di Aaron Pettinari
Il super consulente sentito al processo contro Messina Denaro
Il 15 febbraio 1993, in un blitz a Calatafimi, in provincia di Trapani vengono arrestati tre latitanti alcamesi: Antonino Alcamo, Vito Orazio Diliberto e Pietro Interdonato. La Procura di Palermo, che aveva curato l’operazione, trovò in loro possesso dei telefonini che furono oggetto di analisi da parte degli investigatori. Ad occuparsi della consulenza fu Gioacchino Genchi, ex funzionario di polizia ed oggi avvocato, e dalla visione dei tabulati emerse la clonazione di alcuni numeri telefonici e dall’analisi del traffico telefonico si ravvisavano una serie di contatti quantomeno anomali.
Di questo ha parlato proprio Genchi, la scorsa settimana, chiamato a testimoniare al processo in corso davanti alla Corte d’Assise di Caltanissetta (presieduta da Roberta Serio) contro il super latitante trapanese, Matteo Messina Denaro, accusato di essere stato tra i mandanti per le stragi del 1992.
“Da una serie di attività – ha ricordato l’ex funzionario di polizia rispondendo alle domande del procuratore aggiunto di Caltanissetta Gabriele Paci – ci rendemmo conto che uomini di Cosa nostra erano in grado di utilizzare la clonazione dei cellulari. E nell’ambito di una serie di perquisizioni riuscimmo a ricostruire la storia delle clonazioni, da parte delle organizzazioni criminali. Per quanto concerne quei telefoni emerse che il numero clonato era quello in possesso di Antonietta Castellone, una persona assolutamente perbene che viveva in Campania. Avevamo individuato, nello stesso periodo, chiamate che avevano il prefisso 081, della provincia di Napoli, ed altre 091, della provincia di Palermo. Risalimmo anche alla data della clonazione, che ritengo importante, che avvenne nell’ottobre 1991, quindi prima delle stragi, dell’omicidio Lima e della sentenza del maxi processo“.
Quei collegamenti con “Villa Igea”
Ma quali contatti emersero da quell’utenza? Secondo Genchi le tracce che erano presenti “avrebbero potuto fornire ulteriori sviluppo d’indagine sul versante criminale mafioso e trapanese che nel tempo sono rimasti un tantino in ombra“.
Caso vuole che da quel cellulare clonato, in uso ai mafiosi castellamaresi, partirono una serie di telefonate, fino a pochi giorni prima della strage di via d’Amelio, verso il noto ed esclusivo hotel “Villa Igea” di Palermo. Non solo, emergeva anche un contatto con Gioacchino Calabrò, all’epoca incensurato, che poi si scoprirà essere stato tra le figure più potenti della mafia di Castellammare del Golfo e protagonista di stragi e attentati come quelli di Pizzolungo (1985), Roma, Firenze e Milano (1993) ed il fallito attentato allo stadio Olimpico (1994). E dalle indagini emersero anche una serie d contatti tra la Sicilia, gli Stati Uniti, la Germania, Malta e addirittura la Slovenia.
“La zona di ‘Villa Igea‘ – ha dichiarato il teste – rientrava nella zona che è poi stata teatro della strage di via d’Amelio, ovvero la zona dell’Arenella. Qui c’è una connotazione criminale precisa, con la presenza di certi soggetti. Ad esempio qui nasce la famiglia Fidanzati, che sarà fulcro del traffico di stupefacenti e che ha collegamenti con la Lombardia. Ma anche soggetti che poi vennero individuati nell’ambito delle indagini su via d’Amelio, come i fratelli Scotto“. “Io fui contrario all’arresto di Scotto – ha aggiunto – ma non siamo di fronte a santi o vittime di errori giudiziari, ma siamo in presenza di soggetti che hanno avuto a che fare con un humus ed un contesto criminale su cui non si può porre in dubbio nulla“.
“Questi contatti che ci sono con Villa Igea durante i giorni di preparazione della strage Borsellino – ha proseguito Genchi – cessano proprio il giorno prima della strage. Possibile che sia una coincidenza? Secondo me il dato va approfondito. Mi ero anche occupato dell’analisi delle celle delle stragi e delle sedi dei servizi di sicurezza ed in quella giornata di domenica, del 19 luglio 1992, emergeva uno strano attivismo della sede del Sisde in via Roma. Ricordo anche che c’era anche un incrocio i chiamate di altre società di servizi che chiamavano verso alcune villette che si trovavano tra Villagrazia e via d’Amelio, ovvero il percorso che fece il dottor Borsellino. Di queste cose parlai con la Procura di Caltanissetta e tempo dopo anche con un magistrato della Procura nazionale antimafia, il dottor Donadio, a cui feci proprio un report“.
L’ex super consulente ha anche ricordato che dall’analisi di quei cellulari clonati si arrivò anche a “svelare l’esistenza di una centrale di smistamento di codici seriali. Un dato che emerse anche in seguito ad altre perquisizioni in Lombardia, in Calabria, in provincia di Pesaro-Urbino. Tempo dopo da alcun indagini del dottor Bruni, che indagava sulla cosca Mancuso di Vibo Valentia, si scoprì che gli stessi soggetti che erano autori delle clonazioni rappresentavano i vertici di organizzazioni ‘ndranghetiste calabresi“.
I telefonini di via Ughetti
Sempre Genchi si occupò, in un secondo momento, di alcuni telefoni che venero sequestrati durante il blitz in via Ughetti, il covo in cui si erano nascosti nei mesi successivi all’arresto di Riina i boss Antonino Gioé e Gioacchino La Barbera. “Quei cellulari – ha dichiarato il teste – erano predisposti per una clonazione dinamica, che è diversa da quella della Castellano (che era statica, ndr). Questo significa che si potevano cambiare continuamente i numeri telefonici a cui erano riferiti riprogrammandoli di volta in volta.
Ricordo che i codici seriali erano scritti in una piccola agendina che all’epoca veniva data solo ai parlamentari. Questo può significare che solo dei deputati possono averla data ai signori di via Ughetti. Inoltre, quando chiedemmo alla Sip i tabulati e l’intestazione dei numeri di cellulari ci risposero che questi non erano attivi. Nell’approfondire come era possibile che erano stati usati emerse che erano stati attivati da una sede Sip di Roma nord, ed emerse che questa era usata dai servizi di sicurezza. Grazie alle indagini su quei cellulari vennero raccolti importanti elementi sull’omicidio di Ignazio Salvo“.
Genchi, duranta la sua deposizione, come aveva già fatto in altre occasioni ha anche raccontato del suo rapporto con Giovanni Falcone e soprattutto dell’esame dei supporti informatici del giudice Falcone, immediatamente dopo l’attentato di Capaci: “Dai databank, i cui dati furono cancellati dopo la strage trovammo un viaggio negli Stati Uniti di Falcone ma anche l’incontro con Gaspare Mutolo nel carcere di Spoleto, un incontro fissato con Giammanco per il 24 maggio e un convegno a cui avrebbe dovuto partecipare a Valladolid“.
Il processo contro Matteo Messina Denaro è stato rinviato al prossimo 14 marzo.
18 Febbraio 2019