da Angelo Ruggeri
Correlato 1.1a “Non è revisione ma è sovversione dall’alto delle classi ed elite dominanti”
Da “Allarmi, sono …” alle armi dell’antifascismo, della Resistenza, della lotta e rivolta popolare contro l’intero PD e tutte le Leggi e la Legge di “revisione” tutte targate “Bersani-Renzusconi”
Tra storia degli italiani e dell’italiano
Tra vecchie-vetero-tradizionali élite delle classi dominanti e le nuove élite operaie contadine popolari nate con la Resistenza e fondatrici della nascita stessa dell’Italia come nazione e come popolo, della democrazia e della Costituzione della Repubblica antifascista fondata sul lavoro, ovvero tutto quel che le anticostituzionali leggi “Bersani-Renzusconi”, sia ordinarie che di “revisione, vogliono sradicare.
L’Italia non è mai esistita prima della Resistenza.
È solo con la Resistenza che nasce l’Italia come nazione e popolo che prende coscienza di sé. Anche le arti e il neorealismo, specie cinematografico, che si fonda sul prospettivismo di carattere marxista, sono la testimonianza di questa presa di coscienza di sé come popolo e come nazione.
Ed è questo, questa radice, la radice stessa del popolo e della nazione italiana – oltre a tutto il resto – che viene estirpato dalla Legge “Bersani-Renzusconi” di sovversione costituzionale , detta di “revisione costituzionale” ma che realmente modifica e sovverte ben 49 articoli della nostra Carta del 1948 affermando valori contrastanti con quelli della Resistenza che sono stati il fondamento della democrazia e della nascita della Repubblica e dell’Italia come nazione e popolo.
Praticamente non vogliono che in Italia esistano gli operai, i contadini, i “plebei“ ceti popolari: come già al tempo – prima, durante e subito dopo il fascismo – quando le forze reazionarie e conservatrici come gli attuali renzusconiani/bersaniani e berlusconiani, non hanno mai considerato legittimol’ordinamento democratico-sociale nato nella Resistenza e canonizzato nella Costituzione: non solo non vogliono che in Italia esistano gli operai i contadini, i “plebei” ceti popolari, ma come allora, ancora oggi, non vogliono che tali classi e ceti – grazie alle garanzie costituzionali vigenti dal 1948 – possano permettersi di parlare, scrivere ed esprimersi nelle forme del linguaggio loroproprio e che tali classi e ceti popolari, abbiano addirittura il potere di voto.
Potere di voto che, infatti, a tali ceti e classi viene cancellato col maggioritario e gli sbarramenti, eliminando ogni forma di rappresentanza sociale di cui i vari Landini si accorgono, OGGI, di ciò che manca dagli anni Novanta, da quando nel 1993 furono introdotte le Leggi truffa uninominale/maggioritario e gli sbarramenti contro cui non hanno avuto nulla da dire né il Landini né la Fiom né il sindacato tutto. Nonostante le nostre sollecitazioni a contestare e battersi ALMENO contro gli sbarramenti che, tagliando i voti alla base OPERAIA E POPOLARE, cancellano e gettano tra la carta straccia il voto dei già pochi che vanno a votare, per escludere dall’arena parlamentare le forze sociali che collidono col sistema capitalistico, tagliando fuori la base della classe operaia e dei ceti social-popolari con il ritorno alle forme politiche di una rappresentanza non più anche socialee di classe ma solo ed esclusivamentedi “ceto politico”, di “CASTA POLITICA” posta al servizio della “CASTA ECONOMICA” (anche per questo è reazionario – storicamente è mussolinismo – denunciare la “casta politica” favorendo e tacendo della “casta economica”. Un volto-simbolo che ci è apparso in TV lamenta il ritardo avuto nel sopprimere lo Statuto dei lavoratori, è il proto-cripto-fascista in camicia bianca di nome Sergio Rizzo, che come il Mefistofele di Goethe o il Melmoth di Balzac, mancando di concetti solo con “parole” ha criticato la “Casta politica” in nome della Casta economica e di una nuova Carta del lavoro come quella fascista del 1927: noi che siamo cresciuti a pane e “Piccolo Teatro” di Strehler, ricordiamo il Brecht che rappresentandoli mostra che più sono noti e più “risplendono” più sono marci…: giornalisti da Corsera dei tempi di Albertini invece di concetti fanno parole che sono la croce rossa il pronto soccorso della mancanza di concetti, come il Mefistofele di Goethe bene-dice che è altro dal Beneduce – diciamo a Rizzo – ministro che servì il capitale finanziario che altro non è che corporativismo cosi come “il fascismo non è altro che corporativismo”, bene-spiegò Benito.
Da una rappresentanza di solo “ceto politico” nasce la “Casta Politica”, formata dalla vecchia e nuova borghesia, rispettivamentedi destra e di sinistra, quindi voluta anche da chi la critica ma ha voluto e imposto il principio maggioritario e uninominale, nonché gli sbarramenti e quindi il ritorno ad una tipologia di rapporti politico-istituzionali che sotto il segno della diade destra/sinistra, si limita a rappresentare (Bush o Obama, Thatcher o Blair, Veltroni-Renzi-Bersani o Berlusconi–Verdini, popolari-crociati o socialdemocratici, ecc.,) la vecchia e tradizionale natura dicotomica di rapporti tutti interni alla non più dirigente ma dominante classe borghese-capitalista (e il capitalismo non è solo di destra: è la Destra: forse che qualcuno non lo sa e non sa la storia del capitalismo?).
“Ceto politico” e “casta politica” che alternandosi si dividono solo per gestire le spoglie del potere saldamente ed esclusivamente nelle mani del capitalismo finanziario, di imprese e istituti di credito, tramite i loro tecnici e manager, cioè gli intellettuali organici del capitale e della borghesia che sono indispensabili per affermare l’egemonia della cultura d’impresa (cosi come i venduti e scomparsi “intellettuali organici” alla classe operaia lo sono (lo sarebbero) per affermare l’egemonia culturale delle classi lavoratrici e popolari.
Essendo che la diade destra/sinistra di “ceto politico” dove tutti hanno preventivamente optato per i valori del mercato, in sintonia con i potentati economico-finanziari, il potere è saldamente ed esclusivamente nelle mani della “CASTA ECONOMICA”, la prima e VERA CASTA di potere assoluto ed esclusivo, al cui servizio inevitabilmente si pongono la politica e il governo espressioni della rappresentanza solo di ceto politico e non anche sociale e di classe, contro cui non hanno avuto da dire nemmeno le forze politiche (di asinistra) e quelle sociali (sindacati) che in ragione di tal sistema vengono escluse, marginalizzate, spezzettate.
Anche perché tali forze politiche e sindacali si sono auto-decapitate, anzitutto ideologicamente (già nei simboli e nei titoli privi di contenuto che si danno: ricordate gli Arcobaleno?), quindi anche socialmente, portate a escludere la nuova élite operaia-contadina e “plebea” popolare, a causa della ripulsa sia della lotta di classe che della teoria e del metodo del materialismo storico, infine per carenze “culturali”, che sono all’origine di una prassi politica-sociale che, scissa da una “filosofia critica delle nuove forme delle contraddizioni e della crisi continua e permanente del capitalismo, è divenuta sempre più subalterna ai poteri dominanti e al governo: tanto che molti che appaiono o vorrebbero essere suoi oppositori o sembrano contestare di più finiscono in realtà, per un verso, con l’esprimersi nell’ambito di valori, forme filosofiche e di linguaggio dei “ceti alti”, delle vecchie élite e dei dominanti, volendo escludere ed escludendo il linguaggio “plebeo” e delle nuove élitequali sono gli operai, i contadini, i ceti “bassi”, e per l’altro verso finiscono persino con elogiare ed apprezzare talune decisioni del governo: ad es. gli 80 euro di cui ha “magnificato” anche chi vorrebbe essere e sembra il più contestatario e l’anti-Renzusconi, dicendo persino che con la contrattazione sindacale, lui, Landini, non li avevano mai ottenuti: dimenticando che con la contrattazione paga il padrone mentre gli 80 euro li paghiamo noi, con la fiscalità.
Sicché, conseguentemente a tutto questo e al ventennio di abbandono della teoria e prassi marxista che è stata una base dell’Epos della Resistenza e, ripetiamolo, della presa di coscienza di sé come popolo e come nazione bene espressa dal prospettivismo di carattere marxista del neorealismo, con lo stratificarsi di conseguenze che hanno portato a rubricare come posizioni di sinistra quelle tipologicamente simili alla sinistra liberale-borghese del secolo scorso e del pre-fascismo, si torna similmente a quando non volevano che si parlassero i dialetti, non volevano che esistesse né un lingua né un linguaggio “plebeo” anche dialettale come era proprio dei contadini ma anche della maggior parte di operai (nelle cui case, in famiglia e tra parenti parlavano in dialetto – anche i miei genitori, zii, cugini ecc.), nemmeno in forma di letteratura operaia e contadina e/o dialettale (come era propria dei contadini ma anche di molta parte della classe operaia), perché l’Italia di allora sia quella pre-fascista che dell’immediato post-fascismo, era completamente stereotipa e falsa, completamente al di fuori di ogni forma di realismo anche solo poetico o letterario: donde che ho citato e richiamo frequentemente l’esempio dell’operaio di Gramsci che ogni sabato andava nella redazione de L’Ordine Nuovo a chiedere del Giappone di cui nessuno parlava mai, si che mancandogli il Giappone gli sembrava di non sapere nulla di nulla (a significare che se non è “unitario” e onnicomprensivo – come è specificità del marxismo e dei marxisti – non c’è vero sapere né vera cultura ); o di Peppino Frongià, il primo e più grande organizzatore delle lotte di classe e di masse del primo 900, di cui Gramsci pubblicava i suoi scritti come esempio di “letteratura proletaria”; o del siciliano Boccadutri di Vittorini; o del nostro e personalmente conosciuto bracciante di Palma di Montechiaro che col linguaggio plebeo che più plebeo di quello non può esistere e nemmeno immaginare (e che giornali e blog di oggi cestinerebbero immediatamente magari deridendolo pure) tenne una Lectio magistralis – quella sì veramente magistrale – dando lezione a professori e studenti universitari totalmente zitti e irrefutabilmente “schiacciati”, subornati persino, dalla forza argomentativa, dai contenuti concettuali e interdisciplinari “raggrumati” in un sol blocco di storia, economia, sociologia, diritto, politica, letteratura sia classica che contadina, teoria comparativa di costituzioni e democrazia, di forme istituzionali e apparati ideologici pubblici e privati, di stato e d’impresa, ecc. ecc, (ma non si può descriverlo a parole, spiace di non averlo potuto registrare), questo davanti a me (che mi avevano appena rilasciato dopo avermi fermato come Agit Prop – appresi dai giornali del giorno dopo – per aver osato discutere e contestare in piazza il sindaco mafioso), che per la prima volta scendevo in Sicilia e avevo come testimone al mio fianco Maria Rosa Scibetta di Racalmuto, paese di Sciascia e un altro compagno della FGCI di Agrigento: ricordo la sua 500 scassata con cui mi accompagnò ma non il suo nome, come non ricordo il nome del magistrale bracciante della terra, dal viso e dal corpo arso dal sole, tale da evocare “quel che si avanza è uno strano soldato dalla man callosa e il volto abbronzato” de La Guardia Rossa.
Uomini, veri uomini nuovi e nuova élite (a questi credo si riferisse Pasolini dicendo di amare chi possibilmente ha fatto al massimo la quarta elementare: quanto ci manca un Pasolini oggi!!!) come solo un d’Albergo, sono certo, avrebbe saputo apprezzarli e discutere con loro (provate a pensare un borghese-liberale come Rodotà ma non solo lui, che discute con tali braccianti o altri simili: impossibile anche solo immaginarlo, oppure inizierebbe a guardarli dall’alto al basso alzando la testa e allungando il collo verso l’alto, col suo tic acquisito in decenni di accademica abitudine di guardare la realtà dall’alto, “vedendo” cosi gli uomini come fossero solo formiche).
Uno della nuova élite, operai e contadini, che hanno preso il posto delle vecchie élite che spregiativamente intendono “plebeo” come persona incolta e grossolana, come sono certo lo intendesse anche un semi-marxista (cioè finto) come Thomas Mann, nella SUA letteratura – dalla Montagna incantata – che non può portargli dietro le ciabatte ai Giganti della Montagna di Pirandello il primo spettacolo teatrale a cui ho assistito quando avevo 16 anni – nel Doctor Faustus – l’operaio non esiste, compare solo in tre-righe-tre dei Buddenbrook ma in modo ironico, da presa in giro. Peccato che anziché scrivere Morte a Venezia, dove il decadentismo accomuna la città e lo scrittore, vi sia “affogato” assieme ai suoi colleghi frankfurtisti (franki furti ladri del futuro), da Marcuse fino agli attuali Habermas, revisionista come tutti i frakfurtisti, che addirittura vuole, Lui, ricostruire il materialismo storico, Lui. E come poi? rifacendosi proprio alla teoria del linguaggio: roba da vecchie-vetero-élite, che con revanscismo teorico della destra “linguistica” hanno rilanciato tramite le c.d. “nuove” tecnologie di disinformazione di massa informatizzate, ed anche chiamando in soccorso di tale “ricostruzione” (oggi il mondo è pieno di gente che vuole insegnare ai gatti ad arrampicarsi, ai padroni e ai capitalisti come fare i padroni e i capitalisti e a Marx come fare il Marx) e dialettizzandosi proprio e persino con Luhmann. Sperando che nessuno abbia dimenticato le sue conclamate teorie anti marxiste e reazionarie (che grazie a Padre Pirola le abbiamo “assaggiate” pure all’Aloisianum di Gallarate.
Cioè in Thomas Mann – per fare un esempio – non esiste lo sguardo dal basso, il punto di vista plebeo, cioè veramente marxista: in lui tutto diventa “letteratura”, letteratura virtuosa e – non sempre nel senso migliore – tutto diventa “dire” e “raccontare”, dove l’unica cosa che non si dice è la verità proprio come fanno i tellettual-In e le vetero-vecchie-élite culturali-politiche, accademiche e giornalistiche, di stampa-TV e Rete informatica di oggi, che non farebbero ed anzi non fanno scrivere a chi non sia affetto da “grammaticismo” (come Diderot e gli enciclopedisti definiscono anche quello di Voltaire), a chi non sappia confezionare tutto in un “raccontare”, “descrivere” anziché approfondire ed analizzare, con un “bello scrivere” o “bel parlare” fine a se stesso, come strato imbiancante e ricoprente, farisaico, da “sepolcri imbiancati” e da “zerbinoti” di spesso solo strato.
Viceversa, ribadisco e ricordo, nella terminologia marxista plebeo è inteso come una grande virtù, di chi cioè osserva la società dal basso, quindi da vero marxista, comprendendo e mettendo a nudo la realtà che la borghesia maschera con la confusa sovrastruttura dell’ideologia.
Ecco la storia “maestra di vita”: storia sociale dell’Italia e dell’italiano linguistico.
Abbiamo già detto che l’Italia non è mai esistita prima della Resistenza. Prima di allora era completamente stereotipa e falsa, completamente al di fuori di ogni forma di realismo anche solo poetico o letterario, praticamente non si voleva che in Italia ci fossero dei contadini e degli operai, tanto meno che potessero parlare e scrivere, non volevano che nascesse una nuova e vera élite che non è quella tradizionale-borghese, ma operaia e contadina, protagonista della guerra partigiana di Resistenza con la quale nasce e si forma l’Italia e un popolo che per la prima volta con la Resistenza prende coscienza di sé come nazione e incontra la realtà con i suoi aspetti sociali e politici, di cui prende coscienza e maggiore consapevolezza “scoprendo” che ci sono le classi e le divisioni di classe e che ci sono le lotte tra braccianti e padroni, tra operai e padroni – come in una specie di sopravvivente feudalesimo – tra cui bisogna scegliere da che parte stare, ed è attraverso questa scoperta e scelta istruttiva che operai e contadini, che le classi popolari, protagonisti dell’Epos nazional-popolare (nel senso propriamente gramsciano), della Resistenza fondatrice dell’Italia come nazione e popolo, hanno preso la loro strada che era ed è stata per la maggior parte la strada del marxismo, dell’opposizione totale alla nostra società.
Prima della Resistenza l’italiano era praticamente una lingua soltanto letteraria, lo è stata per molti secoli fino a pochi decenni fa e in buona misura lo è ancora oggi, se non che alla lingua solo letteraria è venuta sostituendosi o sovrapponendosi un italiano come lingua tecnica, tecnocratica egemone, un linguaggio propriamente tecnico prodotto dall’impresa industriale, si che da Firenze che era la capitale dell’italiano letterario, la capitale dell’attuale italiano è diventata Milano e il famoso MiTo dell’asse industriale Milano-Torino, diventato poi anche Gemito del triangolo industriale Genova-Milano-Torino, di cui parliamo criticamente, ancora e già alla fine degli anni 70 e i primi anni 80, nei nostri libri che abbiamo prodotto e scritto per la CGIL regionale Lombardia – con il rilevante contributo anche di Salvatore d’Albergo che era di casa e sempre presente a Milano e in Lombardia, tra gli operai e il sindacato, tra sindacalisti e comunisti lombardi – contro i Comprensori non elettivi e sostitutivi della provincia e contro la nascita di una area metropolitana come istituzione – non elettiva – simultaneamente proposti come parti del progetto tecnocratico per controllare il territorio dall’alto in basso – allora lo facemmo fallire, oggi lo stanno attuando – spezzando e invertendo la organica e costituzionale continuità delle istituzioni comune-provincia-regione-parlamento della Repubblica delle autonomie che dal territorio-sociale-comunale risaliva fino al centro per contribuire dal basso, dal territorio cioè dal sociale, a determinare l’indirizzo politico e le scelte economiche nazionali come da art. 49 della Costituzione. Volevano seguire il modello anglofilo sia per l’area provinciale milanese che per l’area MiTo, in un primo tempo, e l’area Gemito, in un secondo tempo.
L’italiano è diventato lingua unitaria per ragioni puramente letterarie. Nato a Firenze (Dante, Petrarca e Boccaccio), ora si è fatto unitario ma non è più letterario: è una lingua tecnocratica e si sa che il linguaggio porta e ha in sé una filosofia e una concezione del mondo (ben spiegate da Gramsci), che nel caso è quello proprio dell’impresa (basti pensare allo slogan che è proprio dell’industria, lo slogan pubblicitario che è linguaggio commerciale d’impresa che sono una specie di cemento o di patina che livella, unifica l’italiano portando ad egemonia l’ideologia del consumismo fase suprema del capitalismo).
Donde che non è più alla vecchia élite che bisogna rivolgersi o dare la parola, ma ci si deve rivolgere e dare la parola alla nuova élite capace di esprimere la realtà attraverso la sua stessa realtà che vive, non mediata dai simbolici segni del grammaticismo dei tellettual-In; nuova élite che sono gli operai, i contadini, quelli che non hanno fatto l’università degli ultimi 40 anni (dopo che negli anni 50 si sperava e sembrava che si stesse superando la separazione tra le scienze e le due culture, quella umanistica-sociale a cui appartiene la democrazia e quella tecnica-naturale, come scriveva Lucio Lombardo Radice nel suo libro “Storia della matematica”) o, se ci si permette, che hanno fatto il liceo classico e l’Università, ma con esperienza già maturata in proprio e quindi in modo critico, “studiando” con i propri figli e partecipando e discutendo criticamente con i professori su tutte le materie, contribuendo alla programmazione didattica e alla definizione dei piani di studio e alla lettura critica dei contenuti di ogni materia (dalle elementari al liceo “usando” anzi “riusando” gli organi collegiali di istituto e di distretto e dimostrando che se si vuole si può ancora fare democrazia e un rinnovo dei contenuti dal basso, anche da soli – figuriamoci venisse fatto da tutti, ovunque, come col togliattiano partito nuovodi massa si faceva da parte di tutti e all’unisono dalle Alpi alla Sicilia…) , partecipando, scontrandosi, alla definizione dei piani di studio ecc. e che quindi non hanno subito la parcellizzazione-separazione-frantumazione del sapere (propria del linguaggio tecnico e specialistico dell’impresa) e possono cosi essere i soli ad essere veramente marxisti, al di là che lo sappiano o si definiscano o meno tali.
Viceversa come in passato non si vuole che ci siano operai, braccianti, contadini o “plebei” che parlino e scrivano e che sono la nuova élite che ha fatto la Resistenza e la democrazia antifascista da cui origina la Costituzione, che durante la lotta antifascista ha conosciuto e lottato contro il nazi-fascismo assieme alla vecchia élite intellettuale, ma per la prima volta nella storia senza subire la sua egemonia ed anzi semmai, alla fin fine imponendo la propria egemonia culturale, vera cultura non grammaticale e magari anche sgrammaticata come quella del bracciante di Palma di Montechiaro che aveva forte coscienza e forte cultura.
Cultura vera perché unitaria e non frantumata, capace di esprimersi guardando da un punto di vista diverso, di osservare la realtà dal basso, perciò dal punto di vista “plebeo”, maturata sui campi e nelle officine, con esperienza di vita vissuta, sofferta, ma senza alcuna subalternità verso chi sapeva scrivere e parlare meglio di lui, così come gli operai e i contadini partigiani durante la Resistenza, che hanno dettato principi e valori su cui si è edificata la democrazia, la Repubblica e la Costituzione e che per questo borghesi, intellettuali e giuristi vogliono “cambiarla” sovvertendola fin dalle fondamenta, rimuovendone la radice fondativa impiantata dalla nuova élite, che tra gli scioperi del marzo 1943 e il 1948 ha fondato tutto lei: la Liberazione, il sistema proporzionale, la Repubblica delle autonomie fondata sul lavoro, lo Stato, la Costituzione di democrazia sociale e antifascista, e poi, via via, attuando la democrazia sociale (e non il c.d. “stato sociale” su cui si sono arroccati riformisti e “asinistri” perdendo tutti i diritti conquistati quando ci si batteva per il controllo sociale dell’impresa e non per un “americano” e menzognero “stato sociale”: come può essere sociale uno stato se a comandare è la proprietà privata dei mezzi di produzione?)
Questa revisione sovversiva della Costituzione è una vendetta di classe, vendetta contro lavoratori, operai, contadini, popolo reputati responsabili di aver fondato una Repubblica, una Costituzione e una nazione fuori da tutti gli schemi affatto liberal-borghesi. È una revisione che finisce per sancire una esclusione – codificata normativamente e costituzionalmente – delle classi lavoratrici e dei ceti popolari, e l’attuazione di un colpo di stato “materiale” contro la vigente costituzione formale e sostanziale, fino ad oggi realizzato solo in modo contraddittorio con le leggi elettorali maggioritarie e con la “costituzione materiale”, come denunciato da Gramsci nei confronti del fascismo e da Berlinguer verso la craxiana ma trasversale occupazione dello stato.
RIBADIAMOLO ANCORA: UN FRONTE ANTIFASCISTA DI RESISTENZA E DI LOTTA contro l’attuale “regime di governo del capo” dei non eletti (il secondo regime del capo dopo quello nato e imposto nel 1925 dal fascismo) e contro la Legge “Bersani-Renzusconi” (cioè tutto il PD così come nel ‘91 tutti i PDS-DS con soli 4 voti di maggioranza affossarono il Titolo V della Costituzione) che lo istituisce evocando e imitando le leggi del 1925, che sovverte ben 49 articoli della Costituzione. Con tale leggenon stanno semplicemente facendo delle “modifiche” costituzionali (già di per sé gravi): stanno sovvertendo le radici stesse della nascita dell’Italia come nazione e come popolo, che non era mai esistita e che è nata solo con la Resistenza antifascista.