L’accusa arriva dal Noe, a cui è stata revocata la delega per ulteriori indagini. Dalle carte emergono fughe di notizie e depistaggi. Così le notizie prima di finire sui giornali sarebbero arrivate sulle scrivanie del Giglio Magico.
Alessandro Da Rold – Luca Rinaldi
Somigliano quasi a un testamento le ultime pagine dell’informativa del Noe del 3 febbraio scorso sull’inchiesta Consip. Il Nucleo operativo ambientale, che sotto la guida del pm Henry John Woodcock ha scoperchiato le presunte trame intorno all’appalto da 2,7 miliardi di euro, lascia agli atti un’accusa pesante contro gli apparati giudiziari ma anche contro il governo di Matteo Renzi, responsabile di aver fatto «una costante opera di controspionaggio assolutamente efficace» per danneggiare le indagini. Parole che assumono ancora più valore dopo che la procura di Roma ha deciso di revocare «per un’esigenza di chiarezza al Nucleo operativo ecologico la delega per le ulteriori indagini che è stata affidata al Nucleo investigativo di Roma dell’Arma dei Carabinieri».
TENSIONI NEI SERVIZI. A leggere le carte dell’inchiesta, per tutto il 2016 si sarebbe sviluppata una trama da film lungo la penisola italiana tra depistaggi, spifferi, e persino l’uso del jammer per interrompere e disturbare le frequenze. Una trama in cui non è chiaro chi siano le guardie e chi i ladri. Il tutto mentre negli stessi mesi si registravano tensioni a livello dei servizi segreti tra Aise e Aisi sia per i timori dello stesso ex premier Renzi e del ministro allo Sport Luca Lotti di essere intercettati, come rivelato da Lettera43 a febbraio del 2016, sia dalla discussione sulla possibile nomina di Marco Carrai, testimone di nozze del leader Pd, alla cybersecurity di palazzo Chigi.
A gettare poi un alone inquietante sulla vicenda, dal momento che sono indagati per fuga di notizie il comandante generale dell’Arma Tullio del Sette e il generale della legione Toscana Emanuele Saltalamacchia, è la norma nascosta in un decreto legislativo sulla Forestale approvato il 19 agosto scorso proprio dal governo Renzi, inserita all’articolo 18, tra le norme transitorie e finali. «Entro il medesimo termine, al fine di rafforzare gli interventi di razionalizzazione volti a evitare duplicazioni e sovrapposizioni, anche mediante un efficace e omogeneo coordinamento informativo, il capo della polizia-direttore generale della pubblica sicurezza e i vertici delle altre forze di polizia adottano apposite istruzioni attraverso cui i responsabili di ciascun presidio di polizia interessato trasmettono alla propria scala gerarchica le notizie relative all’inoltro delle informative di reato all’autorità giudiziaria, indipendentemente dagli obblighi prescritti dalle norme del codice di procedura penale».
LE CRITICHE DI SPATARO. In pratica la vecchia norma del 2006 che tutelava il segreto investigativo diventa carta straccia. Fu Armando Spataro, storica toga di Magistratura Democratica, a parlare di una «norma a dir poco sorprendente» con «profili di incostituzionalità», ma soprattutto di «contrasto con alcune norme del codice di procedura penale che attribuiscono al pm il ruolo di dominus esclusivo dell’indagine». Non a caso nelle procure di mezza Italia proprio in questi giorni si sta discutendo di questa norma che rischia di mettere a repentaglio diverse inchieste della magistratura. E che segnala nuovi motivi di tensione tra gli apparati giudiziari e investigativi.
Lo scontro di potere interno all’Arma emerge sempre di più all’interno della vicenda e l’inchiesta del Noe ha innegabilmente portato scompiglio tra i più alti gradi. Tra questi appunto il generale Emanuele Saltalamacchia, comandante della Legione Toscana ed ex comandante provinciale dei carabinieri a Firenze negli anni di Renzi presidente della Provincia. È lui, secondo quanto ha riportato nelle settimane scorse La Verità, a consigliare babbo Renzi durante una grigliata tra amici di fine ottore di «non parlare con Alfredo Romeo». Quanto basta per iscriverlo nel registro degli indagati per rivelazione di segreto d’ufficio. Saltalamacchia finisce indagato, con lui pure il numero uno dell’Arma Tullio Del Sette. Quest’ultimo stando a quanto riportato dall’amministratore delegato Consip Luigi Marroni, avrebbe informato dell’inchiesta in corso il presidente di Consip Luigi Ferrara. «Luigi Ferrara», si legge nel verbale che Marroni ha firmato davanti ai pm Woodcock, Carrano e Parascandolo, «mi ha notiziato di essere intercettato lui stesso e che anche la mia utenza era sotto controllo per averlo appreso direttamente dal comandante generale dei Carabinieri Tullio del Sette». Siamo a qualche mese prima della grigliata che ha inguaiato Saltalamacchia: «Tra luglio e settembre 2016», riferisce Marroni.
LE CONTROMOSSE DI MARRONI. Da quel momento Marroni fa bonificare i suoi uffici. Racconta ai pm «di aver appreso in quattro differenti occasioni da Filippo Vannoni, dal generale Emanuele Saltalamacchia, dal presidente di Consip Luigi Ferrara e da Luca Lotti di essere intercettato». Ai pm Marroni descrive i suoi legami con i Carabinieri. «Con Saltalamacchia», dice, «intercorre un rapporto di amicizia da diversi anni e anche lui mi disse che il mio telefono era sotto controllo, anche in questo caso l’informazione la ricevetti prima dell’estate 2016». Poi conferma: «Se da una parte la bonifica dei locali e degli uffici Consip viene effettuata periodicamente», spiega Marroni ai pm, «tuttavia non posso negare di aver dato espressa disposizione al mio capo del personale di fare tale bonifica anche in considerazione di ciò che mi era stato riferito sulle indagini in corso».
L’ACCUSA DI CONTROSPIONAGGIO. Si legge nelle 359 pagine firmate dal tenente colonnello Fabio De Rosa: «Non si può non tornare sull’argomento che ha danneggiato maggiormente le indagini ovvero la costante opera di controspionaggio attuata da parte del Romeo, del Renzi e alcuni esponenti del governo Renzi nonché indirettamente dal Marroni; infatti basti pensare che se il Marroni non avesse saputo delle ambientali installate nei suoi uffici probabilmente non avrebbe rinviato più volte l’appuntamento con il faccendiere Carlo Russo fino ad annullarlo definitivamente allorquando l’indagine su questi era oramai divenuta di dominio della cerchia ristretta di soggetti vicini al governo Renzi». E ancora: «Sempre rimanendo in tema di propalazione si deve adeguatamente considerare che dopo poche settimane dall’avvio delle intercettazioni sul conto di Ferrara e Marroni questi sono stati resi edotti delle attività tecniche sul loro conto e addirittura il Marroni qualche settimana dopo l’installazione delle microspie nei suoi uffici ne ha avuto notizia dal Luca Lotti e infatti onde verificare la fondatezza dell’informazione dispone una bonifica esclusivamente degli ambienti a lui in uso».
6 marzo 2017