di Enza Galluccio
Tra il 3 e il 4 agosto del 1974, nella notte, una bomba esplode dentro una carrozza del treno espresso 1486 “Italicus”. Nell’intenzione degli autori l’esplosione doveva avvenire all’interno della Grande Galleria dell’Appennino, vicino a San Benedetto Val di Sambro, la stessa che dieci anni dopo vedrà esplodere il Rapido 904.
La pista neofascista è quella più attendibile da subito grazie alle dichiarazioni di molti testimoni inascoltati, messi a tacere o misteriosamente finiti male – come l’ex moglie del terrorista Augusto Cauchi rinchiusa in una clinica psichiatrica per lungo tempo, fino all’incapacità di ricordare – e nonostante i depistaggi realizzati nelle diverse fasi delle indagini. A ciò si aggiungono le apposizioni del segreto di Stato di settembre del 1982 e di marzo del 1985.
Grazie alle sentenze di assoluzione – ad esclusione di quella d’Appello poi annullata nientedimeno che dal giudice Corrado Carnevale, denominato l’ammazzasentenze in molti processi di mafia, e superata dalla Cassazione che assolve tutti nel marzo del 1992, anno di molte altre stragi storiche – non si giunge ad alcuna condanna dei neofascisti e neonazisti incriminati. I principali imputati sono Mario Tuti e Luciano Franci.
Ma non è tutto. Dalle testimonianze citate e dalle indagini riportate nei documenti processuali, vengono messe in luce relazioni con la loggia P2, individuata come istigatrice e finanziatrice dell’atto delittuoso nei confronti di gruppi dell’estrema destra extraparlamentare toscana e degli stessi attentatori.
Una sentenza purtroppo solo storico-politica e non giudiziaria. Lo scopo è per tutti sovvertire l’ordine pubblico fino al colpo di Stato.
Molti i collegamenti tra la strage dell’Italicus e quelle di piazza Fontana e piazza della Loggia. Nelle varie inchieste emergono anche interferenze ed interessi da parte dei servizi segreti italiani – come il Sid – e della Cia.
Molti i collegamenti anche con la strage del rapido 904 compiuta il 23 dicembre del 1984, per questo denominata “strage di Natale”.
Questa volta gli attentatori non sbagliano e il treno viene colpito da una tremenda esplosione all’interno del tunnel dell’Appennino. L’attentato viene identificato come l’inizio della guerra di mafia, ma c’è ancora molto da aggiungere a questa prima analisi.
Nel 1986 il pm Vigna imputa la strage al boss palermitano Pippo Calò e a Guido Cercola. La motivazione riconosciuta dal pm: “…con lo scopo pratico di distogliere l’attenzione degli apparati istituzionali dalla lotta alle centrali emergenti della criminalità organizzata che in quel tempo subiva la decisiva offensiva di polizia e magistratura per rilanciare l’immagine del terrorismo come l’unico, reale nemico contro il quale occorreva accentrare ogni impegno di lotta dello Stato”.
Ma anche qui non è tutto. Nel corso delle indagini emergono collegamenti con mafia, camorra, gruppi eversivi di estrema destra, addirittura la banda della Magliana e, ovviamente, la Loggia P2…
Allora, fu il giudice istruttore Giovanni Falcone ad ascoltare le deposizioni che mettevano in luce certi intrecci tra tutti questi ambienti criminali.
La sentenza di assoluzione di Totò Riina come mandante della strage, espressa dalla corte d’assise di Firenze, le cui motivazioni sono state rese pubbliche in questi giorni, parla di un “coacervo di interessi convergenti di diverso tipo” che non confermerebbero un mandato o un consenso di Riina.
La corte ammette che la strage giovava sicuramente anche Cosa Nostra, ma “non ne recava la tipica impronta”. Ciò si afferma nonostante il dirigente di polizia scientifica Vadalà ritenga che l’esplosivo utilizzato per il rapido 904 sia identico a quello di via d’Amelio e la strage di Natale sia considerata dalla pm Pietroiusti come il primo atto della mafia nella sua guerra allo Stato, sfociata poi nei fatti delittuosi del ‘92/’93.
Dunque per la Corte nessun collegamento con la morte di Falcone, di Borsellino e con le stragi di Roma, Milano e Firenze.
Difficile tuttavia pensare che il boss di Porta Nuova Pippo Calò abbia agito all’insaputa di Riina… Cosa Nostra ha regole ben precise al proprio interno, ma questo non sembra essere determinante nella valutazione dei giudici fiorentini.
Rimane in atto la profonda riflessione sui veri mandanti e sulle inquietanti analogie che presentano queste stragi.
Anche a questo, prima o poi, una Corte dovrà dare risposta.
24 giugno 2015