di Daniele Chicca
NEW YORK (WSI) – Contrariamente a quanto possano far pensare le 360 miliardi di euro di sofferenze lorde iscritte nei bilanci dei suoi istituti di credito, l’Italia non soffre tanto di una crisi del settore bancario quanto più di una crisi economica generale. Da quando è stato introdotto l’euro ci sono dei paesi che in termini macroeconomici sono stati indietro. Mentre la Germania cavalca un surplus da record, l’Italia è stato il paese più colpito dopo la Grecia.
Il Pil si è contratto del 10% dal 2007 e secondo il Fondo Monetario Internazionale dobbiamo rassegnarci ancora a un ventennio di crescita anemica. Circa il 20% della capacità industriale italiana è stata distrutta in questi ultimi anni. In termini di Pil pro capite la situazione è ancora più drammatica: l’Italia è tornata indietro di 20 anni. Se si pensa che l’Italia è rimasta impantanata in una fase di recessione negli ultimi sei anni forse le cifre non dovrebbero nemmeno sorprendere così tanto.
I problemi strutturali endemici dell’Italia sono ben noti – burocrazia, pressione fiscale, mercato del lavoro – ma il collasso dopo la crisi del 2011 è un risultato diretto delle politiche di austerità imposte dalle regole di bilancio europeo, dalle quali pare che il governo Renzi voglia separarsi una volta per tutte. Il governo Monti prima e il governo Renzi poi hanno dovuto imporre una rigidità fiscale il cui obiettivo, come ammesso dallo stesso professore della Bocconi, è stato quello di “distruggere la domanda interna per ottenere un consolidamento fiscale”.
I consumi privati sono scesi, così come le importazioni, e il deficit delle partite correnti dell’Italia si è ridotto a un surplus irrisorio. Intanto il sistema bancario è sotto attacco in Borsa, come testimoniano anche l’andamento del sistema europeo di trasferimenti di denaro interbancari Target2 dell’Italia, che è quasi ritornato sui livelli pre crisi del 2012. Il sistema ha lo scopo di bilanciare gli squilibri della bilancia dei pagamenti dei paesi membri. Dopo l’adozione della moneta unica, gli scambi internazionali che consentivano di compensare il deficit vengono sostituiti dall’esecuzione di prestiti in valuta estera delle banche centrali presso la Bce.
Euro potrebbe non arrivare al 2025
È chiaro a tutti che vista anche l’interconnessione tra i vari paesi dell’area euro, se non vengono sistemati i problemi delle banche italiane, si rischia un’implosione sistemica in tutta Europa. Un nuovo choc esterno, nonostante l’impegno di management e governo a risolvere i problemi di capitale e crediti inesigibili, potrebbe provocare una corsa agli sportelli dettata dal panico in Italia.
Il costo per ricapitalizzare le banche è stimato a 40-45 miliardi di euro, di cui 5 per Mps sono già stati stabiliti per novembre. Unicredit potrebbe aver bisogno di 6-8,6 miliardi di euro di capitali addizionali, secondo le stime di Ubs e Banca IMI. Nel caso di Mps si è fatto ricorso a un piano di bailout alternativo di emergenza, ma in altri casi il rischio è che scatti il bail-in.
Il problema dei regimi di bail-in vincolanti introdotti da gennaio in Europa è che favoriscono i capitali più solidi dell’unione monetaria, penalizzando invece quelli più deboli situati nella periferia. In termini prettamente economici, un bail-in degli obbligazionisti finirebbe per congelare il mercato dei bond italiano, scatenando una fuga di capitali dalle banche. Dal punto di vista politico sarebbe un disastro per il governo che sta cercando di riconquistare popolarità in vista del voto decisivo per il futuro di Renzi: quello sul referendum costituzionale di questo autunno.
Anche se viene fatto qualcosa per risolvere la crisi bancaria, rimangono da risolvere i problemi di zero crescita economica. Secondo l’analisi dell’Fmi già sopra citata, il Pil reale in Italia non tornerà a crescere ai ritmi pre crisi prima del 2025. Non è economicamente e politicamente sostenibile per la terza potenza dell’area euro “perdere” due decenni. L’impressione è che se non viene fatto qualcosa per risolvere i problemi strutturali, più che quelli delle banche, l’esperienza dell’euro potrebbe concludersi prima del 2025.
2 agosto 201