IL RINTRACCIO DELLA VERITÀ
LINGUISTICA E POLIZIA
1. A Bologna, durante la Repubblica Sociale Italiana, fra il 21 e il 23 novembre 1944 i poliziotti del regime nazifascista, attuando una strategia del terrore che, nei loro piani, avrebbe spinto verso una richiesta di “ordine” i ceti medi cittadini, sequestrarono, torturarono e ammazzarono, abbandonando i loro cadaveri per la strada, quattro noti professionisti: il pediatra Pietro Busacchi, gli avvocati Giorgio Maccaferri e Alfredo Svampa, e l’industriale Francesco Pecori. Con un depistaggio che ritenevano “astuto” gli sbirri del regime, abbandonati a scopo pedagogico i poveri corpi in mezzo alla strada, confezionarono biglietti con false rivendicazioni partigiane.
Sul corpo di Giorgio Maccaferri gli inquirenti sostennero di aver trovato un biglietto con la scritta “Tradì il santo movimento di liberazione”; su quello di Alfredo Svampa “Così finiscono i fascisti e gli ex-fascisti”, e su quello di Pietro Busacchi “Traditore della causa democratica”. La Guardia Nazionale Repubblicana (che era formata dal PNF trasformato in banda armata), la Polizia e le Brigate Nere, lavorando di comune accordo, gestivano squadre di assassini e di torturatori, che ammazzavano antifascisti e sospetti partigiani, e poi svolgevano indagini per scoprire gli autori dei delitti. Sul Carlino del 26 novembre 1944 viene pubblicata la seguente velina:
Sui moventi di codeste uccisioni e sulle circostanze in cui si sono svolte, e che le fanno ritenere opera dei fuori-legge, il Capo Provincia ha ordinato agli organi di polizia rigorosissime indagini per il rintraccio e la giusta punizione degli assassini, nel quadro dell’opera di repressione dei turbamenti della vita cittadina.
Ma, nonostante la macabra messa in scena, che doveva suscitare terrore, e il depistaggio con i fogli delle rivendicazioni partigiane, i nazifascisti non ottennero il loro scopo: tutti capirono chi erano gli assassini, e anche gli esitanti si spostarono su posizioni antifasciste.
Nella prosa del Carlino i poliziotti nazifascisti danno almeno due prove di originalità: dopo aver dimostrato fantasia nell’escogitare la messinscena dei foglietti con le rivendicazioni partigiane, esercitano la loro creatività anche in campo linguistico. Il rintraccio degli assassini è infatti una licenza letteraria: rintraccio è un termine che non esiste in italiano, non c’è in nessuna delle edizioni del vecchio Tommaseo, né nel Nuovisimo Melzi, nel Palazzi, nello Zingarelli. Il rintraccio è un neologismo partorito negli uffici della GNR bolognese; forse ai redattori del misfatto e dell’assassinio sembrava più maschio, più virile, più fascista che non il banale “rintracciamento”.
2. Roma, 10 giugno 2015, Commissione Moro. Alla commissione parlamentare da poco insediata e sapientemente condotta verso il nulla dal presidente Giuseppe Fioroni, uomo della Nato e della destra anticomunista, l’Ispettrice Tintisona legge la sua relazione. È stata incaricata di raccogliere testimonianze, perizie e dati per fare il punto sullo stato delle conoscenze, disponendo nuove indagini e relazionando ai parlamentari.
La relazione scritta con la quale accompagna le varie nuove perizie tecniche e le nuove indagini è piena di ombre ed omertosa; alla banalità di tante affermazioni e alla inattendibilità di tante perizie si sommano palesi falsità e diverse violenze grammaticali. Enfatizzando la grande fatica degli inquirenti per scoprire che fine ha fatto la Austin Morris targata Roma T50354 messa da Patrizio Bonanni al posto del furgone del fioraio Spiriticchio per agevolare l’azione dei terroristi, la dottoressa Tintisona scrive: il rintraccio dell’auto è stato particolarmente difficoltoso…
Detto non per inciso, sarebbe bastato rivolgersi ad uno qualsiasi dei 1600 sportelli dell’ACI o della Motorizzazione civile per ottenere a modico prezzo una visura storica della targa dell’auto, dalla quale gli inquirenti avrebbero potuto sapere il nome del primo intestatario e tutti i successivi passaggi di proprietà, fino alla demolizione. Ma invece i nostri solerti poliziotti sono stati mandati a Pomezia, per avere, con difficoltà e fatica, le informazioni che chiunque può avere sotto casa, alla delegazione ACI di quartiere.
Il giorno 8 luglio 2015, fornendo chiarimenti sulle relazioni “tecniche” presentate mesi prima alla commissione, il responsabile della Direzione Centrale della Polizia di Prevenzione (DCPP) dottor Lamberto Giannini, riprende lo stesso termine usato dall’Ispettrice Tintisona, che, oltre ad essere sua moglie, è anche Primo Dirigente della Polizia di Stato e ufficiale di collegamento fra questa e la Commissione; “rintraccio”, ripete oralmente più volte il dottor Giannini: rintraccio.
Come un massone dormiente, richiamato in servizio dal Gran Maestro, come un mostro in letargo quando arriva la primavera, come un preziosismo stilistico riesumato dal D’Annunzio, rintraccio, vocabolo dormiente negli scaffali delle questure, riemerge dal suo sonno settantennale, dimostrando una insospettata vitalità e una incredibile vitalità dal 1944 ai giorni nostri.
Ne prendano atto i Soloni del Vocabolario della Crusca, che danno spazio a espressioni come scendi il cane e sali il gatto: qui c’è un “rintraccio” poliziesco stilisticamente notevole.
Poiché il linguaggio ci trascende, e parla di noi e delle nostre frequentazioni, questo termine esistente soltanto nelle questure, attraverso quale filiera giunge fino agli inconsapevoli membri della Commissione Moro? Sono ancora vivi quei funzionari dell’OVRA, quei torturatori nazifascisti che al tempo stesso erano assassini e inquirenti, felici inventori di depistaggi geniali e originali innovatori linguistici?
O invece la chiave del rebus sta nel fatto che il dottor Giannini utilizza un brogliaccio prestampato, risalente al 1944, nel quale bisogna sbarrare con crocette voci come “caduta dalla finestra”, “morte accidentale”, “auto parcata”, ecc. ecc., coniati e declinati nello stile poliziesco?
A quali letture si dedica il capo dell’Antiterrorismo quando non appare sul palcoscenico della Commissione Moro, per dare voce allo spettacolo delle perizie al laser?
A quale scuola di retorica si è formato?
3. Poiché il linguaggio ci trascende, parole e costrutti dicono di noi più di quanto noi stessi, interrogati, saremmo in grado di dire. Del fantomatico killer in tuta da motociclista che in via Fani spara con un mitra all’Alfetta della scorta, visto da numerosi testimoni e immaginato anche dalla teste Lina Cinzia De Andreis, subornata dagli inquirenti, in tutti i verbali dei CC e della polizia si dice che è travisato da motociclista.
Questa licenza stilistica spalmata su relazioni e verbali di istituzioni diverse offre lo spunto per ulteriori indagini linguistiche. Da dove viene il termine travisato ? La risposta è facile: il copyright appartiene al magistrato Luciano Infelisi, che si piazza per due settimane in via Fani 109, scala B interno 18, nell’appartamento occupato da Tullio Moscardi, colonnello dei Servizi ed ex Decima Mas, e dalla professoressa Maria Iannaccone, che poi diventerà sua moglie. Infelisi si fa mandare lì i testimoni, detta i verbali, controlla le deposizioni, modifica le dichiarazioni, nasconde alcuni dati, e detta i testi unificati dei verbali definitivi, sottoscritti da CC e polizia. È lui l’Autore dei testi.
Forse la BMW che Roberto Calvi gli regala è un premio letterario come il Premio Bancarella, assegnato alla migliore fiction mai scritta? O la BMW è un riconoscimento per l’azione di depistaggio attuata prima, durante e dopo la strage di via Fani? O una ricompensa per aver sapientemente interpretato i desideri della mafia italoamericana, di Licio Gelli, di Giulio Andreotti e della P2 nell’attacco alla Banca d’Italia, per favorire lo IOR, Paul Marcinkus, Michele Sindona, e aiutato i killer dell’avvocato Giorgio Ambrosoli?
Sì, forse quella BMW non è solo un riconoscimento letterario, ma un premio alla carriera. Chissà dove era parcata la mattina del 16 marzo 1978, mentre il magistrato dettava da via Fani 109 il testo dei verbali in bello stile cancellieresco?
Nessuno degli incolpevoli membri della Commissione Moro, all’oscuro perfino dei documenti sotto i loro occhi, depositati da quarant’anni nell’archivio del Senato, ha avuto la curiosità di chiedergli: dottore, dov’era parcata quella BMW il 16 marzo? Dov’era parcata?
Alle fronde dei salici per voto / anche le loro cetre erano appese.
[Articolo scritto per l’antologia ÀRIMO ALÈRIA MARANGONE. Linguistica e archeologia, Li.Pe. editore, 2019]