Vittorio Teresi: “Falcone ricevette da Giammanco un rapporto menomato”
di Giorgio Bongiovanni
Che fine ha fatto l’agenda rossa di Paolo Borsellino? Chi l’ha fatta sparire? Perchè? Sono queste alcune delle domande che restano senza risposta a seguito di quell’attentato in cui morì il giudice palermitano insieme agli agenti della sua scorta il 19 luglio 1992.
E del cosiddetto “filone dell’agenda rossa” si è parlato questo pomeriggio al processo Borsellino quater, celebrato nell’aula bunker di Caltanissetta. Noi di Antimafia Duemila c’eravamo. Non solo come cronisti, ma anche come testimoni. Chiamato a rispondere alle domande del pm Domenico Gozzo il vice direttore Lorenzo Baldo, che ha raccontato del ritrovamento della fotografia nel quale venne immortalato il capitano dei carabinieri Giovanni Arcangioli, mentre si allontanava dal teatro della strage con in mano la borsa del giudice. Tra le fiamme e i palazzi sventrati e ancora fumanti di via D’Amelio qualcuno decise che quell’agenda non dovesse essere più ritrovata.
Il vice direttore ha così ripercorso le tappe che portarono al ritrovamento di un reperto destinato ad apportare un fondamentale contributo alle indagini. Alla domanda del procuratore Gozzo su come Lorenzo Baldo fosse venuto a conoscenza dell’esistenza dell’immagine in questione, il vice direttore ha parlato di una “soffiata” assolutamente attendibile che ci ha segnalato l’esistenza di una foto “di proprietà del fotografo palermitano Franco Lannino”. Ha raccontato del disinteresse per qualsiasi tipo di “scoop” da parte di Antimafia Duemila, della totale precedenza che abbiamo voluto dare all’autorità giudiziaria affinchè questa potesse dare inizio a nuove indagini che ci conducano finalmente alla verità. Di come abbia allertato il funzionario della Dia di Caltanissetta Ferdinando Buceti, che ha a sua volta fatto scattare un “blitz” nello studio fotografico di Lannino, dove una delle foto dell’archivio testimoniava effettivamente la presenza del capitano Arcangioli tra le 17,20 e le 17,30 di quel 19 luglio 1992.
Successivamente Baldo ha raccontato di come, ancora prima della segnalazione dell’esistenza della foto di Arcangioli, gli fosse stato detto (in forma anonima) che l’avvocato Rosalba Di Gregorio stava cercando tra i fotografi palermitani la foto di un carabiniere che si allontanava da via D’Amelio con la valigetta di Borsellino in mano. All’epoca il vicedirettore si era appuntato l’informazione, ma la cosa era finita lì in quanto non era stato trovato alcun riscontro. Solo dopo la segnalazione dell’esistenza della foto di Arcangioli Baldo aveva collegato i due fatti.
E’ da questa vicenda che è nata l’indagine sulla sparizione dell’agenda rossa, nella quale Paolo Borsellino, assassinato da equilibri politico-mafiosi, annotava tutto quello di cui veniva a conoscenza su una sempre più probabile quanto terribile trattativa Stato-mafia.
“Il nostro scopo era soltanto quello di far capire come erano nate le indagini sull’agenda rossa” ha ribadito infine Nico Gozzo.
Il procuratore aggiunto di Palermo Vittorio Teresi ha successivamente rilasciato delle dichiarazioni che evidenziano nuovi particolari nel quadro generale di primi anni Novanta. Teresi ha spiegato infatti di come Falcone ricevette dal procuratore Pietro Giammanco un rapporto su mafia appalti, risalente al 1990, totalmente menomato, in quanto privo di quei nomi e cognomi degli esponenti politici collusi con la mafia, tant’è “che Giovanni non capiva il perché di quella tensione che si era venuta a creare in procura visto che il rapporto che aveva lui era inconsistente”. Rapporto che Giammanco preferì riporre “nel suo armadio dopo aver fatto le annotazioni”. Teresi è tornato a ribadire di come “solo nella versione di Giammanco c’era tutto, non in quello di Falcone giudice istruttore”. Il magistrato ha raccontato inoltre alla corte delle rivelazioni che il collaboratore di giustizia Gaspare Mutolo fece a Borsellino: “Fu Paolo a parlarne con noi. Ricordo che ci fu un momento di grande tensione dopo che Borsellino ci volle comunicare, dopo un interrogatorio, che Mutolo considerava infedeli e vicini a Cosa nostra il dottor Contrada e il giudice Signorino”.
Sebastiana Cardinale e Giuseppe Lentini, all’epoca rispettivamente ispettore della “scientifica” di Palermo e vice ispettore della Criminalpol di Palermo, hanno poi testimoniato sul mancato rilevamento dei mozziconi di sigaretta ritrovati sul tetto dello stabile di proprietà dei fratelli Graziano (legati al clan Madonia) in via D’Amelio, dove a ridosso della strage furono notati dei movimenti sospetti. Nello specifico la Cardinale ha affermato di non ricordare dell’esistenza di quei mozziconi, la cui presenza però è comprovata da diversi documenti fotografici, mostrati dal pubblico ministero. Secondo l’ispettore Lentini, invece, quelle sigarette non avevano alcuna importanza. “Perché”, chiede il pm? “Perchè non si trovavano solo nel terrazzo dove presumibilmente era appostato il commando mafioso”. Una giustificazione che, a nostro parere, lascia il tempo che trova. Le analisi mai eseguite sulle sigarette sono un altro tassello mancante che si aggiunge ai pezzi del puzzle del colossale depistaggio che dopo oltre vent’anni non permette ancora di conoscere i volti dei mandanti della strage.
23 aprile 2013