IL FINANZIERE ITALIANO CON SEDE A LONDRA HA APPOGGIATO L’ELECTROLUX PROPRIO MENTRE LA SERRACCHIANI COMBATTEVA LA SUA BATTAGLIA: EPPURE SEMBRA ANIMATO DA UNA SINCERA PASSIONE POLITICA
Giovanni Pons
Il suo ultimo tweet ha creato non pochi imbarazzi. Non tanto al suo autore, il finanziere Davide Serra, abituato a giudizi sferzanti, quanto piuttosto all’interno dell’entourage di Matteo Renzi, neo segretario del Partito Democratico. Sostenere senza mezzi termini che la proposta Electrolux di un taglio drastico ai salari della forza lavoro fosse un’operazione “razionale” mentre la renziana Debora Serracchiani stava combattendo una battaglia a difesa dei lavoratori e delle loro buste paga, a molti è sembrato inappropriato. Inoltre qualcuno comincia a domandarsi se le provocazioni di Serra non siano in un certo senso volute, nella consapevolezza che anche un tweet che finisce sui giornali porta con sé notorietà e popolarità. E forse facilita il “fund raising”, cioè la raccolta di soldi da investire. Perché ormai il cortocircuito della comunicazione ha fatto sì che quando il gestore con base a Londra esprime un’opinione su qualsiasi tema, questa venga considerata un’espressione indiretta ma in linea con il pensiero politico del segretario del principale partito italiano. Anche se poi nella realtà non è così.
Ma è un dato di fatto che le rotte di Serra e Renzi continuano a incrociarsi dalla famosa sera dell’ottobre 2012, quando in piena campagna elettorale per le primarie il finanziere ebbe la folgorante idea di organizzare per Renzi una cena privata per far conoscere alla comunità finanziaria milanese i programmi dell’uomo nuovo del Pd. La notizia trapelò sui giornali e l’Unità, che appoggiava apertamente Bersani, il giorno dopo titolava: “La cena delle Cayman”. Prendendo spunto dal fatto che alcuni veicoli attraverso cui Serra raccoglie soldi da investitori internazionali hanno sede nelle Cayman Islands, evitando così una spiacevole doppia tassazione. I proventi della gestione vengono però trasferiti dalle Cayman alla società di gestione di Serra, Algebris Investments, che ha sede a Londra, è regolata dalla severa Fsa e dalla Sec e lì paga le tasse. Così come in Gran Bretagna sono tassati i redditi dello stesso Serra che da circa vent’anni risiede nella City.
Dunque tutto regolare, nessuna evasione, ma il solo richiamo delle Cayman in campagna elettorale ha fatto sì che Serra venisse apostrofato da Bersani alla stregua di un bandito (è seguita una denuncia per diffamazione, con indagini ancora in corso) e Renzi indicato come l’uomo di sinistra che strizzava l’occhio alla finanza speculativa internazionale. Da quel momento, nel bene o nel male, grazie anche a diverse presenze in Tv e ai suoi speech ai convegni, Serra è diventato il primo personaggio della finanza che si permette di “fare politica” commentando senza mezzi termini le storture dell’economia italiana. Uno dei suoi cavalli di battaglia risiede nella grande truffa intergenerazionale che si sta consumando in Italia attraverso il sistema pensionistico retributivo del passato (ora l’Italia è passata al sistema contributivo) che gonfia a dismisura il debito pubblico e lascia ai figli e ai nipoti il conto da pagare. «Il meccanismo retributivo – ha detto a gran voce qualche mese fa alla platea della Leopolda – ha permesso a molti lavoratori che hanno avuto aumenti di retribuzione negli ultimi anni, di percepire una pensione che è pari a tre volte i contributi versati».
Il ragazzo (ha solo 42 anni) si trova a suo agio con i numeri e ha il dono della concretezza, tipica di chi si è fatto le ossa prima alla Bocconi e poi nelle banche d’affari internazionali. E non può sorprendere che sia un pensiero tipicamente liberista quello che Serra cerca di iniettare negli angusti confini italiani, con il capitale e la sua remunerazione al centro dell’economia. Gli altri pilastri, come il sistema anglosassone impone, sono rappresentati dalla meritocrazia e dal rifiuto di qualsiasi privilegio o beneficio di casta. Un terreno sul quale ha trovato molte convergenze con la politica riformatrice di Renzi. Ma che a volte si scontra con la realtà italiana, fatta di spesa pubblica esorbitante, dipendenti pubblici eccessivamente tutelati e cuneo fiscale troppo alto che penalizza la libera imprenditoria. Mali di cui tutti sono a conoscenza ma che nessuno è mai riuscito a estirpare. Il tempo dirà se Renzi riuscirà nell’impresa con o senza le ricette dello schietto Serra che propone di alzare la tassazione sulle rendite finanziarie.
D’altronde, proprio per essere un finanziere sui generis, che ama le luci della ribalta ma allo stesso tempo compra e vende tutti i giorni titoli sui mercati, Serra è spesso circondato da un alone di sospetto. L’uomo è cresciuto in fretta. Analista pluripremiato prima in Ubs e poi in Morgan Stanley, nel 2006 fonda Algebris Investments con il supporto di Chris Hohn, finanziere attivista (in Germania lo chiamavano “Locusta”) di The Children Fund. Un anno dopo uniscono le forze nello spingere la banca olandese Abn Amro, reduce dalla scalata all’Antonveneta, a essere acquisita e poi spezzettata. A trarne profitto fu in primo luogo lo spagnolo Banco Santander di Emilio Botin che si dice sia anch’esso diventato un finanziatore di Algebris. Il fondo punta solo sui titoli di banche e assicurazioni proprio per sfruttare la profonda conoscenza che Serra ha sviluppato nel settore e la sua rete di contatti con i banchieri, italiani e internazionali. Tra i sostenitori della prima ora, anche se nessuno l’ha mai confermato ufficialmente, ci sarebbero Intesa Sanpaolo, Unicredit e Generali guidate ai tempi da Perissinotto, Passera e Profumo, banchieri che avevano apprezzato le capacità di analisi di Serra. E quando alla fine del 2007 con una piccola quota di Generali, Algebris chiede a gran voce un cambiamento della governance della compagnia, Serra si guadagna la fama di outsider che lotta per la trasparenza contro l’immobilismo dell’establishment. Memorabile fu l’assemblea di Trieste in cui il giovane gestore critica apertamente, dati alla mano, la presidenza di Antoine Bernheim e dei due amministratori delegati, tutti pagati ben oltre il dovuto.
La verve di Serra fu ben presto messa a dura prova dalla crisi finanziaria mondiale deflagrata con il fallimento della Lehman Brothers. Il fondo Algebris, con il suo carico di titoli bancari e assicurativi, sprofondò di oltre il 30% nel 2008 e si riprese parzialmente nel 2009. Ma il vero banco di prova arriva nell’estate 2011 con la crisi dei debiti pubblici europei che affossa le quotazioni delle banche zeppe di titoli di stato. A settembre si presenta al meeting di Cernobbio un Serra visivamente provato, dimagrito, molto meno brillante del solito. «La mia asset class si sta sbriciolando», commenta con gli amici in quel frangente delicato, aggiungendo una serie di improperi verso il governo Berlusconi che a suo modo di vedere stava portando l’Italia e l’Europa sull’orlo del baratro. «L’Italia è commissariata, non può far altro che seguire i dettami della Bce», era la sua speranza. Ben riposta visto che da lì a poco Draghi prende le redini della Bce e nel gennaio 2012 lancia il salvagente dei finanziamenti alle banche mentre Monti scalza Berlusconi ed evita il tracollo dell’euro.
In quel difficile 2011 anche Serra ha un’idea geniale: congela il fondo in profondo rosso, tiene calmi gli investitori in perdita e riesce ad aprirne un altro che punta non più sulle azioni ma sui titoli di credito emessi dalle banche, i cosiddetti CoCo bond. Una furbata, la definiscono i gestori londinesi suoi concorrenti. In questo modo non ha dovuto restare a secco di commissioni come prevede la regola aurea dell’high water mark, quella che prevede che un gestore non debba guadagnare fin quando la performance del suo fondo non ritorna all’ultimo livello più alto toccato. Fatto sta che grazie a Draghi e a Monti la situazione migliora, il nuovo fondo di Algebris ha successo e anche quello congelato inizia la risalita. Siamo nel settembre 2012, sempre a Cernobbio, e Serra è tornato di buon umore, confida di aver “shortato” (venduto allo scoperto) i titoli Fonsai e Unipol andando dietro all’operazione di aumento di capitale che il suo amico Alberto Nagel sta faticosamente portando a termine. Ha appena conosciuto Renzi e sta pensando a come poteva far conoscere meglio le sue idee: la cena delle Cayman sta prendendo piede insieme alla ritrovata forza finanziaria di Algebris. Il 2013 poi, ricorda la bolla ante 2008: con la Fed e la Bank of Japan che inondano i mercati di liquidità le performance di Serra sui mercati sono tra le migliori del settore. I credit fund oltre i 100 milioni di dollari si piazzano tra i primi quattro e l’equity fund esce dal congelatore grazie a un più 50%. Il patrimonio in gestione supera 1,5 miliardi e tra i sottoscrittori c’è ancora Generali, questa volta con un manager apprezzato al timone, Mario Greco, che gli affida altri 50 milioni. Certo a Serra non manca la capacità di vestire panni diversi in occasioni diverse. Amico dei potenti nei consessi internazionali, fustigatore delle vicende italiane dal palco della Leopolda, abile investitore quando sente il profumo dei soldi. Se entrerà nella cordata per comprare il pacchetto azionario che la Fondazione Mps ha nella banca senese il tweet malizioso si può facilmente immaginare. Con tanto di nuovo imbarazzo per il segretario Pd.