Il debito del Comune di Torino resta in valore assoluto uno dei più alti del Paese. Nel marzo del 2013 la quota di debito pro capite ha toccato quota 5300 Euro, consegnando ai Torinesi il secondo posto dei cittadini più indebitati d’Italia, dopo Milano. In valore assoluto, con riferimento al rendiconto 2012, il totale dei debiti ammonta a 4.269.809.907,23, oltre ad una quota di ratei e risconti pari a 5.592.030,09[1]. Nonostante gli enormi sacrifici compiuti soprattutto dalle classi povere della città, che hanno visto gli effetti dei tagli dei servizi sociali, l’espulsione dei lavoratori mantenuti da anni in stato di precariato, l’aumento del costo accompagnato dalla drastica riduzione dei servizi utilizzati dalle classi più deboli, come il trasporto pubblico, l’aumento delle tasse, il debito è diminuito di poco, una quota piccola, restando la giustificazione principale per imporre sacrifici alle masse povere e zittire le lotte di opposizione sociale.
Sembra la fotocopia della situazione nazionale: il perseguimento della politica di rigore nei conti (va da sè: senza toccare chi mantiene i privilegi), il rientro nei patti di stabilità finanziaria, la cura del rating di affidabilità finanziaria (stabilito in genere dai monopoli privati che ti prestano il denaro) svuota il mare con il cucchiaino.
La domanda del cittadino comune non può allora che essere questa: “Solo a questo sono serviti i sacrifici? Ho perso lavoro, servizi, denaro, sicurezza sociale, istruzione, mio figlio è destinato al precariato perenne se non alla disocupazione. Per cosa?” La risposta è evidente: per il rientro nel patto di stabilità ovvero per un punto di rating in più. Il che significa che i monopoli finanziari in tanto si mantengono calmi in quanto continui la macelleria sociale a garanzia dei propri profitti.
Nel frattempo, nella nostra metropoli, persino il quotidiano “La Stampa”, da sempre favorevole all’amministrazione, confessa che i torinesi guadagnano sempre meno: sono 51.465 le famiglie che, dichiarando un reddito Isee inferiore ai 13 mila euro (Div. Servizi tributari), dei 2.790 nuclei in più che hanno chiesto uno sconto, quasi 2 mila si collocano proprio in questa fascia.[2]
Quando a Torino si parla di crisi pagata dalle classi povere, si vuol anche dire, tra le altre cose, che il Comune non muove un dito contro gli interessi delle grandi banche che controllano il suo debito.
Una grossa fetta del debito comunale è composto dai cosiddetti “derivati” strumenti finanziari complessi ed azzardati nei quali chi stipula il contratto per assicurare i propri mutui da sbalzi di interesse ci perde quasi sempre, e tanto.
Nella previsione di bilancio 2009-2012 si registravano ben 25 contratti derivati, stipulati dall’Amministrazione Comunale di Torino tra il 2002 e il 2007, sotto l’impulso dell’Assessore Paolo Peveraro, con i soliti noti del panorama finanziario globale: J&P Morgan, ABN Amro, ma anche e soprattutto le banche Intesa Sanpaolo e Unicredit, banche dalle cui fila provengono anche i membri della classe dirigente ora in sella all’amministrazione comunale. L’assessore Peveraro, che stipulò i cotratti derivati divenne assessore al bilancio anche alla Regione Piemonte, dove piazzò altri contratti derivati. L’assessore odienrno ai trasporti Lubatti, autore del grande taglio dei trasporti pubblici, proviene dalle file di Intesa Sanpaolo. Una delle banche coinvolte svolge attualmente il servizio di Tesoreria Comunale.
L’ammontare complessivo dei derivati all’ultimo dato ufficiale del 2009 constava di € 942.799.879,90: molti di questi hanno scadenza sino al 2037 e rappresentano circa il 30% del debito torinese.[3]
Quanto costano questi contratti d’azzardo? Il Comune ha stimato le perdite per costi palesi ed occulti di questi contratti nel triennio 2010-2012 in 22 milioni di Euro! Un simile salasso continuerà molto probabilmente nello stesso modo sino all’estinzione dei contratti.
Molti Comuni hanno reagito di fronte a queste trappole finanziarie: Milano ha citato in giudizio le banche ed ha vinto: i giudici del Tribunale di Milano hanno ritenuto che il Comune di Milano non avesse la caratura finanziaria per la stipula utile di tali contratti scommessa. Sobo stati condannati i vertici ed i funzionari di J&P Morgan, Deutsche Bank, Depfa ed Union des Banques Suisse (UBS)[4].
Anche la regione Toscana ha denunciato i finanziatori, i quali sono stati indagati dalla procura di Firenze per aver speculato illecitamente a danno degli enti locali. In Lazio pende una causa civile contro le banche con richiesta di risarcimento per 88 milioni di Euro.
E a Torino? Sembrerebbe da informazioni di stampa che i derivati nella pancia del Comune siano ancora pari 348 milioni di Euro.
Agli addetti ai lavori sono ormai ben note le vie di uscita per combattere ed eliminare i contratti: si tratta dell’annullamento in autotutela dei contratti per palesi vizi di procedura nella stipulazione.
Molte di queste trappole sarebbero state adottate con una delibera di Giunta. Il Consiglio di Stato ed anche il Tar del Piemonte hanno chiarito che solo il Consiglio Comunale è competente a “deliberare su spese che impegnino i bilanci successivi per gli esercizi successivi” ciò secondo l’art. 42 del D.lgs. 267/2000 (il Testo Unico degli Enti Locali). In presenza di tale vizio, il contratto può essere annullato per autotutela in modo legittimo anche molti anni dopo la stipulazione, senza alcun esborso e con diritto alla restituzione.[5]
I contratti scommessa furono conclusi spesso con la motivazione di voler coprire i rischi finanziari dell’Ente. In molti dispositivi, però, vi sono clausole di natura speculativa (c.d. “digital” , dichiarate illegittime dalla Corte dei Conti) che rendono i derivati assolutamente inidonei a perseguire questo scopo.
Seppure la Procura abbia in corso da oltre un anno indagini sulla vicenda derivati, non sembra che l’amministrazione comunale abbia adottato azioni di questo tipo contro gli interessi delle banche, i cui interessi sembrano ampiamente rappresentati nell’amministrazione odierna. Nemmeno si ha notizia di un’inchiesta operativa circa le possibilità di annullamento.
Eppure, dinanzi alle maestre precarie che si incatenano al Comune si ripete sempre la stessa solfa: vorremmo ma il debito ci lega, faremmo ma le banche ci incatenano.
Ci si chiede allora se il conducente di questo enorme taxi che si chiama Torino non stia facendo il giro lungo ai nostri danni: soprattutto quando i rischi vengono scaricati soprattutto sulle classi povere, sui precari, sui bassi redditi, sulla piccola borghesia e sui commercianti sempre più in via di proletarizzazione, mentre le classi alte sembrano mantenere intatti i loro privilegi. Torino si fregia ancora di un general manager con stipendio d’oro da mezzo miliardo di Euro. Il sindaco continua a pagare il suo portavoce Giovannetti, direttore della sua campagna elettorale, sempre 15mila euro al mese (oltre 187mila Euro l’anno, una somma di gran lunga superiore a quella del portavoce di Barack Obama), anche se è stato costretto a revocare la sua nomina a dirigente perchè era privo del requisito fondamentale: la laurea[6]. Vittoria di Pirro della Forma con la F maiuscola, ma le maestre, i precari, i nuovi proletari ed i bassi redditi rimangono sempre all’ombra di questa durissima Mole.
* segretario provinciale di Torino
Comunisti Sinistra Popolare per il Partito Comunista
[2]La Stampa, 16/9/2013: Si guadagna sempre meno, Tarsu Record di esenzioni, di Andrea Rossi
[3] Comune di Torino, Relazione Previsionale programmatica per il triennio 2010-2012
[4] http://www.repubblica.it/economia/finanza/2013/02/04/news/derivati_comune_di_milano_setenza-51933580/