Francesco Mandarano
Il 22 giugno 1941 le truppe di Hitler invadono l’Unione Sovietica. Questo avvenimento merita di essere adeguatamente approfondito a circa 80 anni di distanza dal suo verificarsi. La prima considerazione da farsi è che i nazisti non invadono l’Unione Sovietica in omaggio a precedenti vittorie. Essi, invece, si rivolgono ad Est in seguito alla sconfitta nella “battaglia d’Inghilterra” del 1940. In sostanza, Hitler non essendo riuscito a conquistare l’Inghilterra con l’invasione dell’isola, pensa di poterla costringere a trattare dopo essersi impossessato delle terre russe. A questo punto bisogna fare alcune considerazioni sulla macchina bellica nazista molte volte esaltata oltre i suoi meriti dimenticando le violazioni della neutralità del Belgio e dell’Olanda e la mancata dichiarazione di guerra all’Unione Sovietica. La borghesia rimprovera ad Hitler solo di aver perso la II guerra mondiale, ma non di averla preparata e scatenata. Naturalmente ciò è avvenuto con la complicità e responsabilità della cosiddette “Democrazie Occidentali”, Francia e Inghilterra, che dopo la prima guerra mondiale hanno imposto alla Germania sconfitta clausole molto pesanti, tra cui il disarmo e, poi, hanno chiuso gli occhi di fronte al palese riarmo nazista, con la speranza che le armate di Hitler si sarebbero scatenate soltanto contro l’Unione Sovietica. Le cose, poi, sono andate ben diversamente, in quanto Francia ed Inghilterra non hanno mai voluto opporsi alle mire espansionistiche naziste, cedendo, anzi, di fronte ad ogni richiesta nazista di occupazione territoriale dall’Austria alla Polonia. In tal modo Hitler si è sentito padrone del mondo. Per di più, Francia ed Inghilterra non hanno mai voluto coinvolgere la Russia di Stalin in una sistemazione pacifica dell’Europa. In una situazione del genere Stalin ha cercato di evitare la guerra con il nazismo mediante il patto Molotov-Ribbentrop, dell’agosto 1939, che per l’Unione Sovietica non è stata una scelta, ma una necessità di allontanare l’aggressione nazista per non trovarsi a combattere su due fronti perché già impegnata a contrastare il Giappone che aveva invaso la Manciuria. Questo obiettivo Stalin è riuscito ad ottenere non per sempre ma soltanto per quasi due anni.
La mattina del 22 giugno 1941 le armate naziste forti di molti milioni di uomini hanno invaso le terre russe, con la speranza di far crollare le difese sovietiche in poche settimane. Queste previsioni non si sono avverate e dopo i primi mesi di sbandamento, l’Armata Rossa difese eroicamente il territorio sovietico. Addirittura, nel 1942 passò al contrattacco e batté i nazisti a Stalingrado il primo febbraio del 1943, quando il maresciallo Paulus si arrese con tutta la sesta armata. La sconfitta di Stalingrado fu per Hitler l’inizio della fine. Difatti, da allora, nel territorio di guerra sovietico, l’iniziativa bellica passò all’Armata Rossa, che in circa due anni di tempo riconquistò tutte le regioni russe ed il 2 Maggio 1945 raggiunse Berlino, issando la bandiera Rossa sui palazzi del potere nazista. Questa guerra è costata al popolo sovietico ben 16.000.000 di morti tra la popolazione civile e 11.000.000 di morti tra i militari.
Di queste immense perdite i popoli europei, sia dell’Occidente che dell’Oriente, si sono quasi totalmente dimenticati. Per quanto riguarda l’Italia, anche in questa vicenda bellica ancora una volta l’istrione Mussolini svolge il ruolo di parente povero ed incapace. Infatti, egli non viene neanche avvertito con anticipo, da Hitler dei suoi piani di attacco all’Unione Sovietica. L’invio di militari italiani in terra sovietica viene prima da Hitler rifiutato e, poi, accettato contro voglia. Naturalmente, le deficienze dell’armamento italiano si rivelarono subito: mancano le divisioni corazzate e quelle motorizzate, l’aviazione è quasi inesistente, l’armamento è antiquato, il vestiario dell’esercito italiano è adatto alle temperature della Sicilia, non al rigido inverno russo, dove le temperature vanno dai 20 ai 40 gradi sotto zero. I nostri militari in tali circostanze, fanno il loro dovere, ma quando l’Armata Rossa attacca, con grandi mezzi e superiorità di uomini, anch’essi vengono travolti e muoiono a centinaia di migliaia nelle steppe del fiume Don. In quelle terre nascono i primi germi della Resistenza italiana, in quanto i militari del nostro esercito si rendono conto di essere stati mandati allo sbaraglio, senza logistica e senza adeguata copertura aerea. Per di più, i soldati italiani capiscono che i russi non sono un popolo inferiore, come descritto dalla propaganda nazifascista, ma degli uomini come loro, persino di indole più pacifica della loro. Inoltre, si rendono conto che i nazisti non li trattano da alleati, ma da servi e cominciano a domandarsi, perché sono stati mandati da Mussolini a migliaia di chilometri da casa a conquistare una terra che non sarebbe stata mai loro, ma che, al massimo, poteva servire come spazio vitale per i nazisti. In sostanza, i nostri concittadini di allora, nelle gelide regioni russe, hanno elaborato la convinzione che le guerre sarebbe bene non farle, ma se proprio bisogna farle sarebbe opportuno avere dei vantaggi, non sacrificarsi per padroni duri come i nazisti. Molti di questi militari, tornati in Italia salirono sulle montagne, maledicendo Mussolini che li aveva mandati, solo per soddisfare il suo prestigio personale, in terre lontane e con un clima per loro inospitale, che, se tutto fosse andato bene, potevano diventare un mercato per l’industria nazista, non certo per quella Italiana, strutturalmente molto più debole. Proprio in base a queste riflessioni i primi nuclei Partigiani ebbero il seguente motto:
Solidarietà tra i Popoli!
Pace tra gli Stati!