di Giuseppe Lo Bianco
I giudici di Firenze lo hanno scritto “nero su bianco’’ per la seconda volta: la trattativa Stato-mafia ci fu, e provocò la morte delle cinque vittime di via dei Georgofili.
Signora Maggiani Chelli, che cosa ha pensato quando lo ha letto sui giornali?
La sentenza Tagliavia non ha trovato la giusta risonanza sui media, e ancora mi chiedo perché. Questa omertà che sembra di Stato è impressionante. Come se ricordare quella trattativa oggi potesse essere scomodo per qualcuno. Aspettiamo pure la Cassazione ma, piaccia o meno, la trattativa c’è stata, lo hanno scritto due diverse Corti e qualcuno ne dovrà rispondere in sede penale. Vedremo cosa succederà. Noi oggi ci aspettiamo delle scuse che tardano ad arrivare dopo 23 anni che i nostri morti sono sotto terra.
Il clima non sembra quello giusto se persino il governo sospetta che i magistrati possano non avere distrutto le bobine delle intercettazioni tra Napolitano e Mancino e si affretta a mandare gli ispettori a Palermo…
Che il clima non sia buono si capisce dalla genuflessione, che ci ha inorridito, di San Giovanni Evangelista sotto il balcone di Ninetta Bagarella, moglie e sorella di boss mafiosi e assassini, che hanno usato migliaia di chili di tritolo contro la popolazione inerme in tutta Italia. Trovo davvero singolare che si arrivi a ispezioni per la ricerca affannosa di duplicati di quelle intercettazioni. Se fossero state rese pubbliche a suo tempo, avrebbero in parte placato gli animi di quanti hanno subito le stragi del 1993. Poi la Consulta ha voluto che fossero distrutte e se oggi qualcuno le renderà pubbliche in modo errato dovrà risponderne. Ma le conversazioni fra l’ex capo dello Stato e l’ex ministro dell’Interno sono scolpite nella testa di magistrati e investigatori: non si può arrivare al lavaggio del cervello, come nei Paesi privi di democrazia. Che l’input dell’ispezione sia politico, ci fa star molto male.
A 23 anni da quella strage quanto è convinta, oggi, che si possa ancora arrivare alla verità?
Ho il dovere di sperarci, ma anche la consapevolezza che non vengono compiuti tutti gli sforzi istituzionali per arrivare alla verità, non ci si prodiga affinché le sentenze emesse “in nome del popolo italiano” contro il sistema mafioso vengano rese note e se qualcosa “rischia” di farci capire meglio, sia pure “un romanzo” come quello che ha promesso l’ex pm Antonio Ingroia, dobbiamo assistere a ispezioni quasi a censura preventiva.
5 giugno 2016