La Fed sta emettendo denaro a ritmi serrati: infatti, l’ente regolatore statunitense tenta di contrastare la crisi economica pompando nel mercato nuova liquidità. Solamente nel primo trimestre le emissioni monetarie hanno superato i 2.000 miliardi.
Di conseguenza, il debito pubblico è salito a 26.000 miliardi ed è aumentato il rischio di svalutazione del dollaro. La Cina che è il secondo maggior creditore straniero degli USA ha deciso di non aspettare la svalutazione e sta svendendo in massa i titoli di debito statunitensi.
Nuova liquidità
Per via della pandemia di coronavirus la Federal Reserve ha adottato misure senza precedenti: ha portato a zero il tasso chiave, ha avviato un programma di acquisto senza tetto di bond governativi e di titoli garantiti da ipoteca. Nel primo trimestre la Fed ha pompato l’economia statunitense con più di 2.000 miliardi di dollari. È bastato semplicemente stampare questi soldi.
Chiaramente, così facendo l’interesse degli speculatori sul dollaro ha registrato un brusco calo, ma la Fed non aveva alternative se non continuare a ridurre i tassi.
Gli analisti di una delle maggiori banche al mondo, la britannica Standard Chartered, hanno già avvisato che la Fed ricorrerà a tassi di interesse negativi. Anche la banca statunitense Goldman Sachs osserva che alla luce della profonda e duratura crisi economica questo scenario è altamente probabile. La Fed deciderà in merito il 10 giugno.
Come ipotizzano gli economisti di Standard Chartered, i tassi sui fondi federali compresi tra -0,5 e -1% registreranno una perdita importante dei rendimenti sui bond governativi, il che semplificherà a Washington il pagamento del debito. Ma questa situazione non gioverà al dollaro: il deficit generalizzato della valuta statunitense scomparirà ma quest’ultima si svaluterà.
Corsa alla svendita
Come scrive il portale cinese Sohu, le autorità cinesi hanno deciso di non attendere l’eventuale svalutazione del dollaro e hanno cominciato a vendere buona parte del debito pubblico statunitense. Pechino è giunta alla conclusione che Washington non è in grado di risolvere i propri problemi economici senza riversare liquidità nell’economia, pertanto gli investimenti in debito pubblico americano sono oltremodo rischiosi.
In effetti, se dal 2008 la Fed ha emesso in tutto circa 8.000 miliardi di dollari, entro la fine del 2020 ne aggiungerà altri 5.000. Con tutte le evidenti conseguenze che questo avrà sui tassi di cambio.
L’anno scorso la Cina si è sbarazzata di treasuries per 110 miliardi, di recente ne ha venduti altri 10 miliardi. A maggio Washington ha minacciato Pechino di rifiutarsi di onorare le proprie obbligazioni debitorie. Secondo la Casa Bianca, il mancato pagamento sarebbe la vendetta statunitense contro la Cina, accusata di aver contribuito alla diffusione del coronavirus e di aver nascosto dati relativi alla pandemia.
Già allora il celebre quotidiano anglofono di Hong Kong South China Morning Post scriveva che la Cina avrebbe continuato a disfarsi dei titoli statunitensi indipendentemente dall’evolversi della situazione legata alle compensazioni. Ma ora si è aggiunto il rischio di svalutazione del dollaro, valuta nella quale è investita una quota significativa delle riserve cinesi.
Come osservano gli esperti, la svendita ad opera della Cina anche solo di una parte del proprio portafoglio in treasuries genera diverse criticità per gli USA. Pechino, infatti, sta colpendo il mercato dei bond governativi proprio in un momento in cui Washington ne ha aumentato fortemente l’emissione al fine di finanziare i programmi di contrasto alla pandemia e alle sue conseguenze economiche.
Per via della guerra commerciale con gli USA la Cina aveva già comunque deciso di disfarsi di questi titoli. Infatti, verso giugno 2019 la Cina ha ceduto al Giappone il primo posto come Paese straniero detentore di debito pubblico statunitense: Tokio, infatti, detiene treasuries per 1.120 miliardi di dollari. Come dimostra l’ultima relazione del Ministero delle Finanze, a febbraio il portafoglio cinese è sceso a 1.090 miliardi rispetto ai 1.320 del novembre 2013.
A marzo la Russia ha tagliato gli investimenti in bond governativi statunitensi fino a 3,8 miliardi di dollari sebbene tra il 2010 e il 2013 le allocazioni in questi strumenti finanziari fossero pari a 170 miliardi. Mosca era tra i maggiori detentori di treasuries, ma si decise di vendere così come fecero anche altri Paesi. Stando ai dati del Ministero delle Finanze, a marzo si è registrata una fuga senza precedenti degli investitori stranieri sia pubblici sia privati: si sono venduti treasuries per 256 miliardi dollari riducendo il portafoglio globale a 6.810 miliardi di dollari.
Questo non lascia ben sperare Washington in quando il debito pubblico da 1.500 miliardi di dollari viene assicurato principalmente grazie all’emissione di bond governativi. Stando alle stime delle maggiori banche, nel 2020 si è registrata una differenza tra entrate e uscite pubbliche pari a 4.000 miliardi, la più significativa dai tempi della Seconda guerra mondiale.
Il denaro gestito della Fed alla fine della crisi da coronavirus, secondo gli esperti, arriverà a quota 10.000 miliardi. Poiché tutto questo denaro è in sostanza il risultato di emissioni di liquidità, continuerà la fuga degli investitori da una valuta in alcun modo garantita.
12.06.2020