Giorgio Bongiovanni
Questa mattina Firenze si è svegliata con la notizia di un allarme bomba lanciato dopo il ritrovamento di una scatola metallica sospetta, con dei fili elettrici che fuoriuscivano all’esterno, davanti al portone d’ingresso dell’abitazione del procuratore aggiunto Luca Tescaroli ovvero il magistrato che, assieme al procuratore facente funzioni Luca Turco, sta indagando sui mandanti occulti delle stragi del ’93-’94.
Un allarme bomba grazie a Dio rientrato dopo l’intervento degli artificieri che hanno escluso ogni pericolo ed accertato che il pacco conteneva batterie per la ricarica di microcar elettriche.
Ovviamente gli organi investigativi, per non lasciar nulla al caso, stanno facendo tutti gli accertamenti su quanto avvenuto e per capire se dietro possa esserci o meno un intento minatorio. Per questo sono state anche acquisite dai carabinieri delle immagini in cui sono ritratti due uomini che lasciano il contenitore metallico.
Al di là dell’esito non possiamo non notare alcuni messaggi sibillini provenienti da ambienti vicini al mondo delle organizzazioni criminali. E ancora una volta il protagonista di questi messaggi è quel Salvatore Baiardo, in passato già condannato per aver favorito la latitanza dei fratelli Giuseppe e Filippo Graviano, tornato alla ribalta mediatica dopo le sue previsioni televisive, quando fu intervistato da Massimo Giletti per Non è l’Arena, sull’arresto di Matteo Messina Denaro.
Baiardo, con il solito strumento social di TikTok, torna a provocare (per conto della mafia) il magistrato Luca Tescaroli con un’allusione chiara a “fantomatiche bombe”. E lo ha fatto con queste parole: “Cosa fanno questi magistrati? Cercano di ingrandirsi, come dicevano che Falcone aveva fatto il finto attentato all’Addaura. Io non lo so e non lo voglio neanche discutere. Però che adesso a un Tescaroli, che in tutti questi anni non è stato mai minacciato, e adesso guarda caso gli trovano un pacco bomba sotto casa giusto perché è in contrasto con Baiardo… Cosa si vuole alludere? Questo è fuori da ogni logica. Questo Baiardo non lo accetta…”.
Abbiamo più volte messo in evidenza come questo soggetto non parli per sé stesso ma sia “megafono” dei Graviano.
E’ evidente che dietro alle indagini sui mandanti esterni c’è un crescente clima di tensione che la morte di Silvio Berlusconi, forse, può anche aver aumentato.
Nelle ultime settimane contro Tescaroli ci sono stati attacchi giornalistici, ma anche da parte di una certa politica, con l’interrogazione parlamentare presentata da Maurizio Gasparri in cui si chiedeva al Ministro della Giustizia Carlo Nordio di disporre un’ispezione sulla Procura di Firenze.
E poi ancora, proprio pochi giorni fa in un’altra diretta, gli strali di Baiardo contro la richiesta di arresto che la Procura di Firenze avrebbe fatto contro la sua persona.
E’ con queste metodologie di delegittimazione ed isolamento che mafia e “menti raffinatissime” ad essa vicina cercano di far saltare i nervi ai magistrati scomodi.
Il riferimento che Baiardo fa al fallito attentato all’Addaura non è casuale.
Giovanni Falcone nel giugno 1989 venne accusato di essersi messo da solo quella borsa con l’esplosivo. Ed anche allora si insinuavano motivi di “carriera” così come oggi fa Baiardo.
Il gelataio di Omegna, ovviamente, sbaglia quando dice che Tescaroli non è stato mai minacciato.
Nel corso della sua carriera Tescaroli si occupò della strage di Capaci. Assieme ai colleghi Francesco Paolo Giordano e Antonella Sabatino ottenne in via definitiva le condanne dei 37 mafiosi (29 ergastoli, tra componenti della Cupola, accusati di avere deciso l’eccidio, ed esecutori materiali).
Il 2 giugno 1997, pochi giorni dopo le richieste di condanna, il magistrato, all’epoca 32enne, sfuggì ad un attentato mentre era in vacanza con la propria fidanzata a Maratea, sulla spiaggia del lido del “Macarro”, in Basilicata. Volevano ucciderlo con un fucile a doppia canna lunga e con un’altra arma a canna corta.
Su quell’attentato indagò la Procura di Potenza per i reati ipotizzati a carico di persone non identificate di detenzione e porto abusivo di armi e resistenza a pubblici ufficiali.
Nel chiedere l’archiviazione al Gip il pm individuò in maniera chiara il contesto di quel progetto di morte, evidenziando che non vi erano dubbi che “la condotta dei due giovani d’identità ignota fosse diretta ad arrecare pregiudizio all’integrità fisica della persona del dott. Tescaroli”.
Nel documento venivano anche ricordati altri episodi di minacce ricevute dal magistrato, con ‘avvertimenti’ che erano stati addirittura trasmessi al padre, quindi si stabiliva con certezza che il magistrato fosse l’obiettivo degli attentatori a causa dell’impegno profuso, quale magistrato della Dda di Caltanissetta, nelle inchieste e nei processi contro persone imputate di appartenenza ad organizzazioni criminali di stampo mafioso siciliane, quali Benedetto Santapaola, Giuseppe Madonia, Antonio Ferro e contro i presunti mandanti ed esecutori delle stragi di Capaci e di via d’Amelio di Palermo.
Tescaroli si occupò anche del processo sul fallito attentato all’Addaura e assieme al collega Nino Di Matteo, indagò già a Caltanissetta su Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri (iscritti nel fascicolo con i nomi di “Alfa e Beta” come possibili mandanti esterni delle stragi).
Ciò avvenne grazie alle dichiarazioni del pentito Salvatore Cancemi, deceduto nel 2011, che per primo parlò dei contatti diretti tra i due politici di Forza Italia e i vertici di Cosa nostra.
In pochi ricordano che nell’inchiesta nei confronti dell’ex senatore l’ex premier Di Matteo e Tescaroli furono lasciati soli con uno scollamento di fatto con il resto della procura di Caltanissetta.
Un’inchiesta che si concluse con l’archiviazione da parte del Gip Tona, ma in cui venne messo nero su bianco come “gli atti del fascicolo hanno ampiamente dimostrato la sussistenza di varie possibilità di contatto tra uomini appartenenti a Cosa Nostra ed esponenti e gruppi societari controllati in vario modo dagli odierni indagati (Berlusconi e Dell’Utri)”.
I nomi di Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri sono inseriti nel fascicolo dell’inchiesta di Firenze sulle stragi ed è facile pensare che, dopo la morte dell’ex Premier, almeno per la sua figura l’inchiesta sarà chiusa. Ma ciò non fermerà gli accertamenti dovuti per la ricerca della verità su quella terribile stagione.
Per questo Tescaroli diventa un pericolo per la mafia ed i colletti bianchi. E Baiardo, con il suo dire e non dire, come ha fatto in passato, si presta al gioco dello snervante stillicidio.
Con la sua professionalità e le sue intuizioni, Tescaroli rappresenta una di quelle figure della magistratura che, come Nino Di Matteo, Giuseppe Lombardo, Nicola Gratteri ed altri, non si accontenta dei frammenti di verità.
Magistrati scomodi che vanno eliminati con qualsiasi mezzo. Se fango e delegittimazioni non bastano ecco che si passa alle bombe. Nel 2014 la Guardia di Finanza di Reggio Calabria riceveva una telefonata in cui si diceva: “Dite a Peppe Lombardo che se non la smette lo ammazziamo. Diteglielo che lo facciamo saltare per aria sul serio, i 200 chili di esplosivo sono sempre pronti”. E più di recente davanti alla Procura di Reggio Calabria è stata ritrovata una cartuccia con 57 proiettili. Nei confronti del Procuratore capo di Catanzaro Nicola Gratteri nel maggio 2022 è stato svelato un progetto di attentato che avrebbe dovuto colpirlo, sempre con una bomba, lungo il tragitto che collega la sua abitazione al suo ufficio. Tanto che la scorta del magistrato è stata dotata anche del bomb jammer. Lo stesso disturbatore di frequenze (capace di impedire ai sistemi di comunicazione radio la ricezione o la trasmissione di segnale) che è stato assegnato al sostituto procuratore nazionale antimafia, Nino Di Matteo. Contro quest’ultimo c’era stata la condanna a morte del Capo dei capi Totò Riina (oggi deceduto), poi nel 2014 la conferma arrivò nelle dichiarazioni di Vito Galatolo sull’organizzazione dell’attentato, sull’arrivo di 150 chili di tritolo a Palermo, acquistati in Calabria, e quella richiesta di esecuzione proveniente da Matteo Messina Denaro per conto di altri soggetti (“Gli stessi di Borsellino”).
Un progetto di morte che, come scritto dalla Procura di Caltanissetta nell’archiviazione dell’inchiesta,“resta operativo”.
Le stragi non sono affatto vecchie storie. E in un clima di tensione crescente di fronte a certe strategie non può essere sottovalutato nulla.