Questo pomeriggio mi sono ritrovata, casualmente, a guardare questo video, rabbrividendo per l’indignazione e il disgusto:
La vicenda di cui si parla è quella dello stupro avvenuto a Montalto di Castro sei anni fa: una ragazzina di quindici anni è stata violentata ripetutamente, per ore, da un gruppo di otto ragazzi dopo una festa a cui aveva partecipato. Una vicenda terribile, da far accapponare la pelle al pensiero del gesto ignobile compiuto da questi ragazzi e del dolore provato da questa giovane donna.
Non contenti di aver attentato alla libertà, alla persona e al diritto ad una vita serena di una ragazza (con dei sentimenti, delle speranze, dei sogni) questi adolescenti sono stati difesi da un intero paese, che li ha definiti “bravi ragazzi” e a cui il sindaco (del PD) ha pagato le spese processuali.
Non sono trascorsi così tanti anni dal “Processo per stupro”, girato nel 1979 (riferito ad una violenza sessuale di gruppo avvenuta nel 1978), durante il quale viene mostrata tutta la violenza nei confronti delle donne che hanno subìto uno stupro; un processo rivolto non verso l’atto vergognoso commesso ai danni di un’altra persona, ma nei confronti di chi ha subìto l’abuso, che diventa oggetto di accuse, indagini, sospetti di “dubbia condotta morale”.
Cos’è cambiato da allora? Cosa c’è di diverso dal non lontano 1979?
Non sono passati trent’anni (l’anno in cui è avvenuto lo stupro di Montalto di Castro è il 2007) e una donna, vittima di stupro, deve ancora giustificarsi per la vita che ha vissuto fino a quel momento, per il modo in cui si è vestita o comportata, quale vita sessuale ha condotto.
Come il “Processo per stupro” è diventato un processo nei confronti di tutte le donne e dell’emancipazione femminile per cui stiamo lottando da anni, anche lo “stupro di Montalto di Castro” assume la stessa valenza.
Non vi è differenza tra un avvocato che giustifica il gesto di uno stupratore (1979) affermando:
“Voi donne avete voluto scimmiottare l’uomo! Voi portavate la veste, perché avete voluto portare i pantaloni? […] Vi siete messe voi in questa situazione! […] E allora uno, purtroppo, raccoglie i frutti che ha seminato. Se questa ragazza si fosse stata a casa, non si sarebbe verificato niente! […]”
e il conoscente di uno stupratore che, in diretta televisiva nel 2009 (nonostante la trasmissione sia un esempio di pessima condotta giornalistica), grida: “A casa dovevate stare!”
In questo rigurgito di violenza verso il genere femminile costantemente giudicato perchè “provoca”, “seduce”, “se la cerca”, si sono dimenticati tutti che c’è chi la violenza sessuale l’ha subìta sul proprio corpo, ed è la ragazzina di 15 anni, che si è vista rovinare il futuro da otto suoi coetanei.
Per una donna non è mai facile trovare il coraggio di denunciare una violenza sessuale, in quanto significa riaprire e rivivere una ferita più e più volte.
Sicuramente, davanti all’esempio di quanto avvenuto a Montalto di Castro, possiamo esser pur certi che si sono fatti tanti passi indietro lungo il percorso per convincere le vittime di abuso a sporgere denuncia.
E’ la dimostrazione delle difficoltà che incontrano ancora le donne che hanno il coraggio di denunciare quanto subìto, ma, soprattutto, quale mentalità retrograda e sessista continui a pervadere il nostro paese.
Come dice una delle signore del primo video: “Una donna ha il diritto di andare in giro come vuole” e nessuno deve toccarla senza il suo permesso.
Indossare una minigonna non è sinonimo di disponibilità sessuale e non significa “dare via libera” ad un eventuale maschio che guarda (e desidera)!
Trovo inaccettabile che, nell’anno 2013, si debba ancora rimarcare che i diritti delle donne siano gli stessi degli uomini, così come trovo sia vergognoso dover assistere ancora a commenti sul fatto che essere emancipate significhi “andarsela a cercare”.
Mi chiedo quale persona avrebbe il coraggio di guardare negli occhi la propria figlia vittima di violenza e dire (o anche solo pensare) un simile abominio.
Qui ci sarebbe da affrontare e considerare un discorso molto più lungo sul perché sia ancora accettato dalla collettività che un uomo consideri una donna, prima di tutto, non come persona, ma come semplice “corpo-oggetto sessuale” da desiderare e da prendere quando e quanto più gli aggrada, senza preoccuparsi che la donna sia consenziente. C’è da domandarsi perché azioni così riprovevoli siano risolte, troppo spesso, con un “Sono fatti così, che ci vuoi fare?”, quasi l’uomo fosse un essere incapace di dominare i suoi più bassi istinti.Cominciamo a condannare TUTT* questi comportamenti; non solo noi donne perché donne, ma noi tutt* in quanto PERSONE.
by DameVerte on apr 29, 2013