Ieri sera ho partecipato alla bellissima presentazione del libro “Ti disturbo?” della giornalista Sanja Lucic allo Spazio Mercury (via Thaon di Revel – Milano): un’ora e mezza magica, tra attori (Vincenza Pastore e Daniele Monachella) e presentatori esilaranti (Marco Ardemagni) e un cantautore (Andrea LaBanca) estremamente ironico.
Questo libro è nato dall’esperienza di blogger di Sanja, che negli ultimi anni, in “Stranger in Milan” (qui), ha raccontato della sua vita di “straniera” a Milano: le differenze culturali, i modi di dire, le abitudini, gli stereotipi e tutto ciò che, da noi italiani, viene dato tremendamente per scontato; tutto è stato analizzato in modo critico, ma divertente, da chi non si è ancora fatto “contagiare”.
E’ vero che, molti di noi, usano delle frasi come: “Ciao bello!”, “Ciao cara!”, oppure “Dimmi…”, magari con persone che non si vedono mai o che si incontrano per caso e sembra sempre che si sia pronti per correre via appena le si è pronunciate.
La cosa che più ho trovato entusiasmante è il punto di vista di una donna che, straniera in una terra lontana (ma che ormai sente sua), è riuscita a mantenere quel pizzico di sana critica, indispensabile nella vita.
Mi ha fatta sorridere e riflettere soprattutto il titolo scelto per il libro: “Ti disturbo?”, una frase ricorrente di quando si telefona a qualcuno e anche un po’ nonsense, se vogliamo, perché, come dice l’autrice: “Se mi disturbassi, non risponderei…”. Ma, ormai, rispondiamo sempre… siamo obbligati ad essere sempre present* al mondo, prima che a noi stess*.
Automaticamente ho fatto un calcolo mentale di quante volte devo aver posto quella domanda al mio interlocutore o alla mia interlocutrice: un’infinità… e mi sono domandata “perché?”
Perchè questo “Ti disturbo?” da noi donne viene usato ancora più spesso che dagli uomini… e non solo al telefono.
E’ dura liberarsi da questa atavica convinzione di disturbare continuamente per qualsiasi cosa facciamo: dalla telefonata al parlare per esprimere un’opinione, dal compiere un’azione o anche solo per il modo in cui viviamo. E’ come un continuo giustificarsi per ciò che siamo o ciò che desideriamo essere: un continuo giustificarsi perché SIAMO.
Noi donne spesso facciamo fatica a far sentire la nostra presenza senza la convinzione di importunare il nostro prossimo.
Così come facciamo fatica a dirci: “Adesso sono impegnata, non rispondo…”. Dobbiamo sempre essere capaci di dividerci in mille compiti diversi per soddisfare mille bisogni diversi (ovviamente altrui).
Forse uno dei messaggi del libro di Sanja Lucic è proprio questo: mettere da parte queste tristi abitudini di cui siamo schiave e provare a guardarci intorno, non accettarle quando ci vengono imposte dall’esterno, rompere gli schemi, tornare ad essere anche noi “straniere” in terra straniera, in una terra che vogliamo cambiare nel profondo, anche solo modificando un piccolo gesto quotidiano che racchiude in sé, una grossa presa di posizione.
Posted by DameVerte on apr 18, 2013