di Gianni Barbacetto
Puntuale come il calendario, il generale dell’aeronautica Leonardo Tricarico torna ogni anno a ripetere il suo mantra: il Dc-9 della strage di Ustica sarebbe esploso, la notte del 27 giugno 1980, a causa di una bomba posta nella toilette posteriore dell’aereo. La lunga indagine del giudice Rosario Priore ha stabilito invece fin dal 1999 che “l’incidente al Dc-9 è occorso a seguito di azione militare di intercettamento, il Dc-9 è stato abbattuto, è stata spezzata la vita a 81 cittadini innocenti con un’azione che è stata propriamente atto di guerra”.
L’ipotesi più credibile, benché rimasta senza prove certe, a causa di 38 anni di depistaggi, è che aerei francesi o di altri nostri alleati Nato abbiano tentato quella notte di abbattere un Mig libico, su cui era stata segnalata la presenza di Gheddafi, che si nascondeva nell’“ombra” del Dc-9. E che il missile aria-aria abbia colpito per errore non il velivolo militare libico, ma l’aereo civile italiano.
La tesi della bomba nella toilette è smentita da almeno due fatti: il water in acciaio e l’asse di quella toilette furono ritrovati intatti; e integro era anche il cadavere della donna seduta in ultima fila, con la schiena addossata alla toilette. L’aeronautica militare e i servizi segreti italiani coprirono per ragioni di alleanze internazionali la battaglia aerea e cercarono di spiegare la caduta del Dc-9 prima con la ridicola tesi del “cedimento strutturale”, poi con quella della bomba a bordo. Ma se davvero fossero questi i motivi dell’incidente, perché sono stati nascosti e fatti sparire tutti di documenti su quella notte?
Malgrado gli sforzi del giudice Priore e della commissione parlamentare sulle stragi, non sono stati consegnati (e non sono stati finora trovati negli archivi) né i tracciati radar, né i rapporti dei servizi segreti italiani, né quelli della Nato sull’“incidente” di Ustica. Nelle carte delle indagini è entrato un unico tracciato, proveniente da Ciampino, da cui si vede chiaramente l’attacco aereo. Anche dalle registrazioni delle conversazioni tra gli avieri dei radar italiani avvenute quella notte si arguisce che c’erano altri aerei attorno al Dc-9.
“Ancora oggi”, protesta Andrea Benetti, dell’Associazione familiari delle vittime di Ustica, “il generale Tricarico, ex capo di Stato maggiore dell’Aeronautica, continua a innalzare un muro di gomma sulla strage”. Quest’anno però le manovre su Ustica sono più insidiose e avvolgenti. Ieri la lettera di Tricarico al Fatto. Il giorno prima un inserto di otto pagine sul quotidiano La Verità. Manovre fumogene di depistaggio che si sommano a quelle di Francesco Pazienza che chiede di essere sentito dalla Corte d’assise che a Bologna sta processando Gilberto Cavallini, accusato di concorso nella strage del 2 agosto 1980 per cui sono già stati condannati in via definitiva Giusva Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini.
La strage di Bologna: ecco la vera posta in gioco. Rimettere in circolo la “pista internazionale” tanto cara a Licio Gelli. Dopo la (presunta) bomba sul Dc-9, ecco la “replica stragista” a Bologna. Che sarebbe farina del sacco delle organizzazioni armate palestinesi e/o dei libici di Gheddafi. Le due stragi, Ustica (27 giugno) e Bologna (2 agosto), sono immediatamente accompagnate da due azioni gemelle di depistaggio, entrambe distillate nelle botteghe della P2. Dopo Ustica arriva una finta telefonata di rivendicazione che indica la presenza a bordo (falsa) di Marco Affatigato, uomo vicino ai “neri” dei Nar e ai servizi francesi. Dopo Bologna, Pazienza e il Sismi fanno ritrovare esplosivo simile a quello della stazione su un treno per indirizzare le indagini verso la “pista internazionale”. Oggi pare di tornare ai vecchi tempi. Devono tenere i nervi saldi, i giudici che stanno processando Cavallini.