di Maurizio Musolino, del Comitato Centrale PCI, giornalista, già direttore del settimanale ‘La Rinascita’, esperto di Medio Oriente
Non vedo, non sento e non parlo. E’ il riassunto, neanche troppo forzato, dell’atteggiamento dell’informazione verso quanto accade nel mondo a causa del dilagare del fondamentalismo e delle pratiche terroriste. Un terrorismo diffuso, fatto di attentati drammatici, ma anche di non meno crudeli atteggiamenti di prevaricazione e di violenza quotidiana. Le bombe a Baghdad e gli attacchi ai centri storici delle città europee non sono cosa diversa della violenza che quotidianamente patisce il popolo palestinese, sotto occupazione da oltre mezzo secolo per mano del sionismo israeliano.
In questo ambito le stragi si inseguono senza fine.
E così a Dacca nei giorni scorsi si è consumata l’ennesima tappa della corsa verso la barbarie. Un filo rosso sangue lega infatti la capitale del Bangladesh a Istanbul, Parigi, Damasco e Baghdad… Poco importa se i responsabili dei criminali attentati sono direttamente legati all’Isis, oppure se da esso sono influenzati e manipolati. Le cause e l’origine sono comunque ben identificabili.
Se poi ad essere colpita è Damasco, sparisce anche la definizione generica di terrorismo e resta solo il termine “attentati”.
Anche Al Jazeera, seppur più prudente e attenta alle sensibilità occidentali, distingue i responsabili delle stragi a seconda del luogo in cui sono commesse. Più esplicito è il racconto che di queste stragi fanno i giornali sauditi, prevalentemente indirizzati ad un pubblico wahabita. Qui raramente compare la sigla Daesh. In Turchia – per fare un altro esempio – la scure delle nuove leggi liberticide del governo Erdogan stanno uniformando i media riconducendoli a svolgere un vero e proprio lavoro di disinformazione a tutto vantaggio del nuovo sultano.