Foto: rapimento Moro © Mauro Giangrande
Pubblichiamo, in coda all’articolo-recensione di Andrea Colombo su il manifesto, le risposte di Carlo D’Adamo, autore del libro Chi ha ammazzato l’agente Iozzino, alle falsificazioni e alle omissioni diffuse nel libro di Clementi, Persichetti e Santalena sul rapimento e l’omicidio di Aldo Moro e diffuse nella recensione pubblicata su il manifesto.
Carlo D’Adamo con il suo libro ha fatto avanzare la ricerca della verità sulle dinamiche reali che ci sono state durante il rapimento del presidente della Dc, Aldo Moro, parlamentare di un Paese democratico nato dalla Resistenza antifascista e inviso al blocco atlantico, ai suoi servizi segreti, alla sua Gladio e ai suoi vari travestimenti, perché voleva riportare i comunisti al governo del Paese.
Un lavoro, quello di D’Adamo, contro quei depistaggi, mirati e sistematici, tesi ad avvalorare le falsità contenute nel memoriale Morucci-Faranda, ma scritto da Remigio Cavedon, democristiano di destra e direttore de Il POPOLO, il giornale della Democrazia cristiana, su posizioni in linea con gli Usa e la Nato.
Straordinario ruolo de il manifesto, a cui Carlo D’Adamo sollecita risposte nella sua lettera alla redazione, nell’avallare costantemente le falsità di Andrea Colombo e soci, coincidenti con i bisogni politici degli Usa, della Nato, degli eversori della Brigate Rosse, della destra Dc, dei fascisti tutti uniti nel voler distruggere la nostra democrazia basata su una Costituzione antifascista, sociale e un sistema elettorale proporzionale puro.
Rimaniamo in attesa della pubblicazione da parte della redazione de il manifesto delle lettere di Carlo D’Adamo.
Lo staff di iskrae.eu
Aldo Moro nel labirinto di fantasmi
SAGGI. Un volume curato da Marco Clementi, Paolo Persichetti ed Elisa Santelena per DeriveApprodi percorre la parabola delle Brigate Rosse
Andrea Colombo
Il tempo non è stato galantuomo. A 39 anni di distanza dall’agguato di via Fani e dal sequestro di Aldo Moro la verità, invece di avvicinarsi, si è allontanata, almeno agli occhi dell’opinione diffusa. La verità sul caso Moro è affondata in una palude di coincidenze spacciate per prove, di sospetti sconfinanti nei territori della psicopatologia, di dicerie elevate a fatti.
La vittoria di quella che uno dei più brutti neologismi in circolazione ha battezzato «dietrologia» non consiste tanto nell’aver affermato la sua confusa e sgusciante «verità» quanto nell’aver imposto il proprio terreno di confronto: quello in cui ci si deve misurare sempre su voci e ipotesi fantasmagoriche, sino a che dalla storia dell’organizzazione politica Brigate rosse, del sequestro del leader politico Aldo Moro e del braccio di ferro proseguito per 55 giorni con l’intero establishment politico italiano vengono espunti proprio i due elementi fondamentali, la storia e la politica, sostituititi da una frenetica caccia al mistero.
Almeno per quanto riguarda il versante storico un passo avanti decisivo è segnato dalla pubblicazione di Brigate rosse, (DeriveApprodi, pp. 550, euro 28), di Marco Clementi, Paolo Persichetti ed Elisa Santelena.
È IL PRIMO VOLUME di una storia delle Br tracciata con gli strumenti propri della ricerca storica. Ne dovrebbero seguire altri due, forse con l’apporto di nuovi o diversi autori, anche se non è escluso che il progetto si riduca solo a un secondo volume.
Clementi, da questo punto di vista, è un pioniere. È stato il primo, nel libro del 2001 La pazzia di Aldo Moro, a cimentarsi da un punto di vista rigorosamente storico con gli scritti di Moro dal carcere del popolo, poi con la Storia delle Brigate rosse, del 2007. Nei dieci anni trascorsi dall’uscita di quel libro, però, si sono aperte molte nuove fonti per la ricerca storica, e i tre autori le hanno esplorate tutte con incredibile minuzia. Pur trattandosi di un libro sulle Br e non sul caso Moro, l’operazione Fritz, come fu definita in codice dai brigatisti stessi, occupa ben 411 pagine su 550.
È UNA SCELTA EDITORIALE che veicola un preciso taglio storico: una costruzione del genere, infatti, mette in prospettiva l’intero percorso delle Br sino a quel momento come progressivo avvicinamento al culmine, rappresentato appunto dalla loro azione più clamorosa.
Inevitabilmente i tre autori sono costretti a confrontarsi con la ricostruzione della verità storica, sfatando molte leggende: dalla insufficiente protezione assicurata dallo Stato al presidente della Dc, alle minacce di cui sarebbe stato oggetto sin dal 1975; dalle diverse versioni offerte dal presunto «super-testimone» Marini alla ormai leggendaria Honda di via Fani.
Ma la parte più interessante riguarda la politica, sia nel senso di esplorare le motivazioni politiche che muovevano le Br sia in quello di esaminare dallo stesso punto di vista le scelte dello Stato e dei partiti.
LA POLITICA, ancora più della Storia, è la grande rimozione nel dibattito pluridecennale sul caso Moro. Da questo punto di vista la «dietrologia» è la prosecuzione con altri mezzi di quella che all’epoca fu definita «linea della fermezza».
Quella linea non significava affatto rifiuto di trattare. Lo Stato era pronto a trattare, però come si faceva d’abitudine con i banditi comuni: senza dirlo e offrendo in cambio della vita dell’ostaggio soldi. Nel caso specifico moltissimi soldi. Fermezza voleva dire negare l’identità politica e non criminale delle Br.
Le fantasie che impazzano da decenni sul caso Moro fanno lo stesso, trascinando tutto sul terreno di un complotto oscuro, nel quale le Br fanno più o meno la figura dei burattini. Proprio la scelta di negare quella identità politica portò come conseguenza inevitabile, almeno nel solco dell’analisi brigatista, all’uccisione dell’ostaggio. Il riconoscimento di quella identità, secondo gli autori, avrebbe avuto conseguenze enormi. Tanto, si direbbe, da giustificarne in pieno il rifiuto da parte dello Stato.
Sia il sequestro che la scelta di uccidere Moro furono decisioni dettate da un’analisi politica che non si può liquidare come «delirante», secondo l’aggettivo più in voga all’epoca.
L’ANALISI della fase del capitalismo contenuta nelle Risoluzioni strategiche del 1975 e del 1978 risulta in effetti tutt’altro che delirante, mentre certamente superficiale è il ruolo che le Br assegnavano alla Dc all’interno di quel processo globale. Si può discutere su alcune delle analisi elaborate dagli autori, come il carattere deflagrante del riconoscimento politico.
Ma fino a che la ricostruzione storica e politica non si snoderà sul terreno posto con questo libro, un momento essenziale della storia repubblicana resterà ridotto a un labirinto di fantasmi.
16.03.2017
Cara redazione,
Ciao alla redazione e ad Andrea Colombo. Carlo D’Adamo
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Caro Colombo,
permettimi di dissentire profondamente dalla tua recensione al libro di Clementi Persichetti e Santalena appena edito di DeriveApprodi: le oltre 500 pagine organizzano un’operazione molto brutta di depistaggio, che mente perfino nei risvolti di copertina.In sintesi:1) cancellano completamente dalla scena della strage Moscardi, Bonanni, Guglielmi, Olivetti, la Magliana, che fanno parte del network che fa fuori i cinque uomini della scorta, così come nel racconto del sequestro Sossi cancellano completamente Marra, il parà (nome di battaglia “Rocco”) infiltrato ai vertici delle BR; 2) cancellano tutti quei testimoni che contraddicono la versione dei fatti raccontata nel Memoriale scritto dal DC Cavedon e controfirmato da Morucci, pieno di menzogne e ampiamente messo in discussione anche dall’attuale Commissione Moro; 3) attaccano pesantemente Alessandro Marini, che ha visto due brigatisti in moto, senza la divista da avieri, e ha notato anche gente senza la divisa sparare, oltre i quattro brigatisti in divisa; 4) mentono sui movimenti di Bruno Barbaro, cognato del gladiatore colonnello Pastore Stocchi e intestatario di una società di copertura dei Servizi in via Fani 109; 5) cancellano le targhe di tutte le auto implicate nella strage, come la Austin Morris di un fiduciario dei Servizi, la Mini Cooper di un ex Decima MAS reclutatore di gladiatori, la 127 rossa immediatamente sbianchettata nei verbali; 6) attaccano pesantemente Sergio Flamigni, reo di aver scoperto vent’anni fa che i covi BR in via Gradoli erano di società di copertura del Sisde, e ce l’hanno, in generale, con “la sordità cognitiva delle narrazioni dietrologiche”; 7) si inseriscono in una “storiografia” della verità ufficiale, con Satta, Armeni, Persichetti, Bianconi, talmente presi dall’impegno di non contraddire la Verità Ufficiale che giustificano anche l’ingiustificabile, oltre ogni decenza. Mi fermo qui per non abusare dello spazio riservato alle lettere alla redazione, ma il mio dissenso dalla tua benevola recensione ha, credimi, ulteriori gravi argomentazioni. Carlo D’Adamo |
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