di Filippo Astone ♦︎ L’operazione franco-italiana non è assolutamente una “fusione alla pari” come si è tentato di farla passare, ma una acquisizione tout court da parte dei francesi, che avranno il vero potere su tutto. Si tratta dell’ultimo (e inevitabile) atto di un progressivo disimpegno dell’Exor degli Agnelli-Elkann dalla produzione di quattro ruote. Non avendo investito su elettrico, modelli competitivi in Europa e altri importanti ambiti, Fca non poteva che finire così. Non è vero che l’occupazione verrà salvaguardata, sono dichiarazioni di rito
Il recente annuncio dell’acquisizione di Fca da parte di Psa si può commentare con le stesse considerazioni che Industria Italiana aveva fatto qui all’epoca della svanita operazione con Renault, precisando che si trattava di un’acquisizione e non di una fusione alla pari come si voleva far credere. Questa volta, anzi, la preponderanza dei francesi è ancora più evidente rispetto al caso precedente. I rappresentanti di Peugeot infatti avranno sei consiglieri di amministrazione su 11, l’amministratore delegato (Carlos Tavares) e la sede operativa. Gli italiani avranno invece cinque consiglieri di amministrazione e un Presidente (John Elkann) con deleghe ancora non definite. Fca è interessante per i francesi soprattutto perché porta in dote il ricco mercato americano, nel quale Peugeot e gli altri marchi del gruppo sono sostanzialmente assenti. Psa riconosce ai soci Fca un premio di 6,7 miliardi di euro, pari a + 32% rispetto alle quotazioni precedenti. Inoltre, Fca prima dell’acquisizione erogherà ai suoi azionisti un dividendo straordinario di 5,5 miliardi (1,6 miliardi finiranno direttamente nelle tasche dell’Exor degli Elkann).
Certo, si crea il quarto player mondiale dell’automotive, con 8,7 milioni di veicoli prodotti, 170 miliardi di ricavi, 11 miliardi di utile operativo ricorrente. Ma anche con 3,7 miliardi di “sinergie” (altrimenti dette: tagli) annunciate. Sinergie che verranno fatte soprattutto in Europa, dove ci sono quattro marchi sovrapponibili (Peugeot, Citroen, Opel e Fiat) ed è facile prevedere che a farne le spese saranno soprattutto gli italiani. In primis perché, come si è detto, a comandare saranno i francesi, che tutelano sempre l’interesse nazionale. In secundis perché i francesi hanno le tecnologie decisive (a cominciare dall’elettrico) e più soldi (tra gli azionisti c’è lo Stato francese al 13%) eventualmente disponibili per aumenti di capitale. In terzis, perché la produzione e i marchi europei di Fca sono deboli e poco competitivi. «Fiat-Chrysler – aveva detto in questa intervista al nostro Marco Scotti Ferdinand Dudenhöffer, fondatore e direttore del Car (Center Automotive Research) dell’Università di Duisburg – è debole in Europa, con una gamma di modelli obsoleti e senza auto elettriche in cantiere. La Fiat sta vivendo più o meno sulle spalle della vecchia Fiat 500. L’ex numero uno Sergio Marchionne ha ridotto gli investimenti in Europa, mentre ottimizzava le fabbriche americane. L’Europa è un’appendice costosa e la Cina è in perdita con un basso numero di vendite. Con innovazioni di prodotto gestibili, i profitti statunitensi sono generati dai marchi statunitensi Jeep, Ram, Dodge con Suv e pick-up. Ma sono tutti veicoli con “vecchia tecnologia”, quindi poco innovativi. Fca ha quindi un rischio considerevole nel portafoglio prodotti. Con 4,8 milioni di vendite è difficile entrare nell’era delle auto elettriche e, inoltre, guidare la transizione verso la guida autonoma».
In poche parole, gli Agnelli-Elkann incassano alcuni miliardi di euro, e il tessuto industriale e sociale italiano ne fa le spese. Il ridimensionamento della filiera automobilistica avrà effetti negativi anche per altri comparti che, seppure internazionalizzati, comunque erano ancora legati in parte a Fca: componentisti, produttori di elettronica, acciaieri….
L’operazione è inevitabile per Fca, che in Europa ha pochi modelli, perde progressivamente ed inesorabilmente quote di mercato e, soprattutto, è priva di tecnologie per competere nell’elettrico, visto che i suoi azionisti avevano da tempo fatto la scelta di non investire assolutamente niente. Al contrario di ciò che hanno fatto i colossi mondiali dell’automotive (a cominciare dai tedeschi) che hanno sempre messo mano al portafoglio attraverso aumenti di capitale al fine di mantenere competitive le loro aziende, gli investimenti compiuti da Fca sono stati fatti solo utilizzando le disponibilità di cassa interne. Negli anni, è stato fatto solo un aumento di capitale, ma nel giro di qualche mese gli azionisti si sono ripresi quei soldi destinando a dividendo i proventi della vendita di Magneti Marelli.
In queste condizioni (come abbiamo scritto in questo articolo) Fca Europe non poteva resistere da sola a lungo. Era destinata a unirsi con qualcuno, e in posizione di debolezza.
Ora, con l’acquisizione Fca trova riparo dalle sue debolezza e – paradossalmente – potrà avere un futuro, anche se molto ridimensionato e dimagrito. Se dimentichiamo gli interessi dell’Italia e dei lavoratori, e osserviamo l’operazione da un punto di vista meramente industriale e finanziario, si tratta di un capolavoro: nascerà un campione mondiale molto forte, destinato a durare negli anni e a rafforzarsi. Le sinergie sono perfette.
La fusione Fca-Peugeot è l’ultimo atto della storia centenaria di casa Fiat: dopo cala il sipario. Per l’industria e l’economia italiana si tratta davvero di un brutto colpo.
Tutto ciò era evidente da tempo. Ma come sempre avviene quando una morte è annunciata, le persone se ne rendono conto solo all’ultimo momento, perché è troppo doloroso ammetterlo prima. I successori dell’Avvocato avevano da anni deciso di separare i loro destini da quelli della Fiat, ma in modo soft e progressivo, e comunque incassando dividendi. Marchionne fu il perno di questa svolta e riuscì nel miracolo di far sopravvivere l’azienda per qualche anno senza far sborsare nemmeno un euro di investimenti agli azionisti. I suoi successori, più ordinari (e comunque del tutto privi di mezzi economici per sostenere la competizione internazionale) non potevano ancora garantire questo delicato equilibrio. Amen.