di Angelo Ruggeri
Dagli anni 90 ad oggi una “ rivoluzione passiva”, contro la Costituzione
Anche per non essersi opposti per tempo e già nel 2010 alla cosiddetta “riformetta” di PDL-UDC-PD, nonché alla “modernizzazione”, alle idee, criteri e proposte di modifica della Seconda Parte della Costituzione sostenute fin dalla metà degli anni 80, aventi per scopo e motivazione la modernizzazione e l’efficientismo obbiettivo e argomentazione di destra e della destra reazionaria ed anche occulta.
Dopo che negli anni 60 e 70, messa in discussione la pianificazione capitalistica, si era univocamente parlato di “riforma della società e dello stato” in attuazione della Costituzione, si arrivò negli anni 90, in modo difficilmente comprensibile, ad invocare più genericamente “riforme” – costituzionali e non – all’insegna di una transizione ad una “seconda Repubblica”, espressione nefasta che uno storico contemporaneo (Pietro Scoppola “La Costituzione contesa”) ci rammenta avere precedenti nel “Piano di rinascita democratica della P2” che per ciò non dovrebbero incoraggiare ad usare tale fumisteria lessicale chi si muove lungo la via dell’attuazione della Costituzione: le cui caratteristiche distintive, dei Principi Fondamentali, sono identificati come norme volte a superare i limiti degli enunciati proprio dei “preamboli” delle costituzioni liberali intese a precludere l’eguaglianza sociale oltre che il classismo proletario antitetico al classismo borghese.
Si attivò cosi una specie di RIVOLUZIONE PASSIVA contro la Costituzione, avviatasi negli anni 90, nel segno del Piano P2 con le modifiche ai regolamenti parlamentari e la modifica del sistema elettorale proporzionale con l’introduzione dell’anticostituzionale uninominale-maggioritario e con una piccola quota proporzionale, alla tedesca, della famosa Legge “Mattarella”, seguite dalla Bicamerale D’Alema e dalle modifiche “federalistiche” al Titolo V della Carta, dall’introduzione del pareggio di Bilancio e, nel presente, dalle modifiche costituzionali apportate nelle fasi del governo Conte 1 e 2, riguardanti gli articoli relativi ai referendum e al numero dei parlamentari, MODIFICHE TUTTE AVVENNUTE nel più totale silenzio, nella più totale mancanza di dibattito e confronto grazie ad una gigantesca omertà messa in campo dall’insieme del sistema, tra cui in primis i mass media, avviatasi dagli anni 90, con la Bicamerale Jotti e quella D’Alema.
RIVOLUZIONE PASSIVA che, quindi, giunge ad una più grave con il famigerato Patto di governo PD-5 Stelle, ma che ha avuto sempre tra i suoi AGENTI E PROMOTORI il costituzionalista Valerio Onida, che iniziò la sua carriera di AGENTE DELLE SOVVERSIONE COSTITUZIONALE nel 1991, quando da strenue sostenitore dell’illegittimità costituzionale del sistema maggioritario all’IMPROVVISO divenne strenuo sostenitore del sistema maggioritario come oggi è strenuo sostenitore del taglio dei parlamentari oltretutto con motivazioni che non se ne possono immaginare di più risibili.
Vale a dire che nonostante l’invito di Scoppola a non rifarsi alle locuzioni e invocazioni di “seconda repubblica” Valerio Onida dal 1991 ad oggi è uno degli AGENTI che più si è prestato a rimuovere la rappresentanza e la centralità del Parlamento e a realizzare la drastica riduzione dei parlamentari nel segno del PIANO DI RINASCITA DEMOCRATICA DELLA LOGGIA P2 di Licio Gelli.
Una rappresentanza parlamentare della sovranità popolare RIDOTTA al n. di 400, numero magico, evidentemente e come abbiamo già ricordato, giacché appare frequentemente nella storia, da quando 400 fu il numero a cui Mussolini ridusse il Parlamento, e che da allora è stato riproposto in tante e nelle più varie occasioni , tra cui anche nelle proposte di revisione costituzionali di Berlusconi e Renzi respinte dal popolo nei referendum. Riduzione dei parlamentari a 400 motivato sempre come scopo efficentista che trattasi di obbiettivo e argomentazione di destra e della destra anche reazionaria e, anche occulta, a cui evidentemente si è iscritto o si ispira anche il costituzionalista Valerio Onida, e sostegno di “riforme istituzionali” alla tedesca, con solo una camera eletta e un senato non elettivo. Cosa che è stata fatta – ad esempio dalla stessa Jotti – strumentalizzando anche l’idea-forza del monocameralismo che mira a soluzioni opposte a quelle dell’efficientismo, dell’economicismo e razionalizzazione.
Quindi sosteniamo e votiamo NO nel prossimo referendum costituzionale, ma a dimostrazione di come sarebbe stato necessario e possibile, volendo, sbarrare la strada al taglio dei Parlamentari già almeno un decennio fa, riportiamo il documento con cui a questo avevamo invitato già nel 2010.
Angelo Ruggeri Centro S.d’Albergo-Il Lavoratore e Mov. Naz. Rilancio Costituzione
Anche se non ancora corroborato dalla ricapitolazione del dibattito storico e recente svoltosi in Italia, sul ruolo e funzione del Parlamento, è talmente pernicioso il silenzio sulla grave lesione della democrazia che si produrrebbe con la riduzione dei parlamentari – di cui tacciono TUTTI come tacciono della prevaricazione dell’esecutivo sul Parlamento, quindi sulla società e sulla democrazia (altro che la “democrazia partecipativa” propagandata da chi tace) – trasmettiamo a tutti il nostro documento del 8 GENNAIO 2010.
PER DIFENDERE IL PARLAMENTO – Aprire un dibattito per respingere la c.d. “riformetta” di PDL-UDC e PD varata col sostegno del capo dello Stato Centro studi IL LAVORATORE, Milano 08/01/2010 “la riduzione del numero dei parlamentari punta a ben più gravi obiettivi di lesa democrazia e, in ordine cronologico, è stata patrocinata (sempre indicando il n. di 400 evidentemente “magico” sia per il fascismo che per i revisionisti di oggi. Si può rompere il silenzio e almeno discutere di tale e tali gravi manomissioni diacronicamente proposte da anni e sincronicamente recepite, in questi anni, da tutti (anche da “sinistra” e giuristi) ed oggi dalla governativa “revisione” ? Il capo dello Stato, Giorgio Napolitano, rappresentante dell’unità nazionale, nell’ultima sua “esternazione” ha perorato la causa di un accordo parlamentare – concordato al Senato in Commissione ma tradito in Assemblea – per la revisione costituzionale della “forma di governo”, sollecitando di respingere il “semipresidenzialismo” e il Senato “federale” pattuiti tra Pdl e Lega Nord, a favore della – a suo dire– meno “radicale” intesa tra PDL, UDC e PD che, addirittura, negli ambienti di maggioranza viene etichettata come “riformetta“. Va però richiamata l’attenzione sul fatto che tale intesa contiene a sua volta elementi di “radicalità antiparlamentare “: a cominciare dalla grancassa demagogica che accompagna il primo punto già votato dal Senato, e concernente il numero dei deputati, ridotto da 630 a 508, in nome di una pseudo-risposta alla c.d. “antipolitica” che lamenta con ben altri argomenti l’accesso di spesa per l’attività politico-parlamentare. Perciò tacere dalle ragioni che insidiano il Parlamento con il potenziamento del presidente del consiglio e le limitazioni di autonomia dei gruppi parlamentari delegittimati a sfiduciare il governo se non in grado preventivamente di raggiungere un nuovo accordo contro il governo in carica (la c.d. “sfiducia costruttiva”), urge far sapere all’opinione pubblica che la riduzione del numero dei parlamentari punta a ben più gravi obiettivi di lesa democrazia, e quindi della politica. Risulta infatti chic nella storia istituzionale italiana, nei momenti più delicati della sua crisi, patrocinatori di un numero evidentemente “magico” di 400deputati sono stati, in ordine cronologico: 1) la legge 17 maggio 1928 n.1019 tre anni dopo l’istituzione del “capo del governo” e la relativa dittatura fascista (art.1) ; 2) il progetto di legge di revisione costituzionale della Commissione “bicamerale” D’Alema (art.85, primo comma); 3) il progetto di legge di revisione costituzionale Berlusconi-Bossi in numero di 518 (art.56 secondo comma). Ora, poichè il referendum popolare nel 2006 ha bocciato tale ultima ipotesi che coincide con quella adottata testè al Senato (508), è singolare che tutti i fanatici referendaristi tacciano sull’inutilità di tale voto, e che si nasconda il vero obiettivo intrinseco alla riduzione del numero dei parlamentari: obiettivo coincidente con la riduzione della funzione legislativa delle Camere, a cui il Governo può imporre come“priorità” all’ordine del giorno della Camera il disegno di legge indicato dall’esecutivo, fino al punto di consentire al Governo di chiedere alla scadenza del termine che il testo proposto sia approvato “senza emendamenti” e con votazione finale. Né basta, perché contro il bicameralismo “eguale” si affaccia il progetto di bloccare il ruolo del Senato, che solo su proposta di una percentuale dei suoi membri, potrebbe evitare l’approvazione implicita, cioè senza discussione, del progetto trasmesso dalla Camera alla scadenza di 15 giorni. Si può trovare il modo di discutere una manomissione così grave? E’ ammissibile una deriva di tipo autoritario, mentre si parla (come se potesse avere senso in tale contesto) di democrazia partecipativa? Angelo Ruggeri per il Centro Il Lavoratore |