Lorenzo Baldo
Cronaca di una morte annunciata. Eccola la schizofrenica sentenza di appello al processo sulla trattativa. Sconcerto, amarezza, disillusione, ma certamente nessuna sorpresa. Come da copione. Quello di un film che questo Stato preferisce censurare lasciando a uno dei principali imputati di questo processo, alias Marcello Dell’Utri, la facoltà di definirlo “inesistente” (decisamente interessante la “coincidenza” degli auguri a Dell’Utri pubblicati sul Corriere della Sera due settimane prima della sentenza). Quello stesso Stato che – salvo rare eccezioni – non intende minimamente fare luce sul biennio stragista ‘92/’93. In totale spregio dei familiari delle vittime di quelle stragi. A Giovanna Maggiani Chelli, una delle madri coraggio nella lotta alla mafia, è stato risparmiato questo scempio. Giovanna ci ha lasciato tre anni fa. Ma già nel 2011 questa donna indomita aveva toccato con mano il nervo scoperto di questo Paese: “Facciamola finita di far friggere sulla graticola le vittime delle stragi del 1993. Sono gli uomini dello Stato, a conoscenza dei fatti e che si trincerano dietro la ragion di Stato, a dover dire la verità sulle stragi del 1993!”. E al processo sulla trattativa quegli stessi uomini delle istituzioni hanno tergiversato, omesso, e nei peggiori dei casi hanno mentito spudoratamente. L’enorme imbarazzo durante la sua deposizione manifestato dall’ex presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha indubbiamente rappresentato l’essenza di quelle vergognose testimonianze. L’analisi di Antonio Ingroia è tranciante: “I mafiosi vengono condannati e gli uomini dello Stato vengono assolti”.
Analogo ragionamento lo possiamo trovare nelle parole del consigliere della Dna Nico Gozzo che evidenzia come la Corte di Appello abbia riconosciuto che “la trattativa e la minaccia a Stato ci sono state”.
L’insulto all’intelligenza rappresentato da questa sentenza si scontra con una semplice domanda basata su logica e buon senso. E’ la stessa domanda che si pone anche il nostro direttore: Ma allora con chi trattarono gli stragisti?
Il dolore di Salvatore Borsellino rimbalza forte contro un muro di gomma, contro il leitmotiv “la trattativa c’è stata ma non è reato” che ha portato alle clamorose assoluzioni degli uomini di Stato. “È l’ipotesi peggiore che potessi immaginare perché sull’altare di quella trattativa è stata sacrificata la vita di Paolo Borsellino. Questo significa che mio fratello è morto per niente”.
Le domande di Pablo Ernesto
C’è un’immagine simbolica che racconta l’inizio di questo processo, ed è quella che raffigura Pablo Ernesto, un bimbo di appena due mesi. E’ infagottato a tal punto che quasi non lo si riconosce, ed è raggomitolato in braccio alla sua giovane madre. Lei e il suo compagno sono di Bergamo e sono davanti all’aula bunker del Pagliarelli assieme ad alcuni familiari di vittime di mafia, a diverse associazioni antimafia (Agende Rosse in testa), con tanti cittadini venuti da tutta Italia per chiedere la verità sui mandanti esterni delle stragi e per dare sostegno al pool di Palermo che indaga sul patto tra Stato e mafia. E’ il 29 ottobre 2012, sta per iniziare l’udienza preliminare del processo sulla trattativa. Quel giorno a Palermo c’è un freddo che taglia la faccia, ma nessuno dei manifestanti pare accorgersene, men che meno questa donna che protegge il suo bimbo come solo una madre sa fare.
Oggi Pablo Ernesto ha 9 anni e come tutti i bambini della sua età vive anche lui sulla sua pelle le enormi difficoltà di crescere ai tempi della pandemia. Un periodo storico nel quale la società è sfiancata dal protrarsi di restrizioni e divieti, ma anche segnata da laceranti divisioni spesso indotte da un sistema di potere che, seguendo il motto “divide et impera”, e facendo leva sulla paura e sulla menzogna, continua a calpestare i diritti più fondamentali.
Forse un giorno Pablo Ernesto chiederà ai suoi genitori di quel processo a cui lui ha “presenziato” a soli due mesi. Magari chiederà loro la ragione di tanto livore e accanimento da parte della figlia del giudice Borsellino nei confronti di chi ha sacrificato una vita intera alla ricerca della verità su chi ha trattato con la mafia mentre quest’ultima metteva a ferro e fuoco l’Italia. Probabilmente Pablo domanderà da che parte stava lo Stato e vorrà sapere tutta quella verità che oggi è stata negata. La speranza che quando crescerà questo bambino potrà avere tutte le risposte che ora vengono nascoste è messa a dura prova. Adesso è il tempo degli avvoltoi. Il tempo di chi mente sapendo di mentire: mezzi di informazione in testa, salvo rarissime eccezioni. E’ il tempo di chi si getta nell’arena per infierire nei confronti del pool di Palermo, Di Matteo in primis. Probabilmente questo è il tempo narrato in quel vecchio proverbio arabo che recitava testualmente: “Sui cadaveri dei leoni festeggiano i cani credendo di aver vinto. Ma i leoni rimangono leoni e i cani rimangono cani”.
E la partita non è ancora finita.
Dossier Processo Trattativa Stato-Mafia