Fabrizio Poggi
L’attacco occidentale allo Yemen diventa il pretesto ufficiale per spostare l’attenzione mondiale verso un’altra zona calda, sviandola dal genocidio israeliano ai danni dei palestinesi e dalla completa sconfitta che sta subendo la NATO in Ucraina.
Per tentare di mettere qualche toppa al fiasco ucraino, Washington esige che Kiev incrementi il numero di carne da cannone da inviare al fronte. È ancora una volta il generale “a riposo” Ben Hodges, ex comandante delle forze USA in Europa, a reclamare l’adozione di misure hitleriane da parte della junta nazigolpista, con la mobilitazione sotto le armi di donne e uomini fuggiti all’estero, da riportare con ogni mezzo in Ucraina. Hodges bacchetta i vertici militari ucraini, che mostrerebbero qualche remora a inquadrare il personale militare femminile nei reparti carristi e d’artiglieria (per inciso, tra i più tartassati dai russi), come avviene, dice lui, nei paesi occidentali, sorvolando però sul dettaglio che là non sono in corso, per ora, operazioni belliche.
Hodges consiglia anche a Vladimir Zelenskij di darsi maggiormente da fare con quei paesi che attualmente ospitano i profughi ucraini, affinché li rispediscano a casa: «Decine di migliaia di giovani ucraini in età di richiamo sono in Germania, Polonia, Romania… perché non sono in patria?… esigete il loro rientro», predica ancora lui.
C’è da dire, osserva Irina Antonova su Segodnja.ru, che in verità Zelenskij segue abbastanza le indicazioni yankee. Appena un paio di giorni fa, in Estonia, ha tuonato proprio contro i giovani renitenti ucraini: «Se siete all’estero, siete in età di richiamo e, oltre a non essere al fronte, non pagate le tasse e siete espatriati senza permesso, allora avete delle questioni in sospeso».
Dopo aver citato l’esempio nazista del 1945, con l’arruolamento di ragazzi, vecchi e donne nella Volkssturm, a Ben Hodges non resta altro che tradurre in ucraino il famigerato manifesto «agli sbandati» con cui Giorgio Almirante, nel 1944, minacciava di passare «per le armi mediante fucilazione alla schiena» chi non si presentasse «ai posti militari e di Polizia Italiani e Tedeschi».
C’è da dire che, a parte i moniti soldateschi di Hodges, di fronte al fallimento dell’offensiva ucraina, legata anche alla crisi negli aiuti finanziari occidentali, né Washington né Kiev sembrano avere ricette di riserva.
Secondo notizie diffuse da Bloomberg, nota Vasilij Stojakin su Ukraina.ru, il Consigliere per la sicurezza nazionale, Jake Sullivan si appresterebbe a esigere da Kiev la presentazione di un preciso piano di guerra.
Intanto, però, mentre Casa Bianca e Kiev tacciono, è l’opposizione USA a proporre un proprio piano d’azione. I presidenti delle Commissioni esteri, forze armate e intelligence del Congresso, Michael McCaul, Mike Rogers e Mike Turner hanno presentato una “proposta di piano per la vittoria in Ucraina”, in cui si dice che «il mantra di Biden di sostegno all’Ucraina, “tanto quanto ce n’è bisogno”, rappresenta una strategia perdente».
Per la vittoria, dicono i tre, c’è bisogno in primo luogo di una pronta fornitura di “armi strategiche”: missili a lungo raggio, aviazione e, in generale, tutto ciò che chiede Kiev. Sembrerebbero escluse armi nucleari e mezzi strategici, osserva Stojakin, ma la questione stessa della guerra con la Cina da condurre con forze ucraine, pare spingere in tale direzione. Tale assistenza, è detto, dovrà escludere la partecipazione di forze americane alle ostilità: a detta degli autori, una “vittoria ucraina” «impedirà l’invasione russa di un paese NATO, che sarebbe smisuratamente più costosa in termini di sangue e mezzi americani».
In secondo luogo, si chiede un ulteriore inasprimento delle sanzioni contro la Russia, oltre al trasferimento all’Ucraina di 300 miliardi di dollari di fondi russi sovrani congelati.
«Dopo il catastrofico ritiro di Biden dall’Afghanistan» affermano i tre Congressisti, «il sostegno all’Ucraina contro le truppe di Putin è decisivo per il ripristino della deterrenza americana in Europa, Medio Oriente e nell’Indo-Pacifico».
Ora, cosa c’entra Donald Trump con tutto ciò, si chiede Stojakin; dopotutto, sia in Russia, che in Ucraina e USA, in caso di vittoria di Trump si dà per scontata una riduzione dell’aiuto militare americano a Kiev. E si risponde lui stesso sconsolato: purtroppo, tutto finirà come la volta scorsa, quando Trump, che aveva presentato un programma elettorale di miglioramento delle relazioni con la Russia, poi non fece altro che inasprire le sanzioni. La garanzia che anche questa volta sarà esattamente uguale, è data dal fatto che gli autori del piano di guerra alla Russia sono repubblicani.
È in questo quadro che si inseriscono le mosse interne alla junta ucraina, con il Capo di SM Valerij Zalužnyj che gonfia il petto nei confronti di Vladimir Zelenskij, affiancato in questo dall’ex presidente golpista Petro Porošenko, dallo sgrammaticato sindaco di Kiev Vitalij Kli?kò e anche dal segretario della Commissione difesa e intelligence della Rada, colonnello Roman Kostenko.
Parte della disputa interna ai nazigolpisti è data anche dalla “autocratica” decisione di Zelenskij di bloccare le elezioni presidenziali col pretesto della guerra; elezioni che, in base alla (nel caso ukronazista, il termine è ovviamente eccessivo) Costituzione, dovrebbero tenersi l’ultima domenica del quinto anno del mandato in corso.
La scusa della guerra fa però molta acqua, anche dal punto di vista dello stesso Zelenskij. Come osserva Aleksandr Sitnikov su Svobodnaja Pressa, se le elezioni non si dovessero veramente tenere, agli occhi dei leader della maggior parte dei paesi Zelenskij diverrebbe un presidente illegittimo, un usurpatore.
Si può obiettare che ben conosciuti “leader mondiali” occidentali hanno avallato e avallano “peccatucci” ben più gravi di un rinvio elettorale, quando in gioco sono le sorti di un loro protégé, che per di più sta difendendo, armi (occidentali) in pugno, gli interessi dei propri padrini. Ma la faccenda non è così semplice.
Una certa cerchia di analisti ucraini ritiene che Putin avrebbe dato la parola di non eliminare Zelenskij; ma, in caso di rinvio elettorale, già ad aprile egli non sarebbe più nessuno e diverrebbe un obiettivo legittimo dei servizi segreti russi. Inoltre, ancora a parere di quegli stessi analisti, con Zelenskij divenuto “illegittimo”, se il conflitto venisse congelato, qualsiasi accordo non avrebbe valore legale. E, d’altronde, non appena Zelenskij cederà il potere a qualcun altro, verrà arrestato per il sabotaggio dei negoziati di Istanbul (per inciso: proprio ora Boris Johnson ha dichiarato al Times di non aver nulla a che fare col rifiuto ucraino di accordarsi con Mosca nel 2022 e ha scaricato tutta la colpa su Zelenskij) a causa del quale l’Ucraina ha perso 4 regioni e subito catastrofiche perdite umane.
Contro Zelenskij, oltre ai nomi elencati prima, si stanno insomma schierando i maggiori oligarchi ucraini, a cominciare dall’autorevolissimo Renat Akhmetov, che oggi si sentono per molti versi le spalle coperte da un Occidente che penserebbe a scaricare il futuro “usurpatore”. Il quale, per parte sua, pare stia cercando di riguadagnare l’iniziativa, facendo propri i piani tattici di Zalužnyj – «linea del fronte attiva; i russi cercano di avanzare lungo tutte le direttrici, ma le forze ucraine respingono gli attacchi» e si attrezzano per una difesa a lungo termine; scordiamoci dei famosi «arrivare ai confini del 1991»; ecc. – e spendendo enormi somme di denaro per presentare, sui media occidentali, come proprie le linee del Capo di SM, che invece riscuote il consenso delle truppe.
Ad oggi, sembrerebbero insomma ben adattarsi a Zelenskij le parole di Eliseo: «Và a dirgli: Tu guarirai; ma il Signore mi ha mostrato che egli certamente morirà». (Secondo libro dei Re – 8,10)
13 Gennaio 2024