Clima sempre più rovente per il processo che si sta svolgendo al tribunale di Napoli sulla strage del sangue infetto. Il pm denuncia il teste base, il regista americano Kelly Duda, per oltraggio. Gli avvocati delle parti civili chiedono la revoca e sostituzione dello stesso pm.
Intanto alla Voce perviene una intimazione dagli avvocati che difendono il gruppo Marcucci – gli imputati alla sbarra sono infatti ex funzionari o dipendenti del gruppo che ha detenuto il quasi monopolio della lavorazione e distribuzione di emoderivati in Italia – affinchè venga rimosso dal sito l’ultimo articolo, relativo all’udienza del 4 dicembre, considerato lesivo dell’onore di casa Marcucci, preannunciando poi azioni civili e risarcitorie anche per le altre inchieste scritte in passato. Ai confini della realtà.
Ma procediamo con ordine. Fine udienza col botto, il 4 dicembre. Tutti con i nervi a fior di pelle, forse perchè ha appena verbalizzato il teste clou, il giornalista e regista Kelly Duda, arrivato da Los Angeles per illustrare il contenuto del suo “Fattore Ottavo”, il film bomba uscito nel 2006, dopo sette anni di lavoro per raccogliere documenti, interviste e filmare le carceri dell’Arkansas, in cui veniva allegramente prelevato il sangue dei detenuti, sangue che poi veniva distribuito, attraverso la Continental Pharma, ai produttori europei, Italia inclusa. Tutto per accumulare profitti sempre più colossali sulla pelle dei malati.
CI VUOLE UN PM CHE FACCIA IL PM
Fibrillazione dunque in aula quasi alle 5 di pomeriggio, dopo oltre 4 ore di verbalizzazione. Un momento prima che cali il sipario, il pm Lucio Giugliano urla, “un momento”. Segue una concitata spiegazione: il teste Duda – ricostruisce il pm – mi ha avvicinato con la traduttrice e mi ha detto, “un pm come lei negli Stati Uniti è una disgrazia”, per poi correggere l’è in ‘sarebbe‘. Ha aggiunto, il pm, di voler denunciare Duda per oltraggio, e che quindi occorreva trattenerlo per l’identificazione nonché per la fissazione del domicilio legale in Italia, cioè per nominare un avvocato difensore.
A questo punto, dopo aver parlato con la traduttrice, gli avvocati delle parti civili, Stefano Bertone e Ermanno Zancla, hanno fatto presente che Duda si era sentito offeso per via del ritardo fatto registrare dal pm dopo un break nell’udienza.
Ma i colpi di scena non finiscono qui. Gli stessi Bertone e Zancla diramano poi un comunicato in cui fanno presente: “saremo noi a chiedere provvedimenti nei confronti del pm affinchè venga sostituito da un magistrato che faccia veramente il ruolo dell’accusa”.
Un pm che, anche nel corso dell’ultima udienza, non ha brillato per grande attivismo, ponendo al teste appena 4-5 domande. Come del resto è capitato – regolarmente – in quasi tutto l’anno e mezzo del dibattimento. “Un pm stopper e non centravanti”, colorisce un addetto ai lavori.
Alla seconda udienza, inoltre, Giugliano già chiese il proscioglimento di 4 imputati sul totale di 9, basandosi su un’unica testimonianza fino a quel momento raccolta: quella – di cui la Voce ha scritto più volte – del super ematologo Piermannuccio Mannucci.
Il quale, candido come un giglio, ha raccontato la favoletta degli “studenti dei campus universitari americani e delle massaie americane” che avrebbero donato quel sangue: altro che carceri dell’Arkansas! Per non parlare del conflitto d’interessi grosso come una casa che non avrebbe dovuto consentire la verbalizzazione di quel teste chiamato dal pm, visto che si trattava di un consulente di Kedrion – l’odierna corazzata di casa Marcucci – il quale ha anche preso parte a convention in Italia e all’estero promosse dalla stessa Kedrion.
FATTI, NON PAROLE
E finalmente, in occasione della verbalizzazione bollente, anche la grande stampa si è mossa. O meglio, un solo giornale, il Fatto quotidiano, mentre da parte degli altri – quotidiani, periodici, tivvù – continua il silenzio più totale e più tombale, mai la sagoma di un giornalista in aula. Da segnalare solo la presenza di Elisabetta Cannone, per il sito cattolico Città Nuova. L’unico, costante presidio informativo è rappresentato da Radio Radicale, che registra e poi manda in onda tutte le udienze, fin dalla prima.
Nel suo dettagliato ed efficace reportage, l’inviato de il Fatto, Vincenzo Iurillo, scrive: “il tribunale ha acquisito uno spezzone di video in cui il dottore intervistato da Duda che amministra la raccolta del plasma nel carcere dell’Arkansas, dichiara di essere andato a Rieti nel 1982 durante la campagna di richiamo del sangue perchè era stato appurato che alcuni donatori erano risultati positivi al test dell’epatite. Il medico non ricorda il nome di società o di persone. Ma come sottolineano i difensori di alcune delle parti civili, gli avvocati Stefano Bertone ed Ermanno Zancla, a Rieti aveva sede una delle società del gruppo Marcucci”.
Continua Iurillo: “La deposizione di Duda, secondo i due legali, ‘dimostra per la prima volta un nesso tra la provenienza di sangue infetto da un carcere americano e gli emoderivati prodotti in Italia’. Una tesi che i legali dei nove imputati rigettano, sicuri di dimostrare l’innocenza dei loro assistiti. Tra loro non c’è più il principale accusato, il patròn Guelfo Marcucci, scomparso a 87 anni durante il processo”.
LA MISSIVA DEI LEGALI DEGLI EREDI MARCUCCI
Ecco riprodotta qui di seguito la missiva inviata via email da due legali degli imputati, Alfonso Stile e Carla Manduchi, che scrivono per conto degli “eredi Marcucci”.
LA RISPOSTA DELLA VOCE
Gentili avvocati,
rimango ancora una volta di più stupito dall’aggressività che impiegate nella tutela dei Sigg. Marcucci, prima il Sig. Guelfo ed ora i suoi eredi.
Così come resto sorpreso, direi sbigottito, dalla infondatezza delle accuse che mi muovete, soprattutto alla luce delle progressive acquisizioni del processo, al punto da dovermi ora interrogare sulla buona fede che determina le vostre missive.
Prendendo allora a spunto le vostre osservazioni, desidero precisare questi punti che seguono sia per una puntuale risposta alle vostre richieste, sia perché i lettori possano avere una conoscenza più approfondita dell’intera questione.
Innanzitutto un articolo non è diffamatorio, o altamente diffamatorio, solo perché così lo avete qualificato voi. Ripeterlo ossessivamente non aumenta la forza dell’illazione.
In secondo luogo: secondo voi l’articolo sarebbe diffamatorio perché il titolo stesso si smarcherebbe da quanto è emerso in udienza. Eppure, salva la precisazione che ovviamente, per motivo stilistico e giornalistico “sangue” deve essere inteso come “plasma”, quest’ultimo componente del primo (d’altronde neanche voi lamentate la circostanza), non capisco quale parte della frase “sangue infetto/ dalle galere dell’Arkansas fino agli stabilimenti Marcucci a Rieti” sarebbe falsa e diffamatoria.
Ed infatti.
- La rivelazione principale dell’udienza scorsa, la più importante, da sola idonea a cambiare completamente gli esiti del processo, è stata infatti la definitiva conferma di un fatto storico di cui si dibatteva da decenni, contestato dalle difese degli imputati: che le aziende del gruppo Marcucci lavorassero plasma carcerario USA, ed in particolare dell’Arkansas.
- Henderson, che dirigeva il centro di plasmaferesi dentro il carcere dell’Arkansas, dice che aveva tre clienti, uno di questi a Rieti. Spero non vogliate davvero sostenere l’incredibile a questo proposito, e cioè che non si riferisse all’azienda di proprietà del defunto Sig. Guelfo. E’ documentale infatti che a Rieti avesse sede l’AIMA DERIVATI, di proprietà Marcucci, unico centro di frazionamento per tutti i prodotti per la ‘cura’ dell’emofilia del gruppo, inclusi quelli realizzati da FARMABIAGINI (Uman Cry, Uman Complex).
- E’ stata vostra linea difensiva nel corso di tutto il processo ed anche dei vostri consulenti nell’ambito della perizia medico legale (sulla cui validità, visto che la citate, le parti civili hanno sollevato così tanti dubbi da richiederne l’annullamento) che la trasmissione dell’infezione dell’HCV risultata mortale agli emofilici sia avvenuta con la prima somministrazione, essendo i pool di lavorazione molto ampi e dunque ogni somministrazione potenzialmente portatrice di infezione. Questo, ovviamente, viene sostenuto per scaricare su altri prodotti la responsabilità dell’infezione risultata poi mortale degli emofilici, in tutti i casi in cui non sia possibile dimostrare che il prodotto (in questo caso di aziende del c.d. “Gruppo Marcucci”) sia stato assunto per primo in assoluto. Sono perciò proprio le vostre strategie difensive, predisposte sul diverso piano del nesso di causa, a confermare indirettamente la veridicità del fatto storico che il plasma proveniente dagli USA fosse infetto. Salvo che voi siate invece in grado di provare che il plasma del carcere di Grady, in Arkansas, fosse non-infetto – e allora a quel punto si pone per voi, o meglio per i vostri assistiti nel processo, un nuovo e più grave problema: se a comporre lotti infetti non era il plasma di Grady, in Arkansas, dovrete spiegare quali siano gli altri componenti che infetti senz’altro erano (se non lo fossero stati, non reggerebbe più la vostra difesa principale di cui dicevo prima, per cui ogni singola infusione era infettante) tanto da contaminare un intero lotto.
- A questo proposito infatti arriviamo alla seconda parte della dichiarazione di Henderson audita in udienza, che voi riportate incorrettamente nella lettera: Henderson non afferma affatto che “abbiamo convenuto con i responsabili di quella società che non si potesse determinare SE il nostro plasma avesse contaminato il pool”, ma ben diversamente che le aziende “non furono in grado di dimostrare CHE nei fatti fosse stato il nostro plasma (di HMA/Continental Pharma) AD AVERE CONTAMINATO il pool”. A questo proposito noto che l’errore della vostra lettera di oggi (CHE sostituito da SE) ripete, di sicuro involontariamente, analogo errore compiuto dall’Avv. Manduchi in udienza di lunedì scorso e registrato nell’audio della stessa. Se davvero volete dare un contributo fattivo a questa tragica vicenda, vi chiedo di comunicarmi quali erano gli altri fornitori di plasma che nel 1982 utilizzavate per formare il pool che risultò infetto.
Desidero inoltre commentare qualche altro passaggio della vostra lettera.
Sostenete che “in nessun passaggio dell’intervista mostrata al Dr. Henderson, questi ha citato una campagna di recall posta in essere a Rieti”.
Trovo incomprensibile questo vostro riferimento. Infatti, dal momento che il Dr. Henderson afferma che vi era di fatto un lotto contaminato (evidentemente presso Rieti, altrimenti quale motivo ci sarebbe stato per quella persona di recarsi fino in Italia?), quale utilità può portare alla vostra linea difensiva sostenere che in presenza proprio di un lotto senz’altro contaminato, non vi sia stata alcuna campagna di richiamo?
Nel corso dell’udienza il Duda ha chiarito che la FDA dispose una campagna di recall, ed è a questa campagna di recall che fa riferimento il Dr. Henderson nella sua intervista, il che è anche logico posto che egli narra di un viaggio intercontinentale accompagnato da persone di un’azienda canadese, prima in Spagna, poi in Italia, infine in Canada, proprio per unità di plasma donate da donatori (che si rivelano peraltro essere ben 4) affetti da epatite B.
Non riesco poi davvero a comprendere come un team difensivo come il vostro, che da più di 25 anni segue le vicende giudiziarie legate al contagio da plasma derivati, possa arrivare ad affermare che l’epatite B è una malattia che “non è neppure astrattamente ricollegata ai decessi oggetto dell’attuale processo“. Non solo trattasi di patologia che ha colpito più di una delle persone offese del procedimento in questione, ma soprattutto dovreste sapere che sono oramai dati acquisiti al fascicolo del processo di Napoli le acquisizioni probatorie per cui, fin dai primi anni ’70, in Italia essere portatori di epatite costituiva motivo per impedire la donazione, essere stati a contatto con persone con epatite costituiva motivo per impedire a donazione, essere affetti da epatite B era indicatore di appartenenza a categorie a rischio, la frequenza di persone con epatite B all’interno delle carceri ove veniva raccolto il plasma era molto più alta che nella popolazione normale, le modalità di trasmissione dell’AIDS erano le medesime dell’epatite B, l’esclusione di persone con epatite B dalla donazione mercenaria avrebbe permesso l’esclusione virtualmente di tutti i donatori mercenari affetti da AIDS, questi ultimi infatti coincidenti con i primi. In due parole, l’esclusione delle persone affette da epatite B era metodo efficace per escludere donatori affetti da AIDS in assenza di test specifico, così come l’esclusione di donatori con transaminasi elevate era metodo efficace per escludere donatori affetti da epatite C in assenza di test specifico.
Sulla cronistoria del processo o meglio delle sue propaggini mi limito a ricordarvi che nel caso ove vi è stata sentenza definitiva di assoluzione perché i fatti non sussistono, il tribunale di Trento ebbe comunque ad osservare fatti molto poco onorevoli: “pesanti ombre permangono sull’operato degli imputati e di cui occorre dar conto, non per amore di ridondanza. Inquietante era lo stato di assoluta superficialità e negligenza con cui venivano custoditi questi delicati prodotti biologici per uso umano. Essi erano frammisti a generi alimentari surgelati destinati alla distribuzione, tipo gelati, cervella bovine e baccalà, giacevano in mezzo a bottiglie rotte e messi alla rinfusa con all’interno liquidi di natura non stabilita…. E parliamo non certo di irregolarità formali, ma di vere e proprie violazioni della legge e dei regolamenti, disciplinanti le modalità con le quali deve essere conservato il sangue umano e i suoi derivati, a fini igienici e sanitari”.
Per il resto, non ho intenzione di entrare nel dettaglio dei singoli procedimenti ed indagini che citate, posto che è sotto gli occhi di tutti come 23 anni perché si apra un dibattimento siano un lasso di tempo che definire sonnecchiante è fin troppo leggero. Peraltro questo giudizio non riguarda voi, che dunque non avete ragione né legittimazione per lamentarvene (se non indirettamente, in relazione all’eccezione di incompetenza territoriale sollevata a Trento nel 2003 e che ha comportato la paralisi del processo per le aziende italiane per 13 anni) ma all’amministrazione della giustizia.
Concordo con voi però – è inevitabile – sul fatto che sia inspiegabile che per i soli imputati italiani, e non anche per quelli stranieri vi sia stata l’imputazione coatta. Così come trovo del tutto inspiegabile, se non per una gravissima carenza dell’amministrazione della giustizia, che l’unico processo penale in corso in Italia sia quello che riguarda i vostri assistiti, e non anche tutti i dirigenti ed amministratori delle società straniere, sia austriache che statunitensi. Ma anche su questo fronte confido che le novità acquisite al processo di Napoli, e gli ulteriori passaggi che si determineranno nelle prossime settimane, creeranno le condizioni affinché, finalmente, anche i processi per omicidio colposo plurimo a danno di emofilici partano al più presto.
8 dicembre 2017