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Trump “sconfigge” Biden sul numero di guai giudiziari
Domenico Maceri
“Nessuno è al di sopra della legge, nemmeno il figlio del presidente”. Così l’editoriale del Washington Post commentando la recente condanna di Hunter Biden per possesso illegale di un’arma da fuoco. Hunter, il figlio dell’attuale presidente, potrebbe essere condannato a molti anni di carcere, multe salate o una combinazione dei due. Nessuno è al di sopra della legge nemmeno nei casi di ex presidenti come abbiamo visto il mese scorso con la condanna di Donald Trump nel tribunale di Manhattan. Trump è stato condannato di 34 capi di accusa per avere falsificato documenti aziendali per nascondere i pagamenti fatti alla pornostar Stormy Daniels onde favorire la sua campagna elettorale del 2016.
La condanna di Hunter Biden ha confermato nella mente di molti americani che il sistema giudiziario, anche se imperfetto, continua a funzionare e non è strumentalizzato da Biden come asserisce Trump. Non si tratta di un sistema che punisce solo i repubblicani come ci confermano anche altri due casi, quello di Henry Cuellar, parlamentare democratico del Texas e Bob Menendez, senatore democratico del New Jersey. Il primo è accusato di corruzione, riciclaggio di denaro, e di consulenze illegali al governo dell’Azerbaigian. Il processo avverrà nel 2025. Il secondo è accusato anche di corruzione. L’Fbi ha trovato una ventina di lingotti d’oro in un armadio nella residenza del senatore come pure mezzo milione di dollari in contanti. Inoltre Menendez avrebbe fornito informazioni segrete al governo egiziano. Il processo di Menendez è iniziato quasi contemporaneamente a quello di Trump in Manhattan ed è ancora in corso ma nessuno ne parla, specialmente i repubblicani. Il fatto che il figlio del presidente, un parlamentare e un senatore democratico siano coinvolti in attività potenzialmente illegali dimostrerebbe che il ministero di Giustizia stia facendo il suo dovere e non discrimina dall’etichetta politica. Comunque andrà a finire in queste due situazioni, non c’è dubbio che il campo di Trump ha avuto le sue grane con la giustizia anche prima che lui si insediasse alla Casa Bianca. Una comparazione fra Biden e Trump per guai giudiziari rivela che l’ex presidente è il chiarissimo “vincitore” con una lunga cerchia di collaboratori che sono già stati condannati o incriminati per una lunga serie di reati, legati in un modo o nell’altro al loro leader.
I guai legali di Trump iniziarono ad emergere subito dopo la sua elezione nel 2016 condizionata in parte dell’interferenza russa. I legami con i russi vennero a galla dopo l’insediamento del 45esimo presidente alla Casa Bianca. Michael Flynn, nominato da Trump come Consigliere di Sicurezza Nazionale, fu licenziato dopo poche settimane per avere mentito all’Fbi su alcuni contatti avuti con ufficiali russi. Le indagini dell’Fbi scatenarono la nomina del procuratore speciale Robert Mueller sull’interferenza russa nelle elezioni. Il suo manager nella campagna elettorale di Trump Paul Manafort fu uno dei primi a essere incriminato per non avere dichiarato milioni di dollari ricavati da consulenze a politici ucraini pro-russi nel 2014. Inoltre è stato condannato per false testimonianze e sentenziato a 47 mesi di carcere ma è stato eventualmente graziato da Trump. Alla fine del suo mandato Trump ha anche concesso la grazia a Michael Flynn, Roger Stone, Steve Bannon, e Elliot Brody, stretti collaboratori, anche loro inguaiati di illeciti al servizio del loro capo.
L’altro gruppo di collaboratori di Trump incriminati emersero con i tentativi di sovvertire l’elezione del 2020. In questo caso esistono collaboratori e avvocati come Rudy Giuliani, John Eastman, Jeffrey Clark, Sidney Powell, Kenneth Chesebro coinvolti nella cospirazione di ribaltare l’elezione del 2020. Parecchi di loro continuano ad avere grane legali e hanno anche perso la loro licenza di avvocato. Giuliani è stato anche costretto a dichiarare bancarotta per proteggersi dai creditori in un caso legale in Georgia.
Il caso più significativo però per Trump consiste di Michael Cohen che nasce dalle indagini del Russiagate ma si rifà all’interferenza illegale nell’elezione del 2016. Cohen, avvocato tuttofare di Trump dal 2006 al 2018, decise di collaborare con la giustizia dopo essere caduto nella rete di Mueller. Per avere mentito agli investigatori del Russiagate fu condannato di otto capi di accusa, incluso violazioni finanziarie di campagne elettorali, illeciti fiscali e bancari. Cohen ha scontato la sua pena di tre anni e recentemente è stato uno dei principali testimoni che ha incastrato Trump nel processo di Manhattan.
L’ex presidente ha attaccato il sistema giudiziario cercando di affibbiare a Biden tutta la colpa per i suoi guai legali. La realtà è diversa. Trump ha causato le proprie grane legali dimostrate in buona parte dai suoi collaboratori per le loro attività illegali al suo servizio. Per i suoi comportamenti illegali Trump sarà sentenziato l’11 luglio dal Giudice Juan Merchan. Un compito poco facile considerando che Trump è il primo ex presidente nella storia americana a essere condannato e potrebbe anche essere il primo a finire in carcere.
Si avvererà? Merchan dovrà considerare parecchie cose nella sua poco facile decisione. Da una parte l’ex presidente non ha un record completamente pulito essendo stato condannato in due cause civili a New York avvenute prima di quella penale. Inoltre, Trump non ha dimostrato nessun rimorso per la sua condanna che continua a dichiarare una truffa, vedendo il guaio legale solo dal punto di vista politico. Da aggiungere anche i due casi di incriminazioni federali sul possesso illegale di documenti top secret e quello di sovvertire le elezioni del 2020. Quindi una fedina penale non tanto pulita. La scappatoia per lui sarebbe la vittoria all’elezione del 2024 che gli permetterebbe di silenziare i due casi federali nominando un ministro di Giustizia acquiescente. Potrebbe da presidente concedersi la grazia, mossa costituzionalmente dubbia perché mai usata in precedenza. Non potrebbe concedersi la grazia nel caso di Manhattan perché si tratta di un caso statale e la decisione spetterebbe alla governatrice di New York, la democratica Kathy Hochul. Nel caso di Hunter Biden, però, il padre ha già dichiarato che non concederebbe la grazia al figlio.
Biden e Trump hanno approcciato i casi giudiziari in modi completamente diversi. L’attuale presidente non ha commentato il processo di Trump né quello del figlio, permettendo alla magistratura di svolgere le sue funzioni. Trump invece ha attaccato ferocemente tutti coloro che sono stati coinvolti nelle sue grane legali. La colpa è sempre degli altri come gli aveva insegnato l’ultra battagliero, amorale, avvocato Roy Cohn, di non ammettere mai colpa.
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Domenico Maceri, PhD, è professore emerito all’Allan Hancock College, Santa Maria, California. Alcuni dei suoi articoli hanno vinto premi della National Association of Hispanic Publications.
Foto di Kalea Morgan