di: Andrea Cinquegrani
Come mai nella list “costi benefici” a proposito del TAV nessuno ha preso in considerazione il rischio mafie? Perché nessuno se ne fotte, mentre ormai tutti danno i “numeri” come neanche nella lotteria più pazza del mondo?
Perché lo sceriffo Matteo Salvini, da primo inquilino del Viminale, dimentica questo fattore strategico? Forse perché pensa di aver sconfitto in meno di un anno le piovre malavitose, come spesso sbrodola nei suoi interventi, con la casacca delle fiamme gialle oppure dei vigili del fuoco?
Come mai tutti gli altri partiti di opposizione, dal neo segretario PD Nicola Zingaretti che del Tav ha fatto una battaglia di vita, ai satelliti di centro destra berlusconiani e meloniani, se ne fregano ampiamente? Vivono tutti su Marte?
Anche i media di palazzo, da Repubblica al Corsera, inneggiano al TAV, altrimenti si tradisce l’Europa e l’occupazione cola a picco, come non fosse affondata da un pezzo.
Ecco cosa scrive per il Corriere della Sera Marco Imarisio nell’editoriale dell’8 marzo titolato “Un gioco pericoloso”. Riferendosi alle “eventuali infiltrazioni mafiose”, osserva: “Uno degli argomenti cari a chi si oppone al treno veloce”, come per fare un altro esempio l’amianto. “Prima – prosegue – quelle idee rimanevano confinate in ambito locale, erano strumento di propaganda No Tav, che venivano smontate dagli organi ufficiali, il ministero o altri enti di controllo. Oggi, senza alcuna mediazione, arrivano dritte sul tavolo del presidente del Consiglio”.
I PRIMI CONTROLLI TAROCCATI
Forse Imarisio non può ricordare perché aveva all’epoca i calzoncini corti. A quali “organi ufficiali”, ministeriali o enti di controllo si riferisce mai? Non sa, ad esempio, che i primi controlli per il TAV di inizio anni ’90 non solo praticamente non esistevano (quelli veri), ma quando esistevano erano in mano a faccendieri interessati solo alla realizzazione delle opere per l’Alta Velocità?
La Voce ne scrisse in un’inchiesta del 1993, quando scoprimmo che nell’orbita di una sigla, Italferr Sis Tav, adibita proprio ai controlli, gravitavano sigle (coma Orox finanziaria) e personaggi del calibro di un Francesco Pacini Battaglia, il banchiere-finanziere italo svizzero, l’Uomo a un passo da Dio come lo definiva Antonio Di Pietro, ossia l’uomo che conosceva tutti i segreti non solo della madre di tutte le tangenti, Enimont, ma soprattutto dell’Alta Velocità. Altri personaggi di contorno, il mattonaro partenopeo della “sinistra ferroviaria” griffata Psi Eugenio Buontempo, e tale Bruno Cimino, un manager dell’Agip Petroli ottimo amico di Pacini Battaglia.
Per approfondire tutte le connection mafiose ruotate intorno alle battute iniziali del TAV e la montagna di corruttele – per non parlare di chiacchiere al vento come oggi tutta la disastrata e ignorante classa politica sta facendo – c’è solo da leggere il volume scritto esattamente 20 anni fa da Ferdinando Imposimato e Sandro Provvisionato, “Corruzione ad Alta Velocità”, di cui la Voce ha più volte scritto.
Farebbero bene tutti gli italiani a leggerlo, perché viene spiegata per filo e per segno la mostruosità di un progetto del genere, capace solo di inghiottire miliardi a palate, di alimentare in modo esponenziale le mafie, di foraggiare pletore di consulenti & amici da beneficiare, di scempiare l’ambiente. Un poker da brividi. E perché nessuno, oggi, anche a livello mediatico, è capace di sollevare anche uno solo di quei temi?
Va sottolineato che tutte le prime inchieste sull’Alta velocità sono state regolarmente affossate: sia a Roma che a Milano (unica a procedere vanamente La Spezia, mentre Firenze segue il filone del nodo Tav gigliato). Nel porto delle nebbie fu Giorgio Castellucci a muovere i primi passi, ma poi passò tutto il fascicolo al collega Di Pietro: il quale riuscì in un vero miracolo degno di San Gennaro, cioè insabbiare sia le indagini meneghine che quelle romane, come Imposimato e Provvisionato documentano “per tabulas”. Un vero prodigio!
Eccoci alla domanda delle cento pistole, come diceva Fabio Fazio ai suoi esordi televisivi.
L’INCHIESTA FATALE PER FALCONE E BORSELLINO
Ma lo sa sceriffo Salvini e lo sanno i vari Zingaretti & piddini al seguito, che la prima inchiesta sul TAV venne avviata da Giovanni Falcone e Paolo Borsellino? Come mai nessuno – tantomeno quei media di regime – vuol far conoscere agli italiani quella drammatica verità che è costata la vita ai due magistrati coraggio? Perché mai la nascondono nel modo più complice e omertoso?
Il progetto del TAV, infatti, era al centro di quel dossier “Mafia-Appalti” arrivato sulla scrivania di Falcone e Borsellino a febbraio del 1991. Un dossier molto corposo, super dettagliato, contenente nomi cognomi indirizzi numeri di telefono e quant’altro su una sfilza di imprese nazionali e locali in combutta con le mafie (siciliana e campana in primis).
Un rapporto che raccontava la prima maxi infiltrazione nella Calcestruzzi siciliana, controllata dal gruppo Ferruzzi e che fece esclamare a Falcone “la mafia è entrata in Borsa”. Come mai a Gardini è stato consentito un facile suicidio? Forse perché stava per rivelare anche le connection di altre star del mattone?
Nel dossier “Mafia-Appalti”, compaiono i nomi di Saiseb, Rizzani de Eccher, Icla. La regina del dopo terremoto in Campania e su tutto il fronte dei lavori pubblici fine ’80 – primi ’90, l’Icla tanto cara a ‘O Ministro Paolo Cirino Pomicino. Il cui uomo ombra, il faccendiere Vincenzo Maria Greco, fu tra i progettisti d’oro delle prime opere TAV.
Rammentiamo ancora che di TAV ha verbalizzato a lungo, proprio in quegli anni, Angelo Siino, il “ministro dei lavori pubblici” di Totò Riina. Fece riferimento, Siino, proprio a quelle imprese e dichiarò che l’Alta velocità era il piatto più ghiotto, allora, per i mafiosi. E fece anche i nomi di alcuni politici coinvolti.
Cosa pensate sia saltato fuori da quell’inchiesta? Un bel niente. Sì, perché avviata a Napoli partendo da una famiglia di massoni, gli Spinello, Salvatore e Nicola, già conteneva una serie di elementi bomba, proprio sul fronte dei lavori pubblici, in grado di corroborare non poco le piste investigative scaturite dal dossier “Mafia-Appalti”. Quell’inchiesta, però, si perse per strada, perché venne trasferita da Napoli a Roma, azzerandosi of course nel porto delle nebbie capitolino.
Tutte le inchieste sulla TAV – emerge con disarmante chiarezza – “Dovevano Morire”, perché nessuno avrebbe mai dovuto e potuto disturbare i manovratori: e soprattutto anche solo sfiorare quel “patto” siglato tra mafia, imprese e politica che aveva puntato dritto ai miliardi di lire, e poi ai milioni di euro, rappresentati dal TAV, ossia il più grande pozzo dei desideri, un fiume senza fine di danari pubblici.
Va rammentano, infatti, che lo start, nel 1990, fu da 27 mila miliardi di lire. Un project financing che andava allora tanto di moda, attraverso il quale – si disse – c’è un iniziale propellente pubblico, poi arriveranno montagne di soldi privati: motivo per cui sarà un vero regalo che i costruttori faranno all’Italia. Proprio come l’asino che vola
UN INFINITO FIUME DI DANARI PUBBLICI
Bene. Da quella cifra iniziale, solo 8 anni dopo, si è passati a 150 mila miliardi di lire, come viene dettagliato passo dopo passo da Imposimato e Provvisionato. Potete facilmente immaginare cosa sia successo nei 20 anni seguenti. Caterve di fondi nazionali ed europei, a tutt’oggi praticamente incalcolabili: perché non mettere in piedi, invece di tante cazzate come la “costi-benefici”, una micro commissione che districandosi nella giungla di cifre faccia conoscere a tutti gli italiani quanto hanno speso (gli italiani) per quel maledetto TAV che serve solo ad ingrassare mafie & colletti bianchi?
Quanto a cifre, comunque, stanno letteralmente dando i numeri. Non solo sul fronte delle spese future, delle sanzioni europee, di tutto e di più. Ma perfino sulle ricostruzioni temporali. I numeri, sanno anche i bambini, non sono un’opinione: ma per lorsignori sì, capaci di rivoltare le verità e le realtà come perfetti saltimbanchi tra pizzette e roccocò.
Qualche fresco esempio.
Il premier Giuseppe Conte fa riferimento a “dieci anni fa”, con ogni probabilità riferendosi ai primi cantieri in Val di Susa. Sbaglia per difetto, visto che risalgono almeno al 2002-2003. Era da poco nato il movimento No global, infatti, e risalgono a quell’epoca i primi incontri tra No global e No Tav a Venaus, per fare un solo esempio.
Anche la memoria di sceriffo Salvini fa cilecca. Parla di “venti anni fa”: non si capisce, a questo punto, a cosa si riferisca: se al Tav in Val di Susa o al Tav “italiano”, per intendersi quello di cui abbiamo scritto in questo articolo, quel Tav su cui avevano per primi puntato i riflettori Falcone e Borsellino. Nel primo caso la cifra è esagerata, nel secondo caso clamorosamente sbagliata perché i primi vagiti sono di 30 anni fa esatti.
Per finire, anche sulla grammatica c’è lite, ma soprattutto, ancora una volta, una suprema ignoranza. Si continua con i due partiti del TAV e della TAV. Senza rendersi conto – media in pole position – che TAV significa Treno ad Alta Velocità, ovviamente al “maschile”. Mentre al “femminile” si può parlare solo di AV, vale a dire Alta velocità. Tanto per celebrare l’8 marzo.
P.S. Qualcuno potrebbe obiettare: mafia e camorra forse c’erano all’inizio, adesso non c’entrano più. E poi magistratura e Anac controllano.
Teniamo presente che oggi in Piemonte e anche in Val d’Aosta le mafie sono più presenti che mai, con una ‘ndrangheta che negli ultimi vent’anni fa fatto passi da gigante. Dai casinò ai subappalti, dalle infrastrutture al variegato mondo dei riciclaggi, tutto ottimo e abbondante per ingrassare. E l’Alta velocità è il piatto più ghiotto.
8 Marzo 2019