La brutalità della morte di George Floyd avvenuta in un modo atroce per mano di un poliziotto violento, non è soltanto simbolo del razzismo inalterato di una cultura che distoglie lo sguardo dalla violenza della polizia nei confronti delle persone di colore, ma rappresenta anche una società in cui una forma di terrorismo razziale domestico è diventato la norma. L’omicidio di Floyd deve essere compreso come parte di un sistema politico più ampio, indebitato con il lungo retaggio di una cultura di terrore razzista che viaggia sin dai tempi della schiavitù, passando per Jim Crow, fino al flagello dell’incarcerazione di massa e la politica dell’usa e getta. In quale altro modo si potrebbero spiegare gli omicidi insensati di Botham Jean, Treyvon Martin e – più recentemente – di Ahmaud Aubrey and Breonna Taylor? Aubrey è stato ucciso dai vigilanti bianchi mentre faceva jogging. Taylor è stata uccisa a colpi di pistola, mentre era sul suo letto, dalla polizia che ha letteralmente fatto irruzione in casa sua senza preavviso. Gli apparati punitivi dello stato razziale sono diventati sempre più barbari man, mano che il governo si è andato sempre più concentrando nelle mani di nazionalisti e suprematisti bianchi ultra-ricchi che adesso siedono alla Casa Bianca. Il fascismo neoliberale ha perso ogni scrupolo e ora, per tenere sotto controllo la gente di colore ricorre al terrore esplicito. Tutti gli spazi che negli Stati Uniti sono di solito occupati dalla gente di colore adesso sono militarizzati.
Le uccisioni in corso e l’esercizio dello stato di terrorismo nei confronti dei neri sono parte di un’ideologia della Casa Bianca che supporta la falsa tesi per cui le vere vittime sarebbero i bianchi, in parte rafforzata dalle fantasie dei suprematisti bianchi su quel presunto incubo che chiamano la minaccia del genocidio bianco. Suprematisti bianchi come Stephen Miller adesso sono quelli che stabiliscono le politiche d’immigrazione. In questo mondo di paure razziste e di teorie complottistiche è opportuno che i bianchi odino i neri e che condividano l’idea di una sfera pubblica come spazio riservato ai bianchi. Le grammatiche razziste di sofferenza, di violenza di stato e di politica “usa e getta” sono diventate inesprimibili ed estranee a qualsiasi senso di responsabilità morale e sociale.
Le persone di colore sono considerate al di fuori dei confini della giustizia
L’America è diventata campo di battaglia e la guerra alle persone di colore un motivo di vanto piuttosto che di preoccupazione. Per l’amministrazione attuale, il razzismo si è trasformato in un distintivo d’onore. Quest’amministrazione usa i dileggi razzisti come moneta di scambio, incoraggia la violenza da parte della polizia, e crede che i neri siano più pericolosi dei bianchi di destra, dei neonazisti e dei suprematisti bianchi. Nel discorso dominante del suprematismo bianco, le persone di colore sono considerate al di fuori dei confini della giustizia: la loro esistenza occupa uno spazio tra l’invisibilità e l’esclusione terminale. Sotto il regime di Trump, le persone di colore sono sempre più dei criminali, relegati a zone di abbandono sociale, privi di diritti umani e non riconosciute come vite degne di valore.
Charles Pearce, scrivendo su Esquire, centra l’obiettivo quando, riferendosi a Trump, afferma: “Dove c’è odio, lui semina rabbia. Dove c’è danno semina rancore. Dove c’è dubbio, incertezza. Dove c’è afflizione, veleno. Dove c’è oscurità, distruzione. E dove c’è tristezza, disperazione. C’è qualcosa che alimenta la sua anima, che lo spinge ad alimentare le fiamme dell’anima del paese. Non ha nient’altro. Non riesce a concepire un altro modo di vivere. Appartiene a una specie totalmente diversa di parassiti.” Detto diversamente, l’amministrazione Trump è diventata un motore di miseria sociale, un macchina punitiva che accelera la morte di chi è considerato di troppo, senza valore e di chi non è desiderato. Il regime di Trump fondato sull’estrazione sconsiderata della ricchezza, sulla violenza ecologica, su strategie di shock economy, sul fondamentalismo ideologico, sull’antintellettualismo e sull’ipocrisia del governo, ha trasformato la politica e il linguaggio in un’arma razzista, e la una violenza approvata dallo stato contro i neri non è che un indicatore della razionalizzazione di una politica fascista.
Quello a cui stiamo assistendo, in tempo reale, è una politica fascista che crede nella supremazia della razza, nel darwinismo sociale, e che supporta il collasso della responsabilità politica e morale. Le prove di questo le vediamo nel linguaggio quotidiano di Trump, come – per esempio – quando critica un giornalista che indossa la maschera accusandolo di essere politicamente corretto, quando in realtà il giornalista non è altro che socialmente responsabile, una qualità che Trump disprezza. Lo vediamo anche nella sua forma più tossica, all’indomani della protesta di massa afferma: “Quando inizia il saccheggio, inizia. la sparatoria” ripetendo per intero la frase razzista di Walter Headley, un ex capo della polizia di Miami che si vantava di assumere soltanto poliziotti bianchi ed era orgoglioso di esercitare la violenza contro i neri. Non c’è niente di nuovo nel fatto che la polizia uccida persone di colore. E non c’è niente di nuovo nemmeno nel fatto che gli Stati Uniti pratichino una violenza, supportata dallo stato per via di un sistema di incarcerazione di massa razzialmente marcato.
Quello che c’è di nuovo è che nell’era digitale adesso questi omicidi sono più visibili
Quello che c’è di nuovo è che nell’era digitale odierna questi omicidi sono più visibili; eppure questo non è servito a molto per riformare la cultura violenta della polizia o il terrore imposto dallo stato razziale. Gli americani hanno visto uccidere dalla polizia il dodicenne Tamir Rice. Hanno visto la polizia che strangolava a morte Eric Garner, sospettato di aver venduto sigarette all’angolo di una strada. Hanno visto Freddie Gray, colpevole di possedere un temperino, trascinato nel retro di un furgone della polizia per morire poco dopo; abbiamo visto Sandra Bland fermata per un’insignificante infrazione stradale, tirata fuori dalla sua macchina per ritrovarsi più tardi impiccata nella cella di una prigione. Abbiamo visto Philando Castille mentre un poliziotto gli sparava di fronte alla sua ragazza e sua figlia; abbiamo visto Floyd morire sotto il ginocchio di un poliziotto e la sua agghiacciante indifferenza mentre l’ultimo respiro lasciava il corpo di George. Quel ginocchio lì per nove minuti, quasi a dichiarare esplicitamente che era più che disposto a stare lì orgogliosamente come il simbolo di quello che Robert Shetterly ha chiamato “l’arma contundente della storia [razzista].” Abbiamo visto come la polizia, in quasi tutti questi casi, tranne (fino a ora) per il caso di Floyd, sia stata esonerata da ogni colpa. Abbiamo visto come quasi tutti quelli che hanno potere abbiano distolto lo sguardo. Abbiamo visto come il pubblico si sia sintonizzato sui suoi show televisivi serali. Abbiamo visto come l’abitudine all’impotenza sviluppata dal pubblico, gli apparati che alimentano la mancanza di speranza, e il collasso del coraggio civico, ancora una volta abbiano detronizzato il senso di una responsabilità sociale praticabile, e con esso la politica e la democrazia stesse.
Le persone che sono state derubate di tutto, anche delle loro stesse vite, non saccheggiano, semplicemente rispondono
Adesso vediamo i media che si concentrano sempre meno sul contesto storico di questi omicidi e sempre di più sui presunti radicali esterni di sinistra/anarchici che girano per le strade commettendo la presunta vera violenza. Le persone che si precipitano nei negozi a prendere i televisori vengono etichettate come saccheggiatori quando di fatto, come disse James Baldwin, le popolazioni prigioniere non saccheggiano, i saccheggiatori sono gli speculatori finanziari, i banchieri, i dirigenti delle case farmaceutiche, le grandi corporazioni, e il resto degli ultra ricchi. Le persone che sono state derubate di tutto, anche delle loro stesse vite, non saccheggiano, semplicemente rispondono, perché le loro vite dipendono da una forma di azione che possa essere notata. Gli incendi delle nostre città sono infelici, ma il vero incendio passa inosservato. È il fuoco che brucia lo spirito di quelli che soffrono i traumi quotidiani, le paure, la violenza della polizia e gli stenti dettati dalle politiche sociali che vengono messe in atto: questo è quello di cui bisogna accorgersi, che si deve affrontare e che deve risvegliare la rabbia delle masse. Nessuno parla delle radici di questi problemi, non mi riferisco solo alle radici nella schiavitù, alla cultura del linciaggio e a un razzismo istituzionale che è profondamente radicato, per quanto questi fattori siano cruciali. Parlo delle radici di una politica fascista per cui il denaro conta più degli uomini, e alcune persone contano più di altre. Parlo di una forma selvaggia di capitalismo che è incompatibile con il minimo rudimento di democrazia e che deve essere distrutto, non cambiato o modificato o reso più compassionevole. Parlo della rinascita del fascismo negli Stati Uniti in una forma riveduta e corretta: un fascismo senza apologia.
La rabbia e le esplosioni che stiamo vivendo negli Stati Uniti sono un atto di resistenza di massa e di strada, contro una società che crede di poter uccidere la gente di colore e restare impunita; è un atto di resistenza, il rifiuto di un futuro definito dalla violenza razziale e dalle disparità enormi, e che rifiuta di cadere nell’autoritarismo. È una lotta di tutti perché è una contesa per l’uguaglianza, per la giustizia e per una democrazia radicale.
La forza letale del razzismo sistematico adesso è la facciata e il centro della società americana, è visibile nel visibile, nelle morti evitabili di persone di colore, nelle enclavi di povertà che si trovano soffocate in così tante città, nell’immagine di uomini e donne di colore terrorizzate da una polizia che abbraccia la logica di una società militarizzata e razziale. La forza di un razzismo mortale adesso negli Stati Uniti occupa i livelli più alti di autorità, simbolizzata dalla presenza di Donald Trump e dal suo servile partito della supremazia bianca. Trump è il punto finale del capitalismo anabolizzato. Rivela l’intensificazione della violenza razzista e l’etica di una politica fascista. All’indomani dell’omicidio di George Floyd, Trump rivela il suo istinto autoritario e militare, minacciando con la violenza chi protesta, promettendo “cani feroci” e “armi minacciose” a chiunque superi il recinto della Casa Bianca. Come dice Harvey Wasserman, Trump è “il nostro avvoltoio imperiale tornato ad appollaiarsi a casa” ed è il simbolo contemporaneo della legittimazione e dell’implementazione di violenza e pulizia razziale, e della piaga del terrorismo di stato. Trump è il volto del terrore fascista, ma soltanto il volto. Quello che si cela dietro quella brutta maschera brutale è molto peggio.
Recentemente ha pubblicato “America’s Education Deficit and the War on Youth” (Monthly Review Press, 2013); “Neoliberalism’s War on Higher Education” (Haymarket Press, 2014); “The Public in Peril: Trump and the Menace of American Authoritarianism” (Routledge, 2018); “American Nightmare: Facing the Challenge of Fascism” (City Lights, 2018).
Fonte: Counterpunch – 01 giugno 2020