Jamil El Sadi
Armi high tech e software biometrici: il vero volto dell’industria bellica
A un anno dall’inizio del genocidio a Gaza, Report ha realizzato un’inchiesta che mostra il vero volto dell’occupazione sionista: un popolo – quello palestinese – utilizzato come cavia da laboratorio dell’industria bellica della difesa israeliana. Ottanta minuti di inchiesta in cui Giorgio Mottola – intervallato da Sigfrido Ranucci – ha documentato gli interessi Israele-Italia nella compravendita di armi, ad esempio. Un mese fa a Kielce, nel centrosud della Polonia si è tenuta la seconda fiera dell’industria della difesa più grande d’Europa. Sono in bella mostra, pronti per essere ordinati in stock, i prodotti delle principali compagnie israeliane del settore della difesa. Come ad esempio Smartshooter, azienda israeliana che potenzia con l’intelligenza artificiale le armi da fuoco usate in guerra. E proprio la circostanza che queste armi, prima di essere messe sul mercato, siano state provate sul campo – vale a dire nel corso di un conflitto bellico reale e non un’esercitazione – è considerata dai potenziali acquirenti come un fondamentale valore aggiunto. Non solo, Report ha analizzato le trasformazioni di Israele negli ultimi vent’anni, raccontando come il Paese sia diventato ormai un modello per l’estrema destra globale e come – sempre Israele – sia diventato un modello di “sorveglianza”. Rappresentando un nuovo modello di “Panopticon”, per citare il filosofo e giurista Jeremy Bentham. Industrie belliche e di cybersecurity israeliane sperimentano da anni, infatti, tecnologie e armamenti nella Striscia di Gaza per poi esportarli, anche verso l’Italia e in tutto il mondo.
Il “Wolf System”
Tra le nuove tecnologie, c’è il sistema di sorveglianza denominato “Red Wolf”. Si tratta di un sistema sperimentale di riconoscimento facciale per tracciare i palestinesi e automatizzare le dure restrizioni alla loro libertà di movimento. Una violazione dei diritti umani, denunciata anche da Amnesty International in un nuovo rapporto (Automated Apartheid), che contribuisce a mantenere il sistema di apartheid di Israele. Questo sistema è utilizzato ai checkpoint permanenti. Quando un palestinese attraversa un posto di blocco in cui opera “Red Wolf”, il suo volto viene scannerizzato e confrontato con le fonti biometriche presenti in database che contengono esclusivamente informazioni sui palestinesi. Questi dati vengono utilizzati per determinare se un individuo può passare un posto di blocco, ad esempio, e registra automaticamente in modo biometrico ogni nuovo volto scansionato. Se non esiste alcuna iscrizione per un individuo, gli verrà negato il passaggio. “Red Wolf” può anche negare l’ingresso in base ad altre informazioni memorizzate sui profili palestinesi, ad esempio se un individuo è ricercato per essere interrogato o arrestato. La tecnologia di riconoscimento facciale supporta una fitta rete di telecamere a circuito chiuso (CCTV) per tenere i palestinesi sotto osservazione costante. C’è poi “Blue Wolf”, un’applicazione di riconoscimento facciale a cui le forze israeliane possono accedere tramite smartphone e tablet, e usare sul campo, durante le incursioni o ai posti di blocco temporanei per catturare foto di palestinesi. Il terzo sistema è il “White Wolf”, un’applicazione per i coloni che permette loro di controllare se i lavoratori palestinesi hanno i permessi corretti. Il sistema consente ai coloni di accedere a dati governativi riservati. A collegare tutto questo sistema c’è il “Wolf Pack”, un database che mira a costruire un profilo di ogni palestinese in Cisgiordania, includendo informazioni come il nome di una persona, dove vive, i suoi familiari, le targhe delle auto e se è ricercata o meno. Tutto questo dà luogo alla cosiddetta “Automated Apartheid”.