Il doppio senso delle dichiarazioni statunitensi non chiarisce le volontà reali dell’Amministrazione Obama sul Blocco genocida verso Cuba. Dopo le aperture di livello diplomatico ora servono solo gli atti pratici per passare a delle fasi ulteriori nei rapporti. Dopo la visita di Obama vedremo quali percorsi saranno intrapresi perché sia data continuità alla prossima Amministrazione statunitense
Mauro Casagrandi
In seguito a direttive del presidente statunitense Obama del 15 gennaio scorso, il 26 gennaio seguente sono state rese note dal governo degli Stati Uniti ulteriori disposizioni volte ad ammorbidire i controlli e i regolamenti imposti dall’embargo ai rapporti con Cuba. Ad annunciarle in contemporanea sono stati l’Office for Foreign Assets Control (OFAC) del Dipartimento del Tesoro, l’ente incaricato di far applicare le sanzioni contro Cuba, e il Bureau di Industria e Sicurezza del Dipartimento del Commercio, ente che sovrintende ai controlli delle esportazioni a Cuba, quelle poche ammesse, rese molto complicate e costose dalla proibizione dell’utilizzo del dollaro.
Questo “pacchetto” però, sta a dimostrare che il Presidente degli Stati Uniti dispone costituzionalmente di solidi poteri per modificare i regolamenti che reggono il Bloqueo. Chiarisce anche un fatto a pochi noto e da molti tergiversato: il blocco economico, l’embargo, non è tutta opera della legislazione nordamericana – e quindi materia che soltanto il Congresso può trattare – ma buona parte dei suoi regolamenti sono di pertinenza della presidenza. In altre parole le nuove disposizioni presidenziali emanate il 15 gennaio stanno a dimostrare che il presidente Obama possiede ampie facoltà per debilitare profondamente l’embargo economico, commerciale e finanziario, senza che ci sia bisogno di approvazioni da parte del Congresso.
Rileviamo dunque che questo “pacchetto” rappresenta in ogni caso un miglioramento della situazione esistente, ma aggiungiamo anche che bisogna analizzare con la massima attenzione le dichiarazioni che i funzionari statunitensi hanno fatto per l’occasione.
Vediamo: la Segretaria del Commercio, Penny Pirtzker ha tranquillamente twittato che “le disposizioni sono state disegnate per appoggiare il settore privato emergente a Cuba, ci avvicinano maggiormente alle mete storiche della politica estera del Presidente Obama, e rafforzano la società civile cubana”.
Da parte sua il Segretario del Tesoro Jack Lew ha precisato: “Queste disposizioni, come quelle prese durante il 2015, inviano al mondo un messaggio chiaro: che gli Stati Uniti si sono impegnati a potenziare e a procurare miglioramenti economici al popolo cubano e che continueranno a prendere le misure necessarie ad aiutare il popolo cubano a ottenete la libertà politica ed economica che si merita”.
Più chiaro di così non potrebbe sembrare, a meno che non si tratti di fornire un paravento per coprire alla destra statunitense la volontà di proseguire il trend del miglioramento dei rapporti. Cioè Obama dovrebbe tenere conto degli equilibri interni in fase pre-elettorale su questo tema, e anche volendo eliminare totalmente l’embargo non potrebbe agire ora.
Bisogna tenere conto che tutto quanto è stato fatto fino ad ora ha una valenza più politica e mediatica che economica, perché il nodo dell’embargo è ben lontano dall’essere sciolto.
La OFAC è come un fantasma diabolico che si aggira per il mondo in cerca di appigli presenti e passati per far valere le sanzioni anticubane. Va a spulciare le transazioni internazionali che riguardano anche molto indirettamente Cuba e, se ne trova, applica pene tremende ai trasgressori. Multe fino a centinaia di milioni di dollari sono state inflitte a società e soprattutto a banche del mondo occidentale che, secondo l’OFAC, hanno in qualche modo violato le disposizioni extra- extraterritoriali dell’embargo statunitense.
In questi ultimi tempi la sua attenzione si è moltiplicata. Mai aveva agito in modo così minuzioso e puntiglioso. L’ultima in ordine di tempo è stata una multa di circa 150.000 dollari a una ditta statunitense che nel 2010 aveva fornito a un’impresa del Dubai un progetto per un albergo a Cuba. Cioè il rapporto era Dubai-Cuba: la ditta del Dubai aveva ordinato a quella statunitense il progetto per poi fornirlo a Cuba assieme alla costruzione dell’albergo.
E dopo sei anni la multa!
Fin quando l’uso diretto o maledettamente indiretto del dollaro da parte di Cuba sarà parte del bloqueo, questo non sarà stato tolto. I danni che provoca a Cuba sono enormi, perché il mercato mondiale si spaventa, non ha armi per contrapporsi agli Stati Uniti, e succede che sempre più banche e società si tirino indietro quando sentono parlare di Cuba. Cioè i danni sono diretti e indiretti. Chi va contro le disposizioni statunitensi rischia moltissimo e tutto ciò malgrado le fanfare che hanno accompagnato il riavvicinamento fra i due paesi, pubblicamente attribuito alle iniziative “umanitarie” e di realpolitik degli Stati Uniti.
Ora, attenendoci a quanto pubblicamente dichiarato, le intenzioni degli USA sono ben chiare. Sono dirette contro il socialismo cubano e mirano a scardinarlo; non sono dirette a migliorare l’economia cubana perché se lo facessero rafforzerebbero quel sistema che invece continuano a combattere. Le nuove disposizioni permettono esportazioni dagli USA a Cuba? Sì, ma attenzione: il Dipartimento del Commercio avrà la possibilità di esaminare “caso per caso” queste esportazioni e quindi autorizzarle o meno. Le promesse di Obama di eliminare il blocco, per ora sono solo promesse, sicuramente con le migliori intenzioni ma come abbiamo ben capito molto, ma non tutto, dipende dalla sua Amministrazione.
Cuba poi continua a non poter esportare i suoi prodotti negli USA, il che creerà un forte squilibrio nella bilancia commerciale e dei pagamenti, con la conseguente perdita di valuta.
Invece sono ora autorizzate le esportazioni di software per le cosiddette organizzazioni della società civile cubana, tra cui quelle definite “a difesa” dei diritti umani, leggi “dissidenti” o meglio, controrivoluzionarie create e finanziate dalla CIA o dal Dipartimento di Stato.
Ned Price, portavoce del Consiglio di Sicurezza Nazionale della Casa Bianca ha scritto: “così come gli Stati Uniti stanno facendo la loro parte per eliminare gli impedimenti che hanno limitato i cubani, noi sollecitiamo il Governo cubano affinché aiuti i suoi cittadini a intraprendere attività economiche, a poter commerciare privatamente con accesso all’informazione online”.
Il richiamo alla volontà di incidere sui cambiamenti interni alla società cubana è costante nella giustificazione di queste misure, in una cornice di “appoggio al popolo” cubano e in consonanza con gli interessi della sicurezza nazionale degli Stati Uniti. In altre parole l’obbiettivo del Governo statunitense è preciso: Cuba deve essere annessa ideologicamente agli Stati Uniti.
Vedremo come andranno le cose nel prossimo futuro. Se venisse eletta un’Amministrazione repubblicana verrà sicuramente tentata una marcia indietro nei rapporti con Cuba. Se proseguiranno i democratici probabilmente verrà confermato il percorso attuale; ma nel frattempo il dilemma sul comportamento di Obama persiste. Cuba, nel frattempo prosegue serena. Non mendica nulla e mai svenderà un solo principio della Rivoluzione per avere in cambio la briciola di un comma delle nuove norme statunitensi a suo favore.
Marzo 2016