DOCUMENTO PREPARATORIO CONFERENZA OPERAIA
PER UN SINDACATO DI CLASSE
INTRODUZIONE
La società di oggi vive negli anni del pensiero unico capitalista, del capitalismo come unico orizzonte possibile. Abbiamo subito e stiamo subendo la più grande operazione ideologica di rimozione e revisione della storia del movimento operaio, delle sue lotte e delle sue conquiste. Ma non può esistere una operazione così ben congegnata, da poter nascondere agli occhi degli uomini la debolezza di questo sistema. Le crisi intrinseche nella natura del sistema capitalista, non possono più essere celate. Questo sistema economico-sociale che vive dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo, che punta alla realizzazione del profitto anziché al soddisfacimento delle necessità e dei bisogni, che distribuisce la ricchezza prodotta in modo estremamente ineguale, facendo oltremodo arricchire i ricchi ed impoverire i poveri, oggi si mostra per ciò che realmente è: fallimentare. Se prima – negli anni delle conquiste studentesche e operaie, negli anni in cui esisteva ancora un margine per il riformismo – le contraddizioni del sistema non si riuscivano a vedere perché non si sentivano sulla pelle, rimanendo qualcosa di astratto, oggi l’incubo della disoccupazione, il baratro della precarietà e le violenze delle guerre imperialiste trascinano il proletariato verso un periodo fortemente oscuro. Questa fase anche se può sembrare quanto mai negativa, in realtà nasconde i suoi lati positivi. La povertà, infatti, spinge al desiderio del cambiamento, dell’azione, della rivoluzione. La liberazione viene sempre dal basso, dai poveri, mai dai ricchi Questa fase per i comunisti è fortemente decisiva. È il momento in cui la forza delle idee deve vincere la condizione materiale di povertà e trascinare verso il cambiamento, verso la rivoluzione, verso il socialismo. È il momento in cui una linea politica salda, di classe, insieme ad una forte organizzazione segnerà le sorti del nostro operato. Da marxisti-leninisti siamo consapevoli che il lavoro di riappropriazione della nostra storia, dei nostri simboli e dei nostri soggetti rivoluzionari sarà irta di difficoltà; ma ancor di più siamo consapevoli che essa debba essere imprescindibile. Non abbiamo mai perso di vista il principale soggetto rivoluzionario, il proletariato, e mai le nostre idee tradiranno questo soggetto. L’idea del comunismo infatti non è altro che la condizione di protagonismo delle masse e non esiste niente di più attuale. Anche se coscienti delle sconfitte che ha subito la classe operaia negli ultimi decenni, che ne hanno sfilacciato l’unità e la perentorietà nella lotta, non dobbiamo desistere dall’idea di ricostruire l’unità operaia anche attraverso la costituzione di un sindacato di classe, che rimetta a fuoco le nostre parole d’ordine, da troppo tempo abbandonate o viste in modo confuso.
PREMESSE TEORICHE
Con lo sviluppo del pensiero leninista all’inizio del XX secolo si rafforza la lotta dei comunisti per dare un orientamento di classe all’interno del movimento sindacale, con toni specifici di lotta politica e teorica contro ogni riformismo. Il ruolo del sindacato è un ruolo di assoluta delicatezza e importanza strategica. I sindacati, all’inizio dello sviluppo del capitalismo, hanno costituito un eccezionale progresso per la classe operaia, in quanto hanno rappresentato il passaggio dalla dispersione e dalla impotenza degli operai, ai primi germi dell’unità di classe. Quando poi ha cominciato a svilupparsi la forma suprema dell’unità di classe, il partito rivoluzionario del proletariato, i sindacati hanno iniziato a rivelare inevitabilmente alcuni tratti reazionari, un certo carattere corporativo. Ma in tutti i paesi del mondo il proletariato si è sviluppato e poteva svilupparsi solo attraverso il sindacato, solo tramite l’azione reciproca del partito della classe operaia e del sindacato. I comunisti non devono dimenticare mai che i sindacati devono essere una “ scuola di comunismo”, una scuola preparatoria che addestra i proletari a compiere la loro dittatura. Spesso però quello che va considerato come uno degli strumenti essenziali per la costruzione dell’unità operaia è strumentalizzato ed egemonizzato dalla classe dominante. Così da strumento squisitamente rivoluzionario il sindacato diventa arma della borghesia, che devia le lotte operaie verso quella piccola conquista economica o quella piccola rivendicazione, che distoglie l’attenzione dalla lotta di classe e dal fine ultimo del socialismo. Questa degenerazione del sindacato assume un peso fondamentale anche nei momenti di sciopero, che diventano momenti isolati di rabbia. La costruzione di un sindacato di classe oggi, rappresenta la necessità della classe operaia di essere unita, di ritrovare una coscienza di classe e di lavorare attraverso un’ ottica di lotta di classe. Ogni momento operaio, guidato dal sindacato di classe, deve ritrovare la giusta importanza. Lo sciopero deve obbligare gli operai ad assumere un ruolo attivo, a discutere, a prendere decisioni, ad avere un ruolo pubblico. Nello sciopero l’operaio che fino al giorno prima si disinteressava del mondo è obbligato a guardare la realtà con altri occhi. Il padrone che lo licenzia, il poliziotto che arresta il suo compagno e che soffoca la sua dimostrazione di consapevolezza della sua condizione di sfruttato, gli impongono di spostare lo sguardo dal suo lavoro e dai ritmi intorno ai quali la sua vita è confinata. Nello sciopero l’operaio si deve riappropriare del suo tempo ed usarlo, in quanto classe, per accumulare forza e potere. Per la classe operaia lo sciopero non deve essere solo un’arma per scagliare l’offensiva, ma deve essere un’aula per il suo apprendimento politico. Lenin afferma “ ecco perché i socialisti chiamano lo sciopero una scuola di guerra, ma una scuola di guerra non è ancora la guerra”. Lo sciopero è un aspetto politico indispensabile per l’educazione rivoluzionaria delle masse, ma la politica rivoluzionaria non può limitarsi a ciò. Per quanto importanti e fondamentali, le lotte di fabbrica sono il punto di partenza non certo quello d’arrivo delle lotte operaie. Per essere realmente vincenti, le lotte devono puntare al cuore della questione: la conquista del potere politico al fine di spezzare la macchina burocratica e militare delle classi dominanti. Tutto ciò è possibile solo attraverso un salto qualitativo, salto che può essere dato solo da un elemento soggettivo: il partito comunista. La trasformazione da quantità delle lotte di fabbriche, in qualità delle lotte per il potere, non è il frutto di una graduale e spontanea evoluzione, ma di una forzatura politica che solo il partito può dare. A questo punto diventa fondamentale capire quale rapporto deve esserci tra il partito comunista e il sindacato di classe.
Lenin ne L’estremismo malattia infantile del comunismo dipinge la tattica bolscevica e i rapporti del partito bolscevico con i sindacati: «il partito poggia direttamente nel suo lavoro sui sindacati […] di fatto tutti gli organismi direttivi della stragrande maggioranza dei sindacati, e in prima linea naturalmente, il centro o ufficio sindacale di Russia (consiglio centrale dei sindacati di tutta la Russia), sono composte di comunisti e applicano tutte le direttive del partito. Si ha, in complesso, un apparato proletario, formalmente non comunista, flessibile e relativamente ampio, molto potente, attraverso il quale il partito è strettamente collegato con la classe e con le masse e attraverso il quale, sotto la guida del partito, si realizza la dittatura della classe. Senza il più stretto legame con i sindacati, senza il loro entusiastico appoggio, senza il loro lavoro pieno di abnegazione, non soltanto nell’organizzazione economica, ma anche in quella militare, non saremmo riusciti a governare il paese e a realizzare la dittatura del proletariato, non dico per due anni e mezzo ma neanche per due mesi e mezzo». Si evince chiaramente che avere un sindacato di classe che non sia guidato dal partito è condannare il nuovo soggetto sindacale potenzialmente rivoluzionario, al mutamento in soggetto egemonizzato dalla borghesia. Il partito deve essere avanguardia e sotto il suo controllo il sindacato deve essere avanguardia. Per centrare al meglio la questione, sarà bene capire il ruolo delle lotte economiche che il sindacato dovrà portare avanti e della lotta politica, che dovrà essere condotta dal partito e dal sindacato. Chiariamo la questione citando il Manifesto del Partito Comunista, Marx-Engels, 1848: «Fra lotta economica e lotta politica del proletariato non vi è opposizione. La lotta economica colpisce solo gli effetti del capitalismo: difende i lavoratori dalla necessità del Capitale di contrastare la caduta del saggio del profitto. La lotta di classe politica mira alla causa del problema: il rapporto di produzione Capitale-Lavoro. Ogni vittoria dei lavoratori nel campo della lotta economica è effimera. Lo mostra la storia del capitalismo e lo confermano questi ultimi anni in cui le conquiste operaie passate, frutto di dure lotte, sono una ad una distrutte dal padronato e dai suoi governi. Il solo modo che ha la classe lavoratrice per superare la sua condizione di sfruttamento e precarietà è passare dalla lotta contro gli effetti del capitalismo alla lotta contro il capitalismo stesso. La lotta politica è il coerente completamento della lotta economica. I comunisti quindi non strumentalizzano la lotta economica dei lavoratori per fini politici a loro estranei. I comunisti non hanno interessi distinti dagli interessi di tutto il proletariato (…) Si distinguono (…) solo per il fatto che (…) fanno valere gli interessi comuni, indipendenti dalla nazionalità, dell’intero proletariato (…) Per il fatto che sostengono costantemente l’interesse del movimento complessivo, attraverso i vari stadi di sviluppo percorsi dalla lotta fra proletariato e borghesia». È di notevole importanza sottolineare però che altrettanto fondamentale deve essere la creazione di Consigli di fabbrica. Scriveva Gramsci in un articolo su L’Ordine Nuovo, intitolato “Sindacati e consigli”: «La dittatura proletaria può incarnarsi in un tipo di organizzazione che sia specifico dell’attività propria dei produttori e non dei salariati, schiavi del capitale. Il Consiglio di fabbrica è la cellula prima di questa organizzazione. Poiché nel Consiglio tutte le branche del lavoro sono rappresentate, proporzionalmente al contributo che ogni mestiere e ogni branca di lavoro dà alla elaborazione dell’oggetto che la fabbrica produce per la collettività, l’istituzione è di classe, è sociale. La sua ragion d’essere è nel lavoro, è nella produzione industriale, in un fatto cioè permanente e non già nel salario, nella divisione delle classi, in un fatto cioè transitorio e che appunto si vuole superare. Perciò il Consiglio realizza l’unità della classe lavoratrice, dà alle masse una coesione e una forma che sono della stessa natura della coesione e della forma che la massa assume nell’organizzazione generale della società. Il Consiglio di fabbrica è il modello dello Stato proletario. Tutti i problemi che sono inerenti all’organizzazione dello Stato proletario, sono inerenti all’organizzazione del Consiglio. Nell’uno e nell’altro il concetto di cittadino decade, e subentra il concetto di compagno: la collaborazione per produrre bene e utilmente sviluppa la solidarietà, moltiplica i legami di affetto e fratellanza. Ognuno è indispensabile, ognuno è al suo posto, e ognuno ha una funzione e un posto. Anche il più ignorante e il più arretrato degli operai, anche il più vanitoso e il più “civile” degli ingegneri finisce col convincersi di questa verità nelle esperienze dell’organizzazione di fabbrica: tutti finiscono per acquistare una coscienza comunista per comprendere il gran passo in avanti che l’economia comunista rappresenta sull’economia capitalistica. Il Consiglio è il più idoneo organo di educazione reciproca e di sviluppo del nuovo spirito sociale che il proletariato sia riuscito a esprimere dall’esperienza viva e feconda della comunità di lavoro. La solidarietà operaia che nel sindacato si sviluppava nella lotta contro il capitalismo, nella sofferenza e nel sacrificio, nel Consiglio è positiva, è permanente, è incarnata anche nel più trascurabile dei momenti della produzione industriale, è contenuta nella coscienza gioiosa di essere un tutto organico, un sistema omogeneo e compatto che lavorando utilmente, che producendo disinteressatamente la ricchezza sociale, afferma la sua sovranità, attua il suo potere e la sua libertà creatrice della storia. L’esistenza di una organizzazione, nella quale la classe lavoratrice sia inquadrata nella sua omogeneità di classe produttrice, e la quale renda possibile una spontanea e libera fioritura di gerarchie e di individualità degne e capaci, avrà riflessi importanti e fondamentali nella costituzione e nello spirito che anima l’attività dei sindacati. Il Consiglio di fabbrica si fonda anch’esso sul mestiere. In ogni reparto gli operai si distinguono in squadre e ogni squadra è una unità di lavoro (di mestiere): il Consiglio è costituito appunto dai commissari che gli operai eleggono per mestiere (squadra) di reparto». Ma creare un fronte sindacale nuovo e realmente rivoluzionario significa abbandonare i sindacati reazionari?! Quanto questa mossa gioverebbe alla classe operaia? Il movimento comunista deve ricordare sempre che la proposizione spesso usata “il capitalismo è storicamente e politicamente superato” è assolutamente vera nella propaganda, ma per far sì che lo diventi anche nella pratica, bisogna lottare per lungo tempo sul terreno del capitalismo. Escludere la presenza comunista in quei sindacati che restano fedeli alle classi dominanti, vuol dire tralasciare una grossa fetta di proletariato al giogo e al dominio borghese. «Non lavorare all’interno dei sindacati reazionari significa abbandonare le masse operaie arretrate o non abbastanza evolute all’influenza dei capi reazionari, degli agenti della borghesia, dell’aristocrazia operaia, ossia degli operai imborghesiti» (cfr. lettera di Engels a Marx del 1858 a proposito degli operai inglesi). Ogni movimento comunista, che vuole definirsi tale, deve lavorare con la classe proletaria e per la classe proletaria, pertanto non può permettere di tralasciare il lavoro “più difficile” all’interno dei sindacati reazionari per istruire i proletari che ancora ne fanno parte.
ESPERIENZE INTERNAZIONALI
Ogni buon comunista non può che guardare le esperienze dei propri compagni all’estero e farle proprie, provando ad applicarle con i mezzi che le proprie forze gli consentono e nei tempi che la situazione nazionale e i rapporti di forza consentono nel proprio paese. Noi non possiamo che girare lo sguardo verso la Grecia, guardando molto positivamente l’esperienza del PAME ( Fronte Militante di Tutti i Lavoratori ), promossa dal partito comunista greco, il KKE. Così come in tutta l’Europa il KKE e il PAME lavorano in una situazione di egemonizzazione borghese, dove il messaggio dell’anticomunismo e del capitalismo come sola scelta di sistema, sono i cardini della operazione di conquista ideologica della classe proletaria. La lotta di classe in Grecia è sempre più aspra e dura e i militanti delle due organizzazioni sono sempre alla testa dei cortei, delle manifestazioni, dei presidi, alla guida delle lotte. La strategia del PAME è chiara: insistere sul lavoro nelle fabbriche, nelle aziende, nei quartieri, dando la priorità all’unificazione del movimento operaio e dei suoi alleati, dei lavoratori autonomi, dei contadini, per far in modo che i rapporti di forza possano cambiare. Ultimamente, infatti, ci sono stati importanti passi avanti nell’azione congiunta del PAME con i gruppi militanti di contadini, piccoli imprenditori, giovani e donne, nello sforzo di consolidare un blocco di alleanze sociali. Ciò ha portato alla creazione di centinaia di comitati popolari che svolgono una significativa azione nei quartieri, nelle città e nei paesi sui problemi delle famiglie. Secondo il suo sito, nel 2005 nel PAME erano 415.000 membri in totale. Nel giugno del 2012, secondo il Partito Comunista di Grecia, i sindacati PAME affiliati hanno 850.000 membri. In Venezuela dopo una fase convulsa che ha visto: un tentativo di colpo di stato l’11 aprile 2002 ed una serrata padronale nel dicembre precedente, entrambi diretti dal presidente della locale Confindustria Carmona e sostanzialmente appoggiati dalla burocrazia corrotta della CTV (Confederation dos Trabajadores Venezuelanos). I lavoratori venezuelani hanno così deciso nell’agosto del 2003 la costituzione di un nuovo sindacato, la UNT, che ha successivamente visto l’adesione di un numero sempre maggiore di organizzazioni di categoria e che attualmente rappresenta la maggioranza dei lavoratori organizzati venezuelani. I rappresentanti della UNT sono impegnati in questi mesi in una paziente e difficile operazione di controinformazione internazionale per vincere il silenzio e le bugie dei principali mezzi di informazione e, soprattutto, per stringere una rete di relazioni internazionali con tutti quei soggetti sindacali che si battono per i diritti del mondo del lavoro. La UNT, che oggi riunisce la maggioranza del movimento sindacale venezuelano, ha incentivato l’organizzazione dei lavoratori – il cui tasso di sindacalizzazione è aumentato dall’11% dell’anno 2001 al 23% del 2004 – ed è stata presente alle due ultime Conferenze Internazionali del Lavoro della OIL (Organizzazione Internazionale del Lavoro). Da queste esperienze emerge il fatto che la cosa più importante è l’orientamento delle lotte che si deve basare su di una linea antimonopolista e su obiettivi che rafforzino l’unità di classe e l’alleanza con i settori popolari per concentrare il massimo delle forze possibili per rovesciare il sistema dello sfruttamento e creare il potere operaio e popolare. Anche i fratelli di Spagna non sono rimasti indifferenti davanti al tema del sindacalismo. Infatti il partito comunista dei popoli di Spagna, il PCPE, si sta muovendo per la costruzione del CUO (Coordinamento Unità Operaia). Il progetto consiste nel riproporre l’esperienza greca del PAME.
CRITICA AI SINDACATI ATTUALI
E’ fuori di ogni dubbio che l’agire sindacale oggi è totalmente insufficiente a portare avanti azioni adeguate. Da una parte abbiamo le sigle sindacali CISL e UIL completamente pedisseque rispetto ai padroni, di cui ne sono diventate vere e proprie “complici”. La CGIL della ex craxiana Camusso – a suo tempo rimossa dall’incarico di segretaria nazionale FIOM (1995) dall’allora segretario nazionale Claudio Sabattini per aver firmato all’Alfa di Arese cassa integrazione per 1000 esuberi di sua iniziativa, senza aver interpellato nessuno della segreteria (vizio usuale considerando il più recente accordo del 28 giugno) – ha il compito di agire come valvola di sfogo nei momenti in cui la “pressione” sociale si fa troppo alta, così da contenerne la rabbia dei lavoratori. Emblematica è stata la questione dell’art.18 liquidata con inutile, simbolico sciopero di quattro ore effettuate a livello territoriale; giusto per dare l’impressione, e niente più, che qualcosa sia stato fatto. Dall’altra tutte quelle realtà che si rifanno al sindacalismo di base. Questi comitati di base pur partendo spesso da considerazioni politico-sindacali giuste, non riescono a coordinarsi in modo proficuo a livello nazionale, rimanendo circoscritte a livello locale e molto spesso imbrigliate in logiche di autosufficienza ed autoreferenzialità. Da tempo il sindacato ufficiale (CGIL-CISL-UIL) è diventato un sindacato che limita la propria autonomia nell’individuazione di criteri localistici sui quali stabilire aumenti salariali sempre più legati alla produttività aziendale. La sua forte burocratizzazione si palesa nel momento in cui la soluzione del problema del singolo lavoratore si sostituisce totalmente alla lotta collettiva. Questi sindacati, che con la riforma del sistema pensionistico e con i soldi dei lavoratori, si sono trasformati in modo sempre più evidente da organismi di rappresentanza a vere e proprie strutture economiche imprenditoriali. A livello strategico inoltre non è più concepibile che la sinistra sindacale si mobiliti solo e sempre a rimorchio della FIOM che da sola non può sostenere all’infinito lo scontro coi padroni e contemporaneamente sostenere gli attacchi della maggioranza “reazionaria” CGIL. Non si può chiedere alla FIOM di fare la battaglia per tutta la sinistra ma è la sinistra che deve far la battaglia per e con la FIOM. Inoltre non sempre il gruppo dirigente della FIOM è totalmente adeguato a questo scontro (vedi gli accordi sugli esuberi in Piaggio e Eletrolux). Bisogna prendere l’iniziativa contro l’ipotesi del nuovo modello contrattuale che il vertice CGIL, per fasi successive, vuole portare al tavolo con Confindustria e CISL e UIL, le mobilitazioni in quest’ottica debbono dimostrare sul campo la capacità di alternativa, non più limitate alla difesa ma spinte al contrattacco.
LA NOSTRA PROPOSTA
Anche per quanto riguarda le altre forme di organizzazione proletaria alcune cose sono degenerate. Un’organizzazione che non mette in discussione, attraverso la lotta, il capitalismo, l’imperialismo, la proprietà privata dei mezzi di produzione, cioè il sistema economico basato sullo sfruttamento, che produce fame, miseria, guerre, morti sul lavoro e di lavoro, persegue inevitabilmente una logica riformista. Per questo è centrale lavorare per ricostruire un Partito Comunista che operi, immediatamente, per ristabilire l’unità della classe operaia e per creare, attorno ad essa, un blocco sociale di forze che raggruppi lavoratori della città e della campagna, giovani e donne del mondo del precariato, lavoratori della cultura e della scienza, strati di piccola borghesia, piccoli imprenditori, piccoli commercianti ed artigiani, auto-impiegati, oppressi dal capitale monopolistico e proletarizzati dalla crisi. Questo blocco sociale, organizzato in un FUL (Fronte Unitario dei Lavoratori), deve diventare, sotto la guida del Partito, il soggetto della rivoluzione proletaria in Italia, con la finalità di abbattere il capitalismo, strappare il potere politico alla borghesia, instaurare la dittatura proletaria come più alta ed estesa forma di democrazia che l’umanità possa conoscere, sulla base della quale avviare la costruzione del socialismo-comunismo. Il Fronte Unitario dei Lavoratori, dovrà essere articolato per luoghi di lavoro e territorialmente ed avrà il compito di sviluppare la lotta rivoluzionaria di massa. Il Fronte esprimerà i propri organi dirigenti, Consigli o Assemblee, a tutti i livelli verticali, fino a quello nazionale, costituendo così l’embrione ed il modello del futuro potere statuale. Gli obiettivi di questo progetto sul campo del lavoro devono essere i seguenti:
• Abolizione di tutte le leggi che legittimano la precarietà del lavoro o che discriminano i lavoratori per genere ed età;
• Ripristino della piena validità e preminenza del Contratto Nazionale Collettivo di Lavoro;
• Ripristino di chiari e rigidi limiti di legge al licenziamento e della possibilità di reintegro del lavoratore da parte del giudice;
• Istituzione di un’indennità di disoccupazione, a tempo indeterminato fino alla proposta di nuove assunzioni, non inferiore all’80% dell’ultimo salario percepito;
• Istituzione di un’indennità a tempo indeterminato fino alla proposta di assunzione, pari al 50% del salario medio, per i giovani in cerca di prima occupazione al termine dell’istruzione obbligatoria;
• Riduzione dell’orario lavorativo a parità di salario e contributo;
• Ripristino dell’indicizzazione dei salari al costo della vita;
• Politica di controllo popolare alla fonte dei prezzi dei generi di prima necessità e di largo consumo;
• Abolizione delle imposte indirette sui generi di prima necessità;
• Controllo dei lavoratori sulle condizioni di sicurezza e salute sul lavoro, inasprimento delle pene per chi disattende, politiche di prevenzione degli incidenti e delle malattie professionali;
• Politiche di sostegno alla ricerca applicata e all’innovazione, di prodotto e processo, per le piccole imprese, favorendone la concentrazione e l’integrazione in forme associate consortili o cooperative, in modo da consentire loro di acquisire economie in scala.
Attualmente abbiamo assistito allo smantellamento completo di tutti i diritti acquisiti negli anni delle lotte operaie. Pertanto le nostre lotte si devono focalizzare sul ripristino completo dello Statuto dei Lavoratori. Con la riappropriazione dell’art. 18 così come era stato concepito dalla legge 300 del 1970. Assistiamo anche all’interno delle fabbriche alla scomparsa del Contratto Nazionale Collettivo di Lavoro. Obiettivo realizzato dalla volontà di più parti, ma con il contributo fondamentale di Marchionne e della BCE. La lettera della BCE del 05/ 08/11 sottolinea la necessità di depotenziare la contrattazione nazionale a favore di quella d’impresa, in modo da poter strutturare i contratti alle esigenze specifiche della singole aziende. Da qui si evince l’importanza del Contratto Nazionale Collettivo di Lavoro. Questo tipo di contratto, infatti, garantisce ai lavoratori un potere contrattuale molto più ampio. Venendo a mancare quest’ultimo, il potere contrattuale si riduce drasticamente lasciando oltretutto completamente scoperte tutte quelle realtà che ad oggi non godono nemmeno del Contratto aziendale. Ci riferiamo alla piccola e media impresa, che rappresenta la fetta più grossa dell’economia italiana, ben l’80%. Tra incidenti e morti sul lavoro assistiamo ad un vero e proprio stillicidio, figlio di un sistema che antepone il profitto alla vita. Secondo noi la soluzione è semplice: fin quando il padrone gestirà la fabbrica, cercherà un profitto sempre maggiore a discapito delle condizioni di sicurezza del lavoratore. L’unica soluzione è la gestione operaia della fabbrica, perché solo gli operai saranno in grado di gestirla in maniera sicura, in quanto realizzeranno la produzione in base alle loro reali esigenze. La gestione operaia della fabbrica ha come conseguenza diretta la diminuzione dell’orario lavorativo a parità di salario. Questo rappresenta il principio “lavorare meno, lavorare tutti”. Infatti quando la produzione non sarà asservita al profitto, ma alle esigenze reali della società, l’intensità della forza-lavoro utilizzata sarà minore e non dovrà essere più impegnata a produrre plusvalore ad uso del singolo capitalista.
IL PRINCIPIO GENERALE DELLA DISTRIBUZIONE SOCIALISTA
Quando si parla di lavoro, occorre ricordare sempre che il fine ultimo di un comunista è il comunismo, modello di società completamente alternativo alle logiche economico-finanziarie interne al sistema capitalistico, soprattutto per quanto concerne la sua struttura monetaria, vera e propria truffa adottata, dai grandi banchieri, per imbrigliare il sistema produttivo quindi il lavoro. Pertanto è sempre bene ricordare il principio «da ciascuno secondo le sue capacità, a ciascuno secondo il suo lavoro». La prima proposizione indica di per sé la giustizia e l’eguaglianza sociale: nessuno, neanche la società, può chiedere a un suo membro, più di quanto esso possa dare. Sottolinea inoltre che queste capacità non possono essere umiliate o ridotte, ma al contrario valorizzate e promosse, in quanto fonte di ricchezza sociale. La seconda proposizione stabilisce il principio che il lavoro individuale non sia più sfruttato dal padrone privato, che si appropria del prodotto del lavoro altrui, ma che sia remunerato in termini di salario diretto, indiretto o differito, sulla base del contributo che ciascuno da alla società, contributo misurato in ore di lavoro. Con la crescita della ricchezza sociale accumulata, con l’estensione dei rapporti socialisti di produzione a tutti i settori e livelli dell’economia e con la definitiva trasformazione della proprietà cooperativa e collettiva in sociale, il principio della distribuzione evolverà in «da ciascuno secondo le sue capacità, a ognuno secondo i suoi bisogni».