di Karim El Sadi
La famiglia chiede giustizia e risposte: “Siamo certi si trovino nel suo lavoro con le Nazioni Unite”
Amici raccontano che aveva paura dopo aver avuto dissidi interni alla missione ONU
I genitori ne erano certi e lo avevano detto chiaramente ai giornali l’indomani della sua morte: “Nostro figlio non si è suicidato, ce lo hanno ammazzato”. Oggi, ad oltre un mese di distanza dal ritrovamento del cadavere, ecco arrivare la conferma ufficiale di quel presentimento di papà e mamma Paciolla. Mario è stato ucciso. O meglio, è stato “suicidato”. Il giovane 33enne originario di Napoli si trovava da 5 anni in Colombia come osservatore per l’Organizzazione delle nazioni unite. Dal 2018, all’interno della Missione Onu, si occupava di un programma di reinserimento sociale per ex-guerriglieri delle Farc, partecipava spesso a incontri con le autorità locali, e con il suo lavoro di monitoraggio sul campo contribuiva alla stesura dei report della Missione. Il 15 luglio scorso il corpo di Mario Paciolla è stato ritrovato senza vita nella sua abitazione a San Vicente de Cagua, alle porte della foresta amazzonica. Le prime voci degli inquirenti hanno parlato di “suicidio”. I genitori del giovane però non hanno mai creduto a questa versione – tra l’altro a loro comunicata in maniera “sbrigativa” – un po’ perché Mario non era un ragazzo che soffriva di depressione o problemi psicologici, un po’ perché molti elementi, nella versione fornita dalle autorità colombiane, non tornavano. E tutt’ora non tornano. “Mario era un ragazzo che amava la vita. La considerava sacra. Per questo non abbiamo mai creduto all’ipotesi del suicidio – hanno detto a repubblica Anna e Pino Paciolla – Nostro figlio aveva lo sguardo trasparente, una grande voglia di vivere. Un uomo con la schiena dritta che non sarebbe mai sceso a compromessi. Non aveva mai manifestato periodi di pessimismo, anzi era una persona assolutamente ottimista”.
Il giallo nel frattempo è finito sulla scrivania della Procura di Roma, titolare dell’inchiesta, e ieri è arrivata la svolta. I magistrati capitolini, infatti, in base ai primi risultati investigativi, hanno iscritto il fascicolo di indagine per il reato di omicidio, abbandonando l’iniziale ipotesi del suicidio, apparsa subito poco credibile.
Buchi neri
Numerosi sono i misteri che avvolgono il caso Paciolla. A partire dal ritrovamento del corpo. Da quanto si apprende sono stati trovati segni che fanno pensare a una messinscena, come a simulare un gesto volontario. Alcuni degli oggetti ritenuti determinanti ai fini delle indagini sono stati inspiegabilmente fatti sparire dalla scena del delitto. Come i computer e cellulari. A raccontare della scomparsa di questi apparecchi elettronici è stato il contractor e referente di Sicurezza della missione dell’Onu, Christian Thompson. Nonché la prima persona a scoprire il cadavere di Mario appeso con una corda al soffitto e a chiamare la polizia ma, inspiegabilmente, solo 30 minuti dopo essere entrato in casa sua. “Quando siamo arrivati – hanno dichiarato alcuni dei poliziotti – la porta era semiaperta, quindi la scena potrebbe essere stata contaminata”. I computer e i cellulari non erano di Mario, ma dell’ONU quindi teoricamente non potevano essere portati via. Eppure, come confesserà poi lo stesso Thomson, nonostante gli agenti gli avessero detto di non toccare nulla, il contractor ha deciso di disfarsene portandoli in discarica a demolire. Non solo. Due giorni dopo il ritrovamento del corpo, Thomson sarebbe tornato nell’appartamento di Mario con due donne che hanno pulito con la candeggina tutta la casa. L’indomani, all’arrivo della Polizia venuta per un sopralluogo, non c’erano più tracce su cui poter fare i rilievi. Per questo grave errore quattro poliziotti sono finiti sotto indagine, l’accusa è di non aver vigilato il locale.
Altro mistero è quello relativo al ritrovamento del corpo. Secondo i colombiani, Mario è morto nella notte tra il 14 e il 15 luglio intorno alle 2. Impiccato. Prima però il ragazzo avrebbe provato a tagliarsi i polsi, come dimostrerebbero i segni sulle braccia e il sangue ritrovato sul luogo del delitto. La procura di Roma ha però disposto una seconda autopsia. Affidandola al professor Vittorio Fineschi, lo stesso medico legale che ha seguito i casi di Stefano Cucchi e Giulio Regeni. Nonostante il massimo riserbo imposto in attesa delle risultanze che dovranno arrivare nelle prossime settimane, pare che i tagli sui polsi di Mario erano superficiali, non profondi abbastanza da poterne causare uno spargimento di sangue come quello al quale si sono trovati davanti gli agenti, né tantomeno il decesso. Sembrerebbero piuttosto, ma questo è tutto da verificare, tagli fatti appositamente, come per mascherare un tentativo di suicidio. Stesso discorso pare valere, a quanto risulta, anche per i segni sul collo, non così importanti da causare la morte del giovane. I familiari intanto attendono giustizia e si dicono certi che “le risposte sono nel suo lavoro”.
Quel brutto presentimento e la tentata fuga in Italia
Altri elementi che avvalorano l’ipotesi dell’omicidio si hanno dalle testimonianze di familiari, amici e colleghi del giovane che raccontano come nelle ultime settimane Mario fosse più che turbato, impaurito. Una delle testimonianze raccolte dal Ros dei carabinieri e già agli atti nell’inchiesta che i pubblici ministeri conducono assieme alle autorità colombiane, è quella di Claudia Julieta Duque, giornalista e amica di Paciolla, alla quale il 33enne aveva raccontato dei suoi dissapori e in almeno un caso di un’accesa lite con i compagni di missione per come la stessa veniva condotta. Qualcosa di simile è stato riferito anche dalla mamma Anna. “Ti ricordi quando avevo battibeccato a scuola, per un’ingiustizia, con quel professore e poi mi ha bocciato? – ha detto al telefono alla madre qualche giorno prima della morte – Ecco mi è successa la stessa cosa”. Che cosa era successo? Nessuno può saperlo. Sta di fatto che il giovane ha deciso bruscamente di interrompere con qualche settimana di anticipo la missione che sarebbe dovuta terminare il 20 agosto. Aveva fretta di rientrare a casa, a Napoli. Il 14 luglio ha chiesto e ottenuto gli estremi di una carta di credito per comprare il biglietto aereo che lo avrebbe riportato dalla sua famiglia.
Il volo è prenotato per l’indomani, 15 luglio, da Bogotà. Direzione Parigi e poi finalmente Italia, al sicuro, tra le braccia dei genitori e lontano da quell’ombra che in Colombia lo tormentava. Ma all’aeroporto Mario Paciolla non arriverà mai. Muore la notte stessa in circostanze molto torbide in una terra dove da gennaio di attivisti e difensori dei diritti umani come lui ne sono stati ammazzati in oltre cento. E chissà quanti altri ne moriranno.
29 Agosto 2020