di Pinuccia Cossu Martinelli *
Il cuore mi batteva forte forte mentre componevo il numero….826….
Chissà? E se avessi fatto una figuraccia? E se ciò che speravo si fosse rivelato illusorio ? Comunque valeva la pena di tentare.
“Pronto, Casa Fontanella. “
“Si, chi parla ?”
“Signora, mi scusi, lei è parente di Odoardo Fontanella detto Olona ?”
“Si, sono la figlia”
Un’emozione fortissima mi bloccava la parola.
La voce al telefono insisteva… “ma chi parla ?”
“Signora Fontanella, scusi ancora, io sono…..”.
Ma procediamo con ordine. Si trattava di riannodare i fili di due vite che per un brevissimo istante della loro esistenza si erano incrociate in un drammatico episodio di guerra partigiana; poi avevano ripreso strade parallele, ma senza che ciascuno dei protagonisti ne conoscesse il relativo destino; la ferrea legge della clandestinità lo impediva.
“Signora Fontanella, potrei incontrarla per farmi raccontare la storia di suo padre ?”
“Certamente, venga pure…”
Fu così che, ormai scomparsi i personaggi della vicenda, questa si ricompose del tutto casualmente leggendo libri, pubblicazioni, memorie, diari della Resistenza e collegando fatti e conoscenze dirette.
Cenni sulla vita di Fontanella Odoardo, detto Olona:
Iscritto clandestinamente al Partito Comunista da diversi anni, antifascista convinto, entra, dopo l’8 settembre, nell’attività clandestina operando in Milano. Conserva però il suo posto in Banca (Credito Laniero di Via Manzoni). E’ ricca di episodi la vita di Odoardo Fontanella e fra questi vi è la storia perlomeno singolare che raccontiamo.
Una mattina di fine inverno 1945, Fontanella deve incontrarsi con un altro personaggio che opera anch’esso in clandestinità. L’appuntamento è alle 10 del mattino in Piazza della Scala. Fontanella non può sapere che, a seguito dell’azione di un agguerrito GAP purtroppo non riuscita, sono stati arrestati, su delazione di uno dei componenti il gruppo, numerosi partigiani che, sottoposti a tortura spietata, non hanno resistito ed hanno fatto il nome di vari gappisti e sappisti fra i quali anche il suo. (GAP: Gruppi di Azione Patriottica, costituiti dopo l’8 settembre ’43, formati da pochi uomini, bene armati ed addestrati; agivano nelle città compiendo azioni di sabotaggio dei mezzi dell’esercito tedesco, o azioni di controsabotaggio, difendendo anche gli impianti industriali che i tedeschi mano mano smontavano per portarli in Germania.
Ricaviamo del bel libro di Luigi Borgomaneri “Due inverni, un’estate e la Rossa Primavera”, il seguente brano:
“Il 18 febbraio ’45, all’insaputa della GNR (Guardia Nazionale Repubblichina) di Monza, che indaga su un attentato avvenuto a Sesto San Giovanni, un altro Ufficio investigativo fascista, ha catturato Piero Paggi, un gappisti del Ticinese il quale denuncia tutti i membri del gruppo e…”
A macchia d’olio cadono nella rete fascista gappisti e sappisti.
(SAP: Squadra d’azione patriottica; il sappista non lavora in clandestinità; svolge la sua professione nelle fabbriche, negli uffici, ovunque è impiegato; agisce quando è chiamato studiando minuziosamente l’azione da compiersi con i compagni della propria squadra ).
Odoardo Fontanella, sappista, quella mattina dunque, va all’appuntamento ignaro che ad attenderlo non c’è il compagno, ma gli sgherri della Brigata Muti. (Ettore Muti, gerarca fascista della “prima ora”, ucciso in circostanze non chiarite nell’agosto 1943).
Lo portano alla Caserma “Mussolini” dove lo sottopongono a inaudite torture. Lui resiste, non parla, non denuncia alcun compagno né, tantomeno, l’organizzazione; è ridotto in condizioni pietosissime; non è la pietà che costringe i torturatori a trasferirlo al carcere di San Vittore; sperano, facendolo curare, di riprendere le torture per ottenere un nome o l’indicazione della struttura organizzativa del Movimento clandestino in città o chissà cos’altro. Lo affidano a medici interni del carcere non sapendo che anche tali medici, o parte di loro, sono antifascisti che non ne possono più di curare larve di uomini ridotti a grumi di sangue. I medici, dunque, escogitano un piano per liberare Fontanella: gli iniettano una sostanza che gli provoca un forte febbrone, diagnosticato come tifo; il piano riesce, arriva l’ordine di trasferirlo al reparto “infettivi” dell’Ospedale Maggiore di Niguarda. Qui è caposala una suorina dolce e gentile, dall’aspetto innocuo e remissivo che, invece, è da tempo in contatto con i Gruppi di Azione Patriottica (GAP) e riuscirà, durante il periodo clandestino, a salvare numerosi partigiani nascondendoli o facilitando loro la fuga. Dopo la Liberazione verrà insignita di Medaglia d’Oro.
Ed è a questo punto che si intrecciano le due vite di Olona (Fontanella) e Nick o Ciro (Demo Martinelli).
Cenni sulla vita di Demo Martinelli:
Per meglio capire, spostiamo l’attenzione sulla Capitale della Resistenza come fu chiamata Sesto San Giovanni:
A Sesto, l’alta concentrazione di grandi fabbriche raggruppava allora oltre 60mila operai: Falck, Ercole Marelli, Magneti Marelli, Breda, Pirelli, Osva, Sapsa, Trafilerie e decine di altre industrie minori. Gli impiegati, gli operai, i tecnici delle classi idonee a combattere erano, per la maggior parte richiamati e si trovavano chi sui vari fronti di guerra, chi nelle retrovie in attesa di essere mandati al massacro. Poiché l’industria, soprattutto quella bellica, non doveva subire interruzioni o rallentamenti, il posto dei richiamati venne occupato da donne e da ragazzi, questi non ancora idonei ai combattimenti in prima linea.
Le fabbriche si riempirono così di adolescenti. I nazifascisti non sapevano o non volevano sapere o fingevano di non conoscere quale fermento di ribellione covava fra questi giovanissimi. Infatti, negli anni tra il 1929 e il 1939, il Tribunale speciale fascista aveva comminato, a Sesto San Giovanni, oltre seicento anni di carcere fra gli oppositori al regime. I figli o i nipoti di quei condannati si trovavano ora a lavorare in quel vasto agglomerato operaio dove si poteva trovare un nemico ma, più facilmente, si trovava un amico, un compagno, un sostenitore della necessità di farla finita con la guerra, con il fascismo ed il nazismo.
E’ in questo clima che il giovane Demo, non ancora diciassettenne, figlio di un antifascista a lungo perseguitato, viene avvicinato da Domenico Fiorani prima e da Umberto Fogagnolo poi, per essere arruolato nelle file dei combattenti per la Libertà. Purtroppo Fiorani e Fogagnolo verranno successivamente catturati e fucilati, la mattina del 10 Agosto 1944, in P.le Loreto.
Numerosi sono gli incarichi che sono affidati alla SAP di cui fa parte Demo, incarichi che diventano via via sempre più rischiosi. A fine guerra, trascorsi vari anni, Martinelli sarà insignito di medaglia di bronzo al valore per un’azione della quale, schivo come era, non aveva mai parlato. L’unica azione che descriveva con un certo entusiasmo era quella che aveva consentito la liberazione di quattro partigiani all’Ospedale di Niguarda.
Riprendiamo il filo degli avvenimenti. Occorreva, dunque, liberare dal Reparto infettivi dell’ospedale di Niguarda, i detenuti politici, guardati a vista giorno e notte dai brigatisti neri,
Dal libro di Borgomaneri:
“….Bruno Mauri (Renzo), Commissario della 10^ Divisione Garibaldi, composta dalle Brigate 109 (di cui faceva parte Demo Martinelli), 129 e 184 dirà <Ricordo che, in quell’occasione, quando Emilio (Vinicio Franchini Ufficiale di collegamento di numerose divisioni) mi chiese due volontari, si dovette tirare a sorte fra le decine di sappisti interpellati; tutti avrebbero voluto partecipare: toccò a Walter Paganin e a Demo Martinelli”
Dalla testimonianza diretta di Demo Martinelli:
“Non avevamo auto, ma due scassatissime biciclette e due pistole catturate qualche giorno prima ai tedeschi. La mattina stabilita per la liberazione dei compagni ricoverati all’ospedale di Niguarda, io e Walter decidemmo di partire da Sesto molto presto: l’appuntamento con il resto della squadra era in V.le Sarca, poco prima dell’incrocio con il viale che porta all’Ospedale Maggiore, Avremmo poi proseguito tutti insieme verso l’ospedale. L’irruzione nel reparto dove si trovavano i degenti, doveva avvenire prima del cambio della guardia repubblichina,
Mentre procedevamo abbastanza speditamente per essere puntuali all’incontro, si ruppe la catena di una delle biciclette; dovemmo fermarci per aggiustarla ma non avevamo con noi i ferri necessari; in tal modo la riparazione fu laboriosa e mancammo, perciò, all’appuntamento con il resto della squadra nel luogo stabilito; quando la catena fu riparata saltammo sulle biciclette e, a tutta velocità, prendendo scorciatoie e vie traverse, ci ricongiungemmo appena in tempo e davanti all’ospedale con gli altri compagni. Armi in pugno, sfruttando la sorpresa che colse a quell’ora gli insonnoliti repubblichini, ma anche con la complicità di infermieri e della coraggiosa suorina, riuscimmo a liberare quattro partigiani”. (Fra questi vi era Odoardo Fontanella, n.d.r.)
“Un abbraccio frettoloso e via ognuno per la propria strada, disperdendoci nel traffico cittadino che ormai era intenso. Le leggi ferree della clandestinità ci impedirono di scambiarci financo i nomi di battaglia”.
Dalla testimonianza della figlia di Fontanella, Carla:
“Dopo essere stato liberato, mio padre fu mandato dal C.N.L. in Val d’Ossola dove divenne commissario politico sotto il comando di Cino Moscatelli… ( C.L.N.Comitato di Liberazione Nazionale al quale aderivano tutti i Partiti antifascisti, dai liberali, al Partito d’Azione, ai Socialisti, ai Comunisti ed anche al gruppo Monarchico antifascista: è sulla base di questo patto di unità che si costituì, nell’immediato dopoguerra, il primo Governo dell’Italia libera).
“Quel mattino, io e mia mamma eravamo ospiti di una nostra amica in Via Scaldasole…Ci avevano avvertite che mio padre sarebbe stato liberato.. Purtroppo mia madre volle tornare a casa per prendere un po’ di patate e qualche altra scorta di viveri…Suonò il campanello e quando aprimmo la porta ci trovammo di fronte quattro repubblichini che ci arrestarono; io, giovanissima, venni rilasciata qualche ora dopo; mia madre fu condotta a San Vittore dove rimase fino al 26 aprile ’45, cioè per quaranta giorni rischiando, ad ogni momento, di essere trasferita in un campo di concentramento in Germania”.
Passati gli anni tragici della dittatura e della lotta armata antifascista, tornata la pace costata milioni di morti, inaudite sofferenze materiali e morali, in un’Italia tutta da ricostruire sia materialmente che moralmente, i partigiani come Fontanella, come Martinelli e tanti altri, deposero le armi ma non la volontà di conquistare un mondo migliore con azioni pacifiche e con la forza del dialogo e della persuasione, Le vite di Fontanella e Martinelli, come detto, si incrociarono ancora ma a loro insaputa. Martinelli e famiglia andarono ad abitare al Quartiere Missaglia, vicinissimi all’abitazione di Fontanella. Militavano anche nella stessa area politica, nelle stesse organizzazioni democratiche, assieme avranno partecipato a manifestazioni per gli anniversari della Liberazione, assieme hanno lottato per tutte le conquiste sociali del dopoguerra, hanno gioito per le vittorie ed imprecato per le sconfitte dei lavoratori…ma non si conoscevano.. Peccato ! Nella loro storia semplice ed umana, manca questa testimonianza diretta. Forse sarebbe loro piaciuto scambiarsi qualche opinione su quel giorno…ma niente di più. Sicuramente i loro discorsi avrebbero avuto un respiro più ampio, prescindendo da episodi che li riguardavano direttamente. A loro bastava sapere di essere stati un piccolo ma vitale ingranaggio per quel grande disegno che portò l’Italia alla conquista dei valori democratici, della LIBERTA’.
* Consigliera dell’Associazione socio-culturale Milanosud (http://www.milanosud.it/)