Matteo Carnieletto
Ieri, il palazzo della famiglia reale saudita a Gedda è stato attaccato. Un uomo armato di kalashnikov ha sparato contro le guardie del sovrano, uccidendone due e ferendone altre tre. Il killer, secondo quanto ha fatto sapere il ministro degli Interni saudita, sarebbe Mansour al-Amri, 28 anni, incensurato e senza alcun legame (almeno per il momento) con i gruppi terroristici.
L’attacco avviene pochi giorni dopo l’inizio del viaggio di re Salman a Mosca, che ha sancito un incredibile cambio di rotta di Casa Saud. Un cambio di rotta che riguarda soprattutto la guerra in Siria. Dal 2011 Riad si è spesa, assieme agli Stati Uniti, per addestrare i ribelli che combattevano contro Bashar Al Assad. L’operazione si chiamava Timber Sycamore ed era, per la verità, molto semplice: i sauditi davano armi e soldi ai ribelli, mentre gli americani fornivano l’addestramento. Un piano che, nell’ottica di Casa Saud, poteva andar bene fino al settembre del 2015, ovvero prima dell’intervento russo in Siria. L’intervento di Mosca ha infatti permesso la vittoria di Assad e la sconfitta dei ribelli.
Nell’incontro che si è tenuto a Mosca re Salman ha detto al presidente russo: “Bisogna arrivare a una soluzione politica che ponga fine alla crisi siriana e che garantisca la sicurezza, la stabilità, l’unità e l’integrità territoriale della Siria”. Un cambio di passo incredibile, che mostra l’attuale disinteresse di Riad nei confronti di Damasco. I Saud sanno di aver perso e che non hanno più alcuna via di fuga.
Ma non solo. L’Arabia Saudita ha trovato un accordo per l’acquisto dei sistemi anti missile S400 della Russia. Una decisione non da poco, se si tiene conto che Casa Saud, che fino ad ora è sempre stata un fedele alleato Usa, si è spostata – e non di poco – verso Putin. Del resto, qualcosa di simile è successo il mese scorso con la Turchia. Ed è in Turchia che, forse, dobbiamo tornare per comprendere ciò che è successo a Gedda ieri.
È il 19 dicembre dell’anno scorso quando un agente turco spara contro l’ambasciatore russo Andrey Karlov. Partono i colpi, poi il terrorista urla: “Vendetta per Aleppo. Noi moriamo in Siria, voi morite qua. Non uscirò vivo da qui, non vi avvicinate! Allah Akbar!”. In quei giorni Aleppo stava per essere liberata. Erano giorni di fuoco, in cui i caccia russi continuavano a sganciare bombe sulle ultime sacche jihadiste e la propaganda dei ribelli si faceva sempre più forte. In quei giorni, soprattutto, andava in frantumi la cosiddetta “primavera siriana”.
Recep Tayyip Erdogan, l’apprendista stregone, aveva giocato in lungo e in largo con i terroristi. Lo stesso ha fatto re Salman. Che ora si trova nel mirino dei jihadisti (che fino a ieri ha sostenuto) e del partito del terrore che vuole la prosecuzione del conflitto siriano.
Ott 8, 2017