di Antonella Beccaria
Al processo sulla strage di Bologna presentate due memorie delle parti civili
È un giovedì il 26 novembre 1980. A Milano, in una carrozzeria, la Luki di via Ofanto, ci sono due esponenti dei Nar, i Nuclei Armati Rivoluzionari. Sono Stefano Soderini e Gilberto Cavallini (in foto), il secondo oggi imputato di concorso nella strage di Bologna del 2 agosto 1980. Sono lì perché vi hanno nascosto un’auto, una Opel Rekord targata Treviso, che, secondo le odierne ricostruzioni accusatorie, sarebbe stata usata il giorno in cui è stato compiuto l’attentato alla stazione del capoluogo emiliano.
Quel giorno, però, arrivano i carabinieri. Sono lì perché è in corso un’indagine su un sequestro di persona e va condotta una perquisizione identificando i presenti. Ma Cavallini e Soderini estraggono le armi e aprono il fuoco sui militari. Uno resta ferito mentre il brigadiere Ezio Lucarelli, 35 anni, viene ucciso. È dalla carrozzeria della sparatoria e da Gilberto Cavallini che prendono l’abbrivio due memorie firmate dagli avvocati di parte civile nel processo in corso per la strage di Bologna.
Le memorie sono state depositate durante l’udienza del 12 dicembre e illustrate al presidente della Corte d’Assise, Michele Leoni. In una, firmata dall’avvocato Nicola Brigida, si spiega che l’officina appartiene a tale Cosimo Simone. Questi, secondo le indagini condotte dopo il delitto Lucarelli, è un “elemento solito favorire organizzazioni criminali ed eversive, detenendo per conto delle stesse, armi, munizionamento e mezzi di trasporto”. La sua carrozzeria, quindi, è anche un covo di estremisti di destra, Nar compresi.
L’ombra del Noto Servizio
Altro elemento sottolineato nella memoria è che Cosimo Simone ha un fratello, Michele, e una sorella, Giovanna, sposata con un certo Giuseppe Fiorenti. Il nome di quest’ultimo, ignoto ai più, emerge dagli accertamenti di un’altra inchiesta. È quella condotta a Brescia per la strage di Piazza della Loggia del 28 maggio 1974 e che, tra i molteplici filoni, ha sviscerato natura e operatività del cosiddetto Noto Servizio o Anello, un servizio segreto occulto a cui sono stati affidati alcuni affari sporchi della storia del dopoguerra. Tra questi la fuga nel 1977 del gerarca nazista Herbert Kappler dall’ospedale militare del Celio, a Roma, e la trattativa con il boss della camorra Raffaele Cutolo per la liberazione dell’assessore ai lavori pubblici campano Ciro Cirillo, sequestrato dalle Brigate Rosse nel 1981.
A parlare del Noto Servizio è un funzionario della Fiera Campionaria di Milano, Michele Ristuccia. Lo fa nel 1998 rispondendo alle domande del reparto anti-eversione del Ros dei carabinieri e parla anche del suo capo, Adalberto Titta, che collaborò tra l’altro con gli ufficiali del Sismi piduista nel caso Cirillo, gli stessi coinvolti nei depistaggi sulla strage di Bologna. Dopo aver contribuito a compilare alcuni verbali, Ristuccia, ritenuto anche un ex dirigente di Ordine Nuovo, inizia a ricevere telefonate minatorie. Lo stesso accade alla moglie e alla figlia. Poi subisce il furto dell’auto, una Y10 rossa, e una ventina di giorni dopo, il 10 novembre 1998, arriva un’altra chiamata con due informazioni. La prima riguarda il luogo in cui l’utilitaria è stata parcheggiata dopo essere stata sottratta mentre la seconda è un avvertimento: “La prossima volta saltate in aria”.
Verifiche successive sui tabulati telefonici accertano che la telefonata legata all’auto rubata era partita da un’utenza telefonica intestata a Giuseppe Fiorenti e Giovanna Simone, la sorella del titolare della carrozzeria Luki. Secondo le memorie delle parti civili, però, le “contiguità” con “un apparato occulto di sicurezza” non sono finite qui e lo dimostrerebbe un altro episodio che risale al 22 settembre 1982.
La firma del colonnello iscritto alla P2
È l’irruzione dei carabinieri di Brescia a Gardone Riviera che interrompe una riunione tra “elementi armati della malavita bresciana legati al traffico di sostanze stupefacenti”. La soffiata – si legge in un appunto del Sismi compilato dalla VII Divisione, quella a cui faceva capo Gladio, l’esercito segreto di contro-insorgenza nato in funzione anticomunista a metà degli anni Cinquanta) – arriva da una fonte ritenuta attendibile. A quella riunione c’è anche un pregiudicato, Mauro Giancaterina, e ai militari di Brescia mostra un tesserino che attesterebbe la sua appartenenza ai servizi segreti e che gli sarebbe stato consegnato da Michele Ristuccia, l’uomo del Noto Servizio che subisce minacce per le ammissioni che conducono al cognato del carrozziere di Cavallini.
A quest’ultimo, arrestato il 12 settembre 1983, vengono trovati due documenti, si spiega nella seconda memoria, firmata dagli avvocati Andrea Speranzoni, Roberto Nasci, Alessandro Forti e Antonella Micele. Il primo è una carta d’identità rilasciata dal Comune di Villorba di Treviso e intestata a un militare che esiste davvero e che abitava nella località veneta pur prestando servizio in quel periodo in Friuli Venezia Giulia, dove aveva denunciato la scomparsa del documento. Il secondo è un tesserino rilasciato dalla legione carabinieri di Brescia e firmato dal colonnello Giuseppe Montanaro, tessera P2 906.
È il falso documento da militare che lega Cavallini al covo torinese dei Nar, quello di via Monte Asolone 63, dove furono rinvenuti altri 160 tesserini per appuntati e carabinieri, 38 dei quali firmati sempre dallo stesso colonnello Montanaro. Inoltre ulteriori tessere, in apparenza emesse sempre dalla legione carabinieri di Brescia con numerazione prossima a quella di Cavallini, erano in possesso di altri neofascisti, tra cui i fratelli Ciro e Livio Lai e Giorgio Vale.
Il Noto Servizio, la P2 di Licio Gelli, le minacce di morte e l’eversione nera. È questo, in conclusione, il quadro ricostruito dagli avvocati di parte civile che hanno chiuso la presentazione del loro lavoro con una richiesta al presidente della Corte d’assise di Bologna: verificare se i legami che emergono dai tasselli messi insieme siano più di una suggestione. Legami che, nel caso della strage di Bologna, potrebbero portare verso i mandanti del massacro, costato la vita a 85 persone.
12 Dicembre 2018