Sfollati della regione di Kursk
Nella regione di Kursk, come riporta l’Emercom della Federazione Russa, gli sfollati dai distretti al confine con l‘Ucraina sono oltre 121mila.
In uno dei campeggi immersi nei fitti boschi attorno a Kursk è stato allestito un centro di prima accoglienza dove vengono ospitati circa mille sfollati, tra cui oltre 100 bambini. Parte di queste persone proviene dai villaggi che ora si trovano sotto controllo dell’esercito ucraino, sono coloro che hanno fatto in tempo a fuggire nei primi giorni dell’attacco. Tra questa gente, già abituata ad avere a che fare con i bombardamenti ed i droni ucraini da un paio d’anni, quasi nessuno si aspettava un attacco del genere. Gli abitanti di questi centri abitati hanno avuto poco tempo per raccogliere le cose più importanti e lasciare le proprie case verso l’ignoto.
Mentre i bambini giocano spensieratamente nella piscina, probabilmente senza rendersi conto della gravità della situazione, molti tra gli adulti iniziano a realizzare che il rientro a casa, ammesso che sia rimasto qualcosa di questi edifici, non sarà immediato.
In una delle strutture di questo centro di prima accoglienza alloggiano gli abitanti di uno dei villaggi vicino a Sudzha. Sulla panchina, non lontano dall’ingresso, incontro Vladimir, un uomo sulla sessantina. E’ disposto a rispondere alle mie domande a patto di non essere ripreso, perché alcuni suoi parenti non hanno fatto in tempo a fuggire, rimanendo dall’altra parte del fronte: «gli Ucraini osservano attentamente il materiale che viene pubblicato in rete e se mi sentissero dire quello che penso, si vendicherebbero su di loro». In molti casi non si hanno notizie in merito alla sorte di coloro che sono rimasti, per questo anche gli sfollati guardano con attenzione tutti i reportage della TV ucraina girati nei territori occupati, nella speranza di riconoscere i volti dei propri cari.
Il giorno prima della mia visita il Centro ha accolto un nuovo ospite. Un uomo di 40 anni, dopo 10 giorni trascorsi negli scantinati di Sudzha, approfittando del buio della notte, è riuscito a fuggire verso Kursk attraverso i boschi, percorrendo 60 chilometri in bicicletta. Nel campeggio ha riabbracciato la madre. Miracoli simili avvengono, però, avvengono sempre più raramente.
«Noi veniamo da Kozachaya Loknya, siamo stati evacuati da un vigile del fuoco che, rischiando la vita, dopo averci fatto indossare un giubbotto antiproiettile ci ha invitato ad affrettarci a salire sul suo pullmino. Viaggiavamo a 150 chilometri all’ora in modo tale che non ci potessero raggiungere i droni ucraini, loro non fanno distinzione tra militari e civili. La strada era piena di auto in fiamme», ricorda Viktor. «Ora gli ucraini stanno scavando nel mezzo del villaggio per trasformarlo in un fortino».
Molte persone sono state tratte in salvo da sconosciuti, anonimi eroi che hanno rischiato la vita per aiutare il prossimo. Non tutti, però, sono riusciti a tornare a casa. Tra essi ci sono anche due ventenni di Donetsk, due giovanissimi volontari che hanno raggiunto la regione di Kursk per aiutare i civili in difficoltà. Questi due ragazzi sono rimasti uccisi da un missile ucraino.
Tra gli sfollati, molti hanno ricordato anche il sacrificio di coloro che si sono sacrificati nel corso delle prime ore. «Se siamo qui, se siamo vivi, lo dobbiamo prima di tutto ai ragazzi del Servizio di Frontiera. A Sudzha ci hanno fatto da scudo per un giorno intero, combattendo contro forze impari, con fucili contro i corazzati. Non sono arretrati di un passo, dandoci il tempo per lasciare il villaggio, pur sapendo che non sarebbero usciti vivi di lì. I loro corpi sono ancora laggiù, hanno combattuto fino all’ultimo proiettile», racconta Valerij. «Io sono stato uno degli ultimi civili ad uscire da quell’inferno. Sai quando ho iniziato ad avere paura? Quando il frastuono dei combattimenti si è trasformato in silenzio. Noi, abitanti di Sudzha, ci siamo ripromessi che quando torneremo lì, costruiremo e dedicheremo loro un monumento».