di Armando Reggio
La tattica della destra non muta: autodefinendosi moderata, tranquillizza il popolo sulle conseguenze dei propri provvedimenti, tacendone i contenuti sovversivi.
La sua parola d’ordine è “ordine”!
Tralasciando la retorica ‘pro domo sua’ di Berlusconi – ormai santificato fra i grandi milanesi al Famedio con il sigillo politico del sindaco Beppe Sala -, l’estrema destra attuale è dedita all’imbroglio.
Sì, ha imbrogliato sin da subito con il decreto antirave, che puntuale mai è stato applicato sinora. Ricordate la loro propaganda circa i benefici collettivi per “la nazione”?
L’imbroglio c’è, ma da buon prestigiatore, non te lo farò scoprire!
Sul contenuto controriformistico e le mosse tattiche del Governo illuminanti sono i pareri dei più insigni nostri costituzionalisti.
Godibile, trovo in particolare, il piglio ironico del prof Gustavo Zagrebelsky, uomo di raffinata cultura umanistica, che molto giova alla sua sapienza di costituzionalista.
È pressoché unanime l’argomentato giudizio sullo stravolgimento della nostra Carta, concepito dai ‘luminari’ della Meloni capeggiati dalla Casellati. Lei, la signora aspirante alla Presidenza della Repubblica, che compulsava il telefonino durante la votazione intercamerale e che, durante il mandato alla presidenza del Senato, ha compiuto numerosi viaggi di Stato nel suo Veneto!
I sudditi… ops, i cittadini… vanno preparati: è già in corso la predisposizione, affidata ai fedeli sondggisti, di iniziative, che presenteranno la “riforma della storia” (parola della Meloni) quale servizio popolare!
E Sergio Mattarella? Tace, opportunamente: glielo richiedono il ruolo istituzionale e lo stesso temperamento. Ma il silenzio – si sa – può nascondere pensieri inconfessabili, anche in un cattolico!
Innanzitutto, l’attuale mossa meloniana incide restrittivamente sui poteri del Capo dello Stato, più – è quanto dire – delle controriforme di Berlusconi del 2006 e di Renzi del 2016, che bocciammo con i referendum confermativi, che ben si rivelarono abrogativi.
La Meloni e la Casellati si sbracciano a voler rassicurare che nulla muta su quei potere: così non fanno che smentire sé stesse. Modificare gli articoli che regolano la formazione del Governo evidentemente limita indirettamente i poteri del Presidente. La Meloni, astutamente coerente nel suo intento rassicuratorio, ha infatti reso noto che ci sono state “interlocuzioni con gli uffici del Quirinale, come avviene per tutti i provvedimenti”.
Cosa ha voluto intendere? Che Palazzo Chigi e il Quirinale hanno collaborato nella stesura del testo? Un bluff, ovviamente. Dal Colle é discretissimamente giunta una chiara smentita, ovvia anche per un ignorante di cose istituzionali. Infatti, “Il Presidente è stato sì informato dei vari passaggi, ma la riforma non ha ricevuto nessun avallo. E del resto il Capo dello Stato non interviene sui disegni di legge”.
Medesimo – sa ancora l’ignorante di cose istituzionali – è lo spirito che sempre informa, e necessariamente informerà in questa circostanza, l’apposizione della firma di Mattarella a calce del DDL in questione. la firma è un “atto dovuto”, non certo attestato di concordanza sul contenuto del testo.
È il cardine della Repubblica parlamentare sancito dalla nostra Carta, che alla destra mai è piaciuto. E mai geneticamente piacerà.
Il Presidente, anche se fosse contrario, non si esprimerebbe, come è sua necessaria consuetudine. Il dottor sottile Giuliano Amato, parlando da costituzionalista, ha del resto dichiarato: “Per farlo dovrebbe prima dire ‘domani mi dimetto’, in modo da affrontare una questione che non lo riguarda più”.
Peraltro è da considerare che Mattarella è un cattolico popolare: questa controriforma, che prevede un premio di maggioranza al 55% da assegnare alle liste collegate al premier eletto, è antitetica alla tradizione cattolico-democratica, propria della sua formazione politico-costituzionale.
Inoltre, obbrobrio nell’obbrobrio, non è prevista una soglia minima di consenso elettorale: potremmo così assistere a una maggioranza relativa, toh, del 35%, che trarrebbe il 55% dei seggi.
Similmente, sulla rappresentatività, proprio Mattarella nel 1993 – dopo il referendum, nel quale stravinse il sistema maggioritario – fu relatore della legge elettorale, che ne dové conseguire.
L’allora deputato DC si impegnò per evitare che il nuovo sistema distorcesse spropositatamente il rapporto tra voti e seggi, prevedendo la quota del 25% di deputati e senatori eletti con il proporzionale. Non casualmente, infatti, il suo ‘Mattarellum’, modificato più volte dalle maggioranze di turno, per molti – che lo hanno spesso rievocato negli anni – rimane il sistema elettorale migliore della ‘seconda Repubblica’, pur se opportunamente adeguabile ai nuovi assetti politici.
Ecco, per il nostro Presidente è il Parlamento il luogo in cui si formano le maggioranze di governo. Perciò, è verosimile che egli ritenga che la Costituzione non possa fissare con rigidità le sue modalità.
Nella cultura popolare è alta anche la sfiducia nelle scorciatoie populiste e nell’accentramento dei poteri in un’unica carica, ancor più in un premier eletto a suffragio universale. È intuibile la sua contrarietà: a differenza dei presidenti americani e francesi, il premier configurato dall’estrema destra non avrebbe nelle Camere un bilanciamento nei poteri, ma una maggioranza obbediente e acritica per dettato costituzionale. Dettato, fonte primaria del diritto.
Non va sottaciuto che l’estrema destra mente sul suo stesso testo: le norme transitorie della controriforma prevedono che essa entri in vigore al primo scioglimento delle Camere dopo l’approvazione. Quindi, nel 2027, quando Mattarella sarà ancora in carica. Non nel 2029, quando scadrà il suo secondo mandato settennale.
Cosa farebbe Mattarella, se malauguratamente il referendum si rivelasse confermativo?
Osserva il costituzionalista Francesco Clementi che per ossequio costituzionale e per non esercitare il proprio ruolo con le prerogative ristrette in relazione alle sue due investiture, potrebbe dimettersi. È un’ipotesi!
Certo è che l’estrema destra intende sferrargli uno schiaffo con il guanto di finto velluto. Sì, perché lo vuole ingessare in una rappresentatività formale e umiliare sul piano personale, attentando alla sua stessa cultura istituzionale.
7 Novembre 2023