La legislatura è finita. La dimissioni di Draghi segnano ‘il rompete le righe’, gli scenari possibili al momento sono due: un voto ad ottobre (un unicum nella storia italiana) o lo stanco prosieguo di un acciaccato governo Draghi fino agli inizi del 2023. Mattarella ed il Pd si attaccano ad una lieve speranza sostenuta dal mancato uso del termine ‘irrinunciabili’ in occasione delle dimissioni presentate al Consiglio dei Ministri. A prescindere da quale delle due strade sarà intrapresa, probabilmente la seconda, siamo già in campagna elettorale.
Dobbiamo credere che il governo sia entrato in crisi per via dell’inceneritore a Roma? Neanche le giunte comunali cadono sugli inceneritori, il vero nodo è politico ed economico. Molti profondi conoscitori della situazione italiana sostengono che in privato parte della classe dirigente sia cosciente di andare verso un disastro. Il 15 luglio ‘il sole 24 ore’ riportava le previsioni economiche della Commissione europea, sono previsioni al ribasso e si sottolineava come il dato italiano fosse particolarmente preoccupante.
La vera crisi di Draghi, che segue quella di Johnson (e chissà quale precede), è dentro questi dati. Sempre il 15 luglio ‘El Pais’ pubblicava un commento con l’eloquente titolo ‘la canna di Putin è affilata’, parafrasando il Grande Timoniere potremmo dire che oggi il potere politico nasce dalla canna del gas. Quello di cui l’Unione europea è incapace è una sana autocritica, anziché lavorare per una forte cooperazione economica e diplomatica con il vicino russo, si è invece scelta la strada dell’escalation, incrementando le esercitazioni militari ai confini, incentivando rivoluzioni colorate nei paesi alleati di Mosca, sostenendo il golpe ucraino del 2014 ed alimentando la guerra civile in Ucraina a danno delle popolazioni russofone. Senza badare alle conseguenze politiche per noi, la nostra economia e la nostra sicurezza. La differenza fra quello che sta succedendo ed una catastrofe naturale è che quello che succede è colpa nostra e che noi potremmo impedirlo.
Dentro questo quadro si inserisce la crisi governativa. Draghi avrebbe i numeri per governare anche senza i 5S, condizione prodotta ed annunciata dalla tempestiva fuoriuscita dal Movimento della nutrita pattuglia di neo-responsabili capeggiata dal ministro della guerra Di Maio, fomentata proprio da palazzo Chigi. Ma intanto il premier ha precisato che non si fa niente senza l’appoggio dei pentastellati e dopo aver ottenuto la fiducia è salito comunque al Colle a rassegnare le dimissioni. Lo sottolineiamo: il governo ottiene la fiducia ma si comporta come se non avesse i voti in parlamento. Un governo senza il M5S costringerebbe a palesarsi una maggioranza che va dal PD alla Lega (con Berlusconi, Renzi, Calenda, Bonino e tutti i migliori esponenti dell’opportunismo nostrano), obbligandoli ad ammettere compatibilità e affinità insospettabili per i rispettivi elettori ed assumersi quelle responsabilità di cui straparlano. Ad emergere sarebbe quel partito unico articolato (espressione gramsciana che designava il fascismo, recentemente ripresa da Canfora per descrivere il carattere elitario della nostra democrazia), neoliberale e neoliberista, europeista e atlantista, tutto dentro il pensiero unico della fine della storia e del TINA tatcheriano, ben personificato dall’ex presidente della BCE e finora ben coperto da una cortina ideologica e un apparato mediatico degni delle peggiori distopie. Mentre scriviamo, in piena crisi di governo, la stampa plurale e indipendente dei padroni ha già ricominciato a battere su spread, ira dei mercati, perdita di credibilità davanti ai partner commerciali, agli investitori stranieri, alle imprese, alle famiglie, all’Europa e al mondo intero. Quel partito, per intenderci, che vota per l’aumento delle spese militari in totale spregio della Costituzione e dell’opinione pubblica in maggioranza contraria, con la stessa compattezza di quando attacca ciò che rimane della cosa pubblica, con privatizzazioni selvagge in tutti i settori e tagli a scuola, sanità, previdenza.
Oggi il M5S paga il prezzo delle proprie contraddizioni, a partire dal referendum per la diminuzione del numero dei parlamentari che, anziché permettere al paese di risparmiare sui costi della politica, ha sancito l’eclissi della centralità del parlamento nella vita politica del paese.
Ma non intendiamo affatto aggiungere il fucile dei marxisti al plotone d’esecuzione dei liberali che punta a distruggere il M5S perché sta osando, timidamente, rovesciare il tavolo (truccato) del “governo dei migliori”. Si sono accorti tutti solo ora che lo spread è sopra i 200 punti? E la colpa sarebbe di Conte o della decisione sciagurata di marciare contro la Russia pagando qualsiasi prezzo? La crisi è definita “incomprensibile” come se il governo avesse centrato chissà quale obiettivo. La verità è che non c’è alcuna disponibilità alla trattativa, i pentastellati sono definiti “ricattatori”. Tra le cose più squallide c’è l’uso strumentale e populista del solito pacchetto di aiutini, bonus e brioches per gli affamati, che è in preparazione: come dire “è vero che siamo alla frutta, ma proprio ora stava arrivando il dolce”.
È molto probabile, e gli ultimi sondaggi disponibili sembrano confermarlo, che grossa parte dei delusi dal M5S, per lo più appartenenti alla classe lavoratrice, rifluiranno verso il partito dell’astensione, rafforzando un modello bipolare, dentro la tendenza all’americanizzazione del sistema politico italiano, proprio mentre tale modello entra in crisi negli USA. Proprio contro il bipolarismo nella sua variante italiana, presentandosi come terzo polo alternativo ai due esistenti, il M5S era riuscito a raccogliere e convogliare lo scontento degli esclusi e dei non rappresentati, ottenendo dapprima l’ingresso in parlamento e poi la vittoria come primo partito nelle elezioni del 2018. I tentativi di normalizzazione sono stati forti e si sono consolidaticol governo giallo-rosso, con il Movimento ricondotto all’ovile del centrosinistra nel ruolo di fratello minore del PD, all’interno dello stesso schema che avrebbe dovuto scardinare.
La situazione politica è estremamente fluida e ricca di contraddizioni. Non sarà facile scalzare questo governo, nato con una funzione costituente nello scenario politico italiano e con l’obbiettivo di spezzare ogni forma di resistenza. Un governo che serve ad espellere il dissenso e permettere che la partita politica si giochi tutta tra le componenti interne dello schieramento atlantico.
La partita in atto non è ordinaria, non attiene soltanto alla configurazione dello scenario politico italiano ma fa parte di un gioco più ampio all’altezza del quale è essenziale guardare. Ha a che fare con la guerra nel cuore dell’Europa e la possibilità dell’emersione di un mondo multipolare in grado di respingere e sconfiggere l’imperialismo occidentale.
17 Luglio 2022