di Gianni Barbacetto
L’ombra della ’ndrangheta aleggia sull’inchiesta che ha portato all’arresto, lunedì 30 gennaio 2017, di Pasquale Longarini, il procuratore di Aosta facente funzioni. I reati che gli sono stati contestati sono induzione indebita e favoreggiamento. Ma l’ordinanza del giudice per le indagini preliminari di Milano, Giuseppina Barbara, ricostruisce anche il contesto in cui Longarini si muoveva ad Aosta e la rete dei suoi rapporti e delle sue frequentazioni.
L’amico imprenditore che è accusato di aver favorito (anch’egli arrestato) è Gerardo Cuomo, massone, titolare del Caseificio Valdostano. Ma questi a sua volta frequentava assiduamente e faceva affari con un pezzo da novanta calabrese, pluripregiudicato, indagato per narcotraffico: Giuseppe Nirta. È Nirta il bandolo della matassa, l’origine dell’indagine che poi è arrivata fino al magistrato.
I carabinieri stavano conducendo un’inchiesta coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Torino, scrive la gip, “in merito alla presenza di esponenti di un gruppo criminale ’ndranghetista nella regione Val d’Aosta”. Sotto osservazione sono i Nirta, “famiglia che annovera numerosi soggetti dediti al traffico internazionale di droga. Alcuni appartenenti a tale famiglia negli ultimi anni si sono radicati in Valle d’Aosta”. È in questa indagine che emerge “quale soggetto di interesse investigativo anche il noto imprenditore locale Gerardo Cuomo”, che “in occasione di plurimi servizi di osservazione era stato visto incontrare presso la sua azienda Nirta Giuseppe (…) con il quale il Caseificio Valdostano aveva intrapreso rapporti commerciali”.
Nirta e Cuomo s’incontravano spesso e regolarmente. Nirta “ha posto la base dei suoi affari in Spagna, ma quando rientrava in Valle d’Aosta, una delle persone che incontrava per prime era Cuomo”. Nel gennaio 2016 l’ufficiale dei carabinieri che sta svolgendo le indagini informa il pm Longarini che stanno controllando Nirta e che questi si vede spesso con Cuomo. Da quel momento, “gli operanti constatavano che Cuomo aveva praticamente troncato i rapporti con Giuseppe Nirta, evitando di rispondere alle sue telefonate e facendosi finanche negare dai suoi collaboratori quando Nirta si recava presso i suoi uffici per incontrarlo”.
A questo punto si apre un giallo. I carabinieri stavano intercettando Nirta e Cuomo, dunque registravano anche conversazioni con Longarini. Dove sono finite quelle intercettazioni? “Non le ho mai ascoltate”, risponde l’ufficiale dei carabinieri, “e ne ho avuto conoscenza in ritardo rispetto alle date” in cui sono state registrate. “Non sono mai state trascritte, o per lo meno non mi risulta, anche perché sono diventate oggetto di specifica discussione con i pm di Torino”. L’ufficiale ne parla infatti con il pm Castellani, quando si accorge che “in modo improvviso ed eclatante Cuomo aveva cessato ogni rapporto con Nirta”.
E non solo: “Tutte le sue conversazioni erano diventate di contenuti più asciutti , al punto che il suo nominativo perse ogni rilievo investigativo”. Ancora: nel corso di una intercettazione ambientale “tra Di Donato e Strati, due soggetti che noi consideriamo ’ndranghetisti di vertice, Strati si lamentava in dialetto che Longarini ‘era in stretta con tutti’ ma non aveva aiutato lo stesso Strato in un processo”.
L’ordinanza poi documenta le contestazioni rivolte al magistrato arrestato. Accetta un viaggio in Marocco pagato da Cuomo. Induce un albergatore di Courmayeur (a cui dice di non preoccuparsi per un’indagine fiscale da lui stesso condotta) a comprare i prodotti di Cuomo. Nessuna contestazione per mafia, ma aria pesante in Valle.
Il Fatto quotidiano, 1 febbraio 2017