Cristiano Lucchi
Come si comportano i media, i politici e le organizzazioni dei riders, composte da semplici cittadini-elettori, nei confronti della gig economy, ovvero l’economia creata dalle piattaforme digitali, in particolare quella che con un paio di swipe sul nostro telefono ci consente di mangiare i tortelli del ristorante direttamente a casa? Quali sono le responsabilità delle nuove tecnologie e quelle dell’attuale sistema di regolamentazione nella continua erosione dei diritti, delle mancate tutele, dei ridicoli compensi che è costretto a subire chi in bici o in scooter fa il fattorino per società come Glovo, Justeat, Uber Eats, Deliveroo, Foodora, Mister Pizza? E come si intreccia la comunicazione di media, politici e riders in questa battaglia di civiltà?
Se lo è chiesto Francesco Cristallo, laureatosi alla Cesare Alfieri di Firenze con la professoressa Giorgia Bulli, nella sua tesi-inchiesta intitolata “In sella alla gig economy“, premiata recentemente dal Corecom della Toscana come miglior tesi in comunicazione del 2019.
Cristallo fa emergere subito la contraddizione principale che ormai è sotto gli occhi di tutti: ad un’innovazione spinta, basata su internet, app e device di ultima generazione, fanno da contraltare forme di lavoro dai connotati ottocenteschi, una contrapposizione tra lavoratori e piattaforme digitali che ricorda la classica frattura tra capitale e lavoro, sviluppatasi, però, nei secoli XIX e XX.
Scrive l’autore: “La mancanza di diritti e tutele dei gig workers ha costretto i lavoratori di questo settore a mobilitarsi per rivendicare diritti legati alla regolamentazione dell’orario di lavoro, alla sicurezza e ad un controllo non invasivo del comportamento durante i turni di lavoro. Diritto alle ferie, alla malattia, contributi previdenziali e copertura assicurativa sono ciò che i riders chiedono alle piattaforme digitali e alla classe politica. Quelli che per la maggior parte dei lavoratori sono diritti “standard”, per i lavoratori dell’economia digitale sono ancora oggi diritti da conquistare”.
Chi vive la città senza mettere la testa sotto la sabbia, e magari non approfitta di questi nuovi schiavi ben rappresentati in questi giorni al cinema in Sorry we missed you di Ken Loach, sa di cosa parliamo. L’alienazione dei tanti fattorini su due ruote sempre in affanno, le loro corse contro il tempo, il lavoro che non cambia se diluvia o la temperatura scende sotto zero, condiscono quotidianamente il nostro spazio urbano.
Ma come reagiscono coloro che sono sfruttati da una app sempre connessa? “Le organizzazioni dei riders prendono le distanze dalle sigle sindacali tradizionali – scrive Francesco Cristallo – e optano invece per la formazione di sindacati autonomi specificamente dedicati alla difesa dei lavoratori come loro”. L’assenza di diritti e tutele è al centro della loro rivendicazione che ha un obiettivo ben chiaro, cioè “il superamento della concezione della gig economy come l’insieme dei lavoretti svolti perlopiù da studenti durante il loro percorso universitario. Di fatto gli introiti del food delivery sono invece, per molti di loro, l’unica forma di entrata economica”. Ed è per questo che “chiedono alla classe politica una legge uniforme a livello nazionale che garantisca diritti, tutele e il rapporto di subordinazione tra lavoratori e piattaforme digitali”.
A tal proposito, registra Cristallo nella sua tesi, sia i media che i politici attaccano l’inciviltà prodotta dalla gig economy senza che però a livello legislativo cambi alcunché. È così che “le piattaforme digitali approfittano della situazione di ambiguità per ridurre i costi e massimizzare i profitti”. Imprese dai nomi suadenti e moderni hanno imposto e stravolto un mercato del lavoro a loro vantaggio grazie ad una politica assente (nel migliore dei casi) o complice (basti pensare all’impatto negativo del Jobs Act sulla vita di milioni di persone). “Come in qualsiasi altra occupazione – scrive l’autore – anche nella gig economy e nel food delivery devono essere presenti dispositivi di tutela volti alla concessione e alla difesa dei diritti dei lavoratori”.
Nell’analisi complessiva dei sistemi di interazione e di comunicazione tra informazione, politica e organizzazioni dei riders – conclude Cristallo – per ottenere risultati “la strada da percorrere sembra essere quella dell’unione. Infatti, la creazione di una sigla unica a livello nazionale potrebbe far aumentare il potere di contrattazione per i lavoratori del settore. Un maggiore potere di contrattazione potrebbe, e dovrebbe, portare infine alla tanto desiderata legge a livello nazionale con diritti, tutele e il riconoscimento del rapporto di subordinazione tra lavoratori e piattaforme digitali”.
17 Gennaio 2020