di Antonio Gramsci *
La posizione storica attualmente raggiunta dalla classe italiana degli sfruttati si riassume in questi termini generali:
Ordine pubblico. Uno schieramento di circa tre milioni e mezzo di operai, contadini e im- piegati, corrispondenti a circa quindici milioni della popolazione italiana, rappresentato in Parlamento da centocinquantacinque deputati socialisti. Nell’ordine politico la classe italiana dei produttori che non posseggono gli strumenti di lavoro e i mezzi di produzione e di scambio dell’apparato economico nazionale, è riuscita ad attuare una concentrazione di forze che pone un termine alla funzionalità del Parlamento come base del potere statale, come forma costituzionale del governo politico; la classe italiana degli sfruttati è riuscita quindi a infliggere un colpo tremendo all’apparato politico della supremazia capitalistica, che si fonda sulla circolazione dei partiti conservatori e democratici, sull’alternarsi, al governo, delle varie ditte politiche che verniciano di colori svariati il brigantaggio capitalistico, il dominio delle casseforti.
Ordine economico. Il movimento corporativo nelle sue varie tendenze:
il movimento degli operai industriali d’avanguardia perché salariati dell’industria moderna piú progredita, e degli operai agricoli delle zone a coltura intensiva, che si concentra nella Confederazione generale del lavoro;
il movimento degli operai industrialmente arretrati, quindi eternamente inquieti e indisciplinati, che all’azione concreta permanente rivoluzionaria sostituiscono la fraseologia rivolu- zionaria, e si accampa sotto le tende nomadi dell’Unione sindacale italiana;
il Sindacato dei ferrovieri, massa amorfa di operai industriali di avanguardia, di impiegati piccolo-borghesi, di tecnici menefreghisti, e di una somma incerta e indistinta di stipendiati e salariati, attaccata alla retribuzione di Stato come solo può esserlo il piccolo borghese e il piccolo contadino italiano;
i sindacati cattolici di contadini; essi stanno ai lavoratori della terra confederati nello stes- so rapporto degli operai dell’Unione sindacale agli operai confederati: masse di elementi proletari arretrati, che introducono nel sindacalismo principi estranei o contraddittori (la religione; la vaga e caotica aspirazione libertaria);
leghe di contadini e Camere del lavoro sparse qua e là in tutta l’Italia, ma specialmente nell’Italia meridionale e nelle isole; esse sono una caratteristica della mancanza di coesione dell’apparato economico e politico nazionale; sono nate per spinta individuale, e vivacchiano alla giornata, esaurendo la loro attività in movimenti caotici e senza indirizzo permanente concreto;
leghe proletarie dei mutilati e reduci di guerra, associazioni libere di reduci ed ex combat- tenti; rappresentano il primo, grandioso tentativo di organizzazione delle masse contadine;
il movimento corporativo, in queste sue varie tendenze e forme, ha concentrato una massa di almeno sei milioni di lavoratori italiani (corrispondenti a circa venticinque milioni della po- polazione nazionale) e ha determinato la sparizione dal campo economico del «libero» lavoratore, ha determinato cioè la paralisi del mercato capitalistico del lavoro. La conquista delle otto ore e dei minimi di salario sono dipendenti da queste condizioni generali del mercato del lavoro. L’ordine capitalistico di produzione ne è stato profondamente turbato, la «libertà» di sfruttamento, la libertà di prelevare plusvalore dalla forza-lavoro (profitto o rendita al capitalista e al proprietario fondiario, imposte per lo Stato, tributo ai giornali e ai sicari delle casseforti) è stata limitata, è stata sottoposta in modo indiretto, sia pure, al controllo proletario; le basi economi- che dell’organizzazione capitalistica, che culmina nell’associazione piú alta del capitalismo, lo Stato parlamentare-burocratico, è stata disgregata, per il sabotaggio della fonte prima della potenza capitalistica: la libertà di prelevare plusvalore.
Il trionfo elettorale del Partito socialista, l’invio in Parlamento di centocinquantacinque deputati socialisti che immobilizzano la funzionabilità del Parlamento come forma costituzionale del governo politico, è un semplice riflesso di questo fondamentale e primordiale fenomeno economico, per il quale è stata immobilizzata la funzionabilità del mercato della forza-lavoro come forma costituzionale del governo economico-capitalistico, del potere dei capitalisti sul processo di produzione e di scambio.
Gli operai e contadini d’avanguardia hanno intuito che una situazione di questo genere si era venuta formando in Italia durante la guerra e si è consolidata in questo primo periodo post- bellico. Hanno intuito che le conquiste raggiunte possono essere mantenute solo se si procede innanzi; se le otto ore diventano legge degli operai e contadini, diventano «costume» diffuso della società comunista; se i minimi di salario diventano una legge che riconosce agli operai e contadini il diritto di poter soddisfare, col frutto del lavoro, tutte le esigenze di un determinato tenore di vita civile e intellettuale, legge che emani dal potere degli operai e contadini, il quale potere, a sua volta, sia il riflesso politico di un rinnovato ordine del processo di produzione industriale e agricola; se il controllo delle masse coalizzate operaie e contadine sulla scaturigine del potere borghese (la formazione del plusvalore) esce dalla forma attuale, bruta e indistinta, della pressione di massa, della resistenza di massa, per diventare tecnica economica e politica, per incarnarsi in una gerarchia di istituti economici e politici che culminino nello Stato degli operai e contadini, nel governo degli operai e contadini, in un potere centrale degli operai e contadini; se la conquista della terra da parte dei contadini diventa, da semplice possesso dello strumento elementare di lavoro, conquista dei frutti che lo strumento può produrre, e cioè con- trollo delle forme in cui la merce prodotta circola, e controllo degli organismi economici che rappresentano le tappe di questa circolazione: le banche, le unioni bancarie, le centrali commer- ciali, la rete dei trasporti ferroviari, fluviali e marittimi. Se uno Stato operaio non assicura ai contadini l’immunità dagli assalti predaci del capitalismo e dell’alta finanza, la guerra sarà pa- gata attraverso una «grandiosa» rivoluzione agraria condotta dallo Stato borghese e dalle minori organizzazioni capitalistiche: la introduzione delle macchine nell’agricoltura, con l’espropriazione dei contadini e la loro riduzione al rango di operai agricoli salariati, senza esperienza sindacale e quindi piú duramente sfruttati ed espropriati della loro ricchezza di forza- lavoro che non siano gli operai dell’industria urbana. Progredire nella via della rivoluzione fino alla espropriazione degli espropriatori e alla fondazione di uno Stato comunista è interesse im- mediato dei due ordini piú numerosi della classe dei produttori italiani: significa per gli operai di città conservare le conquiste attuate finora e non vederle travolte in una bancarotta dell’apparato di produzione industriale e in uno scompaginarsi della società fino al disordine e al terrorismo in permanenza, senza sbocco prevedibile; oltre al significare la presa di possesso dell’apparecchio di produzione nazionale per rivolgerlo al fine del benessere e del miglioramento spirituale della classe lavoratrice: significa per i contadini conservare la terra conquistata, ampliare i propri fondi, liberare la terra dai gravami ipotecari e fiscali capitalistici e iniziare la rivoluzione industriale coi metodi e i sistemi comunistici, in stretta collaborazione con gli operai urbani.
Gli operai e contadini d’avanguardia hanno intuito queste necessità immanenti nella situazione economica attuale, nell’equilibrio catastrofico delle forze e degli organismi di produzione. E hanno fatto tutto ciò che potevano fare in una società democratica, in una società configurata politicamente; hanno indicato il Partito socialista, che rappresenta le idee e il programma da attuare, come loro naturale gerarchia politica e hanno indicato al partito la via del potere, la via del governo, che si basi costituzionalmente non sul Parlamento eletto a suffragio universale, dagli sfruttati e dagli sfruttatori, ma sul sistema dei Consigli di operai e contadini, che incarnino tanto il governo del potere industriale, quanto il governo del potere politico, che siano cioè strumenti dell’espulsione dei capitalisti dal processo di produzione e strumenti della soppressione della borghesia, come classe dominante da tutte le istituzioni di controllo e di centralizzazione economica della nazione.
Il problema concreto immediato del Partito socialista è quindi il problema del potere, è il problema dei modi e delle forme per cui sia possibile organizzare tutta la massa dei lavoratori italiani in una gerarchia che organicamente culmini nel partito, è il problema della costruzione di un apparecchio statale, che nel suo àmbito interno funzioni democraticamente, cioè garantisca a tutte le tendenze anticapitalistiche la libertà e la possibilità di diventare partiti di governo proletario, e verso l’esterno sia come una macchina implacabile che stritoli gli organismi del potere industriale e politico del capitalismo.
Esiste la grande massa del popolo lavoratore italiano. Oggi esso si distingue politicamente in due tendenze prevalenti: la massa dei socialisti marxisti e la massa dei socialisti cattolici — e in una molteplicità di tendenze secondarie: la sindacalista-anarchica, quella degli ex combatten- ti democratico-sociali, e i vari aggruppamenti localistici a tendenze rivoluzionarie. Questa massa rappresenta piú di venticinque milioni della popolazione italiana, cioè una base stabile e sicura dell’apparecchio proletario.
Esiste una serie di organismi sindacali e di associazioni semiproletarie, che rappresentano una distinzione di capacità tecnica e politica nella grande massa del popolo lavoratore.
Esiste il Partito socialista, e nel partito la tendenza comunista rivoluzionaria, che rappresenta la fase di maturità della consapevolezza storica attuale della massa proletaria.
Il problema concreto massimo del momento attuale, per i rivoluzionari, è questo:
1) fissare la grande massa del popolo lavoratore in una configurazione sociale che aderisca al processo di produzione industriale e agricolo (costituzione dei Consigli di fabbrica e di villaggio con diritto al voto a tutti i lavoratori);
2) ottenere che nei Consigli la maggioranza sia rappresentata dai compagni del partito, delle organizzazioni operaie e dai compagni simpatizzanti, ma senza escludere che essa, transi- toriamente, nei primi momenti di incertezza e di immaturità possa cadere in mano ai popolari, ai sindacalisti anarchici, ai riformisti, in quanto siano lavoratori salariati e vengano eletti, nella loro sede di lavoro, e in quanto aderiscano allo Stato operaio.
Nelle gerarchie superiori urbane e distrettuali (per le campagne), la rappresentanza nel Consiglio urbano o di distretto dovrà essere data, oltre che ai centri di produzione, cioè oltre che alla massa lavoratrice come tale, anche alle sezioni del partito, ai circoli, ai sindacati, alle associazioni proletarie, alle cooperative. La maggioranza socialista sarebbe notevole in questi poteri locali e sarebbe schiacciante nelle grandi città industriali, cioè laddove lo Stato operaio sarà veramente dittatura proletaria (degli operai d’officina) e dovrà superare le difficoltà piú ardue, perché dovrà impadronirsi delle centrali capitalistiche, degli organismi capitalistici che vibrano i loro tentacoli su tutta la nazione.
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L’Ordine Nuovo, 29 novembre 1919