di Gianni Barbacetto
Nel pomeriggio del 12 dicembre 1969, 50 anni fa, un uomo si avvicina a un camion Om fermo in piazza Fontana. Afferra una borsa, entra nella Banca nazionale dell’agricoltura. Quando esce, non ha più la borsa. Si allontana. Dopo non molto, deflagra lo scoppio che segnerà la storia d’Italia.
Chi è quell’uomo? Lo hanno cercato – o protetto – per 50 anni. L’uomo della bomba era Pietro Valpreda, ballerino anarchico, “la belva umana”, secondo i giornali del dicembre 1969 e il tg di Bruno Vespa, era lui il colpevole designato, ma innocente. È un fascista di Ordine nuovo, invece, secondo la sentenza della Cassazione del 2005 che indica nel gruppo di Franco Freda e Giovanni Ventura i responsabili della strage, non più processabili perché definitivamente assolti nel 1987.
Chi è, allora, l’uomo che entra nella banca con la borsa piena di esplosivo? È chiamato “il Paracadutista”. Era un militante di Ordine nuovo di Verona. Era in stretti rapporti con il gruppo milanese La Fenice di Giancarlo Rognoni e con l’ordinovista padovano Massimiliano Fachini. Tra il 1968 e il 1969 ha il compito di mettersi in contatto con i gruppi dell’estrema sinistra veronese.
È la strategia di intorbidare le acque, coinvolgere e infiltrare i “rossi”, i maoisti, gli anarchici, a cui devono essere attribuite le azioni violente che i “neri” hanno in programma. Operazioni “false flag”, sotto falsa bandiera, teorizzate dagli ambienti militari atlantici e protette dai servizi segreti dell’Occidente. Creare disordine, attribuirlo ai “rossi”, attendere la richiesta d’ordine della Nazione: un golpe, nella speranza di alcuni, una svolta autoritaria, per altri.
Chi è “il Paracadutista”? Prova a dargli un nome – dopo 50 anni di processi e di inchieste segnate da depistaggi, esfiltrazioni, protezioni, rimozioni – il magistrato Guido Salvini, che condusse la terza indagine sulla strage, negli anni Novanta. Nel suo libro La maledizione di piazza Fontana, scritto con Andrea Sceresini ed edito da Chiarelettere, racconta quanto gli ha confidato Giampaolo Stimamiglio, uomo di Ordine nuovo di Verona, camerata del “Paracadutista” e grande amico di Giovanni Ventura.
È proprio Ventura a svelare a Stimamiglio i segreti di piazza Fontana: “È stato Zorzi a trasportare gli ordigni”, racconta. Delfo Zorzi, ordinovista di Mestre, oggi vive ricco in Giappone. È stato processato per la strage, ma assolto. “Lui non è entrato in banca, è entrato un ragazzo giovane… il figlio di un funzionario di banca”.
Chi è? Anche Carlo Digilio, l’esperto di armi della cellula di Ordine nuovo di Mestre, riferisce quanto gli ha confidato Zorzi: “Guarda che io ho partecipato direttamente all’operazione di collocazione della bomba alla Banca nazionale dell’agricoltura. Me ne sono occupato personalmente e non è stata cosa facile, mi ha aiutato il figlio di un direttore di banca”. Conferma anche un personaggio che Salvini chiama “l’Antiquario”: “Sì, è il Paracadutista che stava fuori dal camion. È lui che ha preso in mano quella borsa. È un segreto che sanno pochissime persone”.
Dunque Ventura, Zorzi, Stimamiglio, Digilio, “l’Antiquario” parlano del “Paracadutista” e del “figlio di un direttore di banca”. Unisce i punti Salvini: il Paracadutista e il figlio del funzionario di banca sono la stessa persona. “Il padre del Paracadutista lavorava in banca, era funzionario della Cassa di risparmio di Verona, Vicenza e Belluno”.
Ecco il ritratto che ne fa Salvini: “Nel 1969 il Paracadutista aveva poco più di vent’anni. Era un giovane benestante: il padre, col suo stipendio di dirigente, poteva assicurare alla famiglia un tenore di vita piuttosto agiato. Viveva a Verona, studiava alle scuole serali e frequentava la cellula di Ordine nuovo. Era considerato un attivista di primo piano, un elemento operativo. Aveva svolto il servizio militare nei corpi d’élite e non disdegnava l’uso della violenza”.
La sua ex fidanzata testimonia a un processo celebrato nel 1971 per alcuni piccoli attentati e assalti degli ordinovisti veronesi. Racconta: “Nel dicembre 1969 il mio fidanzato si assentò dalla scuola per cinque o sei giorni. Quando lo rividi gli chiesi il motivo di tali assenze e mi rispose che era stato a Milano”. Tra quei giorni d’assenza c’è anche il 12 dicembre. Il certificato penale del Paracadutista è piuttosto corposo. Nel 1963, a soli 17 anni, la questura di Verona lo denuncia per vilipendio delle Forze di liberazione: era stato sorpreso a sputare sul monumento al Partigiano. Quando Ordine nuovo, nel febbraio 1969, inaugura la sua sede di Verona, è il Paracadutista a intestarsi il contratto di affitto.
Partecipa all’assalto alla facoltà di Magistero di Verona, in cui rimangono feriti tre attivisti di sinistra: viene individuato e arrestato. È tra gli imputati del processo celebrato a Roma contro Ordine nuovo: nel 1973 viene condannato a 3 anni di carcere, ridotti a 2 in appello. Ma nel frattempo è scappato in Grecia, dove con altri camerati latitanti apre un ristorante italiano e un’agenzia di viaggi. Viene espulso dalla Grecia nel 1975, dopo la caduta del regime dei Colonnelli. Il Paracadutista si trasferisce in Svizzera, poi fa ritorno in Italia. “Nessuno si premurerà più di disturbarlo”, conclude Salvini. Il suo nome è Claudio Bizzarri.
Il Fatto quotidiano, 29 novembre 2019