginevra, la maggior parte delle persone negli Stati Uniti erano in gran parte all’oscuro dell’esistenza della regione dello Xinjiang in Cina, per non parlare dei 13 milioni di persone Uiguri (una delle 55 minoranze etniche riconosciute della Cina).
Dato che gli uiguri sono la maggioranza demografica in questa provincia più occidentale della Cina, il nome ufficiale dell’unità amministrativa è la regione autonoma dello Xinjiang Uighur.
L’evento di marzo 2019 ha visto la partecipazione di Adrian Zenz, ricercatore tedesco e senior fellow in studi sulla Cina presso la Victims of Communism Memorial Foundation, un’organizzazione fondata nel 1993 dal governo statunitense per promuovere opinioni anticomuniste. Nell’aprile 2020, questa fondazione – contro ogni evidenza – ha accusato la Cina di essere responsabile delle morti mondiali dovute alla diffusione del Covid-19.
Zenz è anche associato al think-tank conservatore sulla politica di difesa, la Jamestown Foundation, fondata da William Geimer, che era vicino all’amministrazione statunitense del defunto Ronald Reagan.
Zenz e Ethan Gutmann, un altro ricercatore della Victims of Communism Memorial Foundation, hanno continuato a ripetere le loro conclusioni sul “genocidio” nello Xinjiang al Congresso USA e in una serie di pubblicazioni mainstream.
Ospitato dalla British Broadcasting Corporation e da Democracy Now, Zenz ha fornito quella che sembrava una documentazione delle atrocità commesse dalle “autorità cinesi” contro la popolazione uigura.
Zenz e Gutmann sarebbero stati affiancati da organizzazioni finanziate dai governi occidentali ma che – come organizzazioni non governative – si atteggiano a gruppi indipendenti di ricerca e difesa (come il Global Center for the Responsibility to Protect e l’Uighur Human Rights Project; il primo è finanziato dai governi occidentali e il secondo dal National Endowment for Democracy del governo statunitense).
Nel giugno dello scorso anno, l’allora segretario di stato americano Mike Pompeo ha attaccato il governo cinese, basando le sue dichiarazioni sullo Xinjiang sulle “scioccanti rivelazioni del ricercatore tedesco Adrian Zenz”.
Zenz fornisce una serie di documenti scientificamente dubbi e politicamente carichi, che sono poi usati come fatti dal governo degli Stati Uniti nella sua guerra informativa contro la Cina. Chiunque sollevi domande sulle affermazioni di Zenz è, nel frattempo, emarginato come un teorico della cospirazione.
Guerra diplomatica ed economica
La guerra informativa del governo statunitense contro la Cina ha prodotto il “fatto” che c’è un genocidio nello Xinjiang. Una volta che questo è stato stabilito, aiuta a sviluppare la guerra diplomatica ed economica.
Il 22 marzo di quest’anno, lo stesso giorno delle sanzioni statunitensi, il Consiglio dell’Unione Europea ha imposto unilateralmente il congelamento dei beni e il divieto di viaggio a quattro funzionari del governo cinese, tra cui Wang Junzheng e Chen Mingguo, nonché Wang Mingshan e Zhu Hailun.
Anche il Regno Unito e il Canada si sono uniti a questa impresa quel giorno. Sembrava essere un tentativo coordinato di dipingere la Cina come un paese che viola i diritti umani. Questo assalto è arrivato poco dopo che la Cina aveva raggiunto un importante obiettivo per i diritti umani, sollevando 850 milioni di persone dalla povertà assoluta. Il governo degli Stati Uniti e i suoi media hanno cercato di sfidare questo notevole risultato.
Trump ha spinto una guerra commerciale con la Cina non appena è entrato in carica nel gennaio 2017; il suo quadro politico rimane in vigore sotto Biden.
Per mettere insieme la guerra commerciale e la guerra di informazione dello Xinjiang, a metà dicembre 2020, Zenz e il Newlines Institute for Strategy and Policy (ex Center for Global Policy) hanno pubblicato un brief di intelligence sul “lavoro coercitivo nello Xinjiang”.
Le affermazioni di questo briefing – basate su un articolo del Wall Street Journal del 2019 sulle catene di approvvigionamento e lo Xinjiang – hanno creato una tempesta mediatica in Occidente, amplificata da Reuters e poi ripresa da molte testate ampiamente lette. Ha portato al divieto del governo americano sul cotone dello Xinjiang.
Un terzo del tessile e dell’abbigliamento mondiale proviene dalla Cina, con il paese che rappresenta 120 miliardi di dollari di esportazioni di questi prodotti all’anno e 300 miliardi di dollari di esportazioni di tutte le merci all’anno.
Secondo l’Ufficio Nazionale di Statistica cinese, l’87% della produzione totale di cotone della Cina proviene dallo Xinjiang. La maggior parte del cotone di alta qualità dello Xinjiang – e i tessuti prodotti con esso all’interno della Cina – vanno alle aziende di abbigliamento occidentali, come H&M e Zara.
Nel 2009, molte di queste aziende hanno creato la Better Cotton Initiative (BCI), che – fino all’anno scorso – è stata ottimista sugli sviluppi nello Xinjiang (comprese le cooperative di piccoli agricoltori nello Xinjiang). Appena il 26 marzo di quest’anno, la BCI ha fatto una dichiarazione chiara: “Dal 2012, il sito del progetto Xinjiang ha eseguito controlli di credibilità in seconda parte e verifiche di terzi nel corso degli anni, e non ha mai trovato un solo caso relativo a episodi di lavoro forzato”.
Nonostante la recente dichiarazione fiduciosa della BCI e il suo ottimismo, le cose stanno rapidamente cambiando per i coltivatori di cotone dello Xinjiang, poiché la BCI sembra essere d’accordo con l’intensificarsi della guerra ibrida degli Stati Uniti contro la Cina. La BCI ha chiuso la sua pagina sul suo lavoro in Cina, ha accusato la Cina di “lavoro forzato” e altre violazioni dei diritti umani, e ha istituito una task force sul lavoro forzato e sul lavoro dignitoso.
I funzionari del governo dello Xinjiang hanno contestato queste affermazioni, dicendo che gran parte del lavoro nei campi per il cotone nello Xinjiang è già stato sostituito da macchine (molte delle quali importate dalla ditta statunitense John Deere).
Un recente libro curato da Hua Wang e Hafeezullah Memon, Cotton Science and Processing Technology, conferma questo punto, così come una serie di rapporti dei media prima del 2019. Ma fatti come questi non sembrano avere alcuna possibilità nella schiacciante guerra dell’informazione. Lo Xinjiang – grande due volte e mezzo la Francia – è ora nell’epicentro di una guerra fredda non di sua creazione.
Questo articolo è stato prodotto da Globetrotter, che lo ha fornito ad Asia Times.
Vijay Prashad è uno storico, editore e giornalista indiano. È un collaboratore scientifico e corrispondente principale di Globetrotter.
Jie Xiong è un tecnologo, traduttore ed editore cinese. Ha partecipato al processo di digitalizzazione di molte imprese leader in Cina. È uno dei fondatori della Shanghai Maku Cultural Communications Ltd, una società che presenta la Cina ai lettori del Sud del mondo.
22 Aprile 2021