di Saverio Lodato
Sappiamo molto poco dell’inchiesta romana denominata “Mafia-Capitale”. Il poco che sappiamo risale alla lettura dei giornali dell’epoca, delle telefonate e intercettazioni scandalose che fecero il giro del mondo, dei patti sporchi che regolavano mazzette e traffico di immigrati, di businness cooperativistico dell’ assistenza ben più “remunerativo” – a detta degli stessi protagonisti – di quello della droga, di “mondi di sotto, di mezzo e di sopra”. Tutto ciò, in quanto semplici lettori, ci sconcertò e ci fece schifo allora, quanto ci sconcerta e ci fa schifo ancora oggi, a prescindere dalla sentenza odierna del Tribunale di Roma.
La Procura di Roma, che ha sostenuto l’accusa, si diceva certa che a carico degli imputati si configurava il reato di associazione mafiosa. Di diverso avviso invece il Tribunale di Roma, che quell’accusa ha lasciato cadere. E ci sarà tempo per leggere la sentenza.
Ma ne è seguita subito – e non sembra placarsi – la controffensiva dei principali titolari dell’indagine, il procuratore capo Giuseppe Pignatone, i sostituti Paolo Ielo e Michele Prestipino, i quali, in interviste a tutto campo, hanno riconosciuto la “sconfitta” sul punto più delicato da loro sostenuto ( la mafiosità degli imputati), osservando, però, che la pesantezza delle pene inflitte dal Tribunale ha confermato l’impianto accusatorio.
Riassunta così la vicenda sarebbe facile da capire.
C’è però un aspetto che la Procura di Roma nelle sue interviste non chiarisce. E non lo chiarisce perché, a meno che noi non ci si sia distratti, nessuno dei giornalisti lo ha sollevato. Per avere una risposta – ed è vecchia regola del giornalismo – bisogna almeno cercare di fare delle domande.
Questa, per esempio.
Come mai, pur assolvendo i principali imputati dalla mafiosità, comunque infliggendo loro un paio di decenni di carcere, il Tribunale di Roma , rispetto alle richieste dell’accusa, ha raddoppiato, e in qualche caso triplicato, le condanne a carico degli uomini politici e degli amministratori coinvolti nel processo su Roma – Capitale?
Lo chiediamo alla Procura guidata da Giuseppe Pignatone: il Tribunale di Roma, in sentenza, ha esagerato? O fu la Procura, puntando al bersaglio grosso della mafiosità, ad adoperare inconsapevolmente guanti di velluto rispetto ai gravissimi reati commessi dagli imputati che indossavano – si fa per dire – una “divisa”?
La domanda, a ben vedere, non ci sembra peregrina.
23 Luglio 2017