Troppe coincidenze nella fuga del presidente e troppe omissioni da parte degli “alleati”. L’ambiguo ruolo giocato da Obama, Europa e Nato. Piero Orteca, fingendo di districare un giallo, propone i suoi dubbi su un golpe mal suggerito, mal condotto e finito peggio. Un presidente che in molti nel mondo, anche oltre Atlantico, non avrebbero rimpianto se fosse stato cancellato da un golpe militare. Ora lui resta al potere, solo e più cattivo che mai. Brutti autoritarismi incrociati vincono in Medio Oriente, con qualche vantaggio israeliano che ispira qualche sospetto a anche in Orteca-Sherlock Holmes.
Di Piero Orteca
Quello che è successo venerdì notte in Turchia sembra un masterpiece di Sir Arthur Conan Doyle, il “papà” di Sherlock Holmes. Uno zibaldone dove le storie cambiano ogni minuto, come i protagonisti, e dove, dopo tanti colpi di scena, l’epilogo sembra mettere tutti d’accordo. Però… se lo vogliamo considerare un “giallo”, manca il protagonista più importante: l’assassino. Chi c’è dietro il tentativo di colpo di Stato che avrà di sicuro conseguenze pesantissime?
Sherlock Holmes risolveva tutto mettendo assieme i dettagli più insignificanti. Un foglio strappato, un po’ di cenere sotto il tappeto, la carta di una caramella in un angolo. Nel caso turco, le caramelle sono quanto i panettoni. Insomma, basta avere un po’ di pazienza e incollare le tessere del mosaico per fare ipotesi sorprendenti.
Anche se, per chi invece conosce quel “gambler” (giocatore d’azzardo) del Presidente Erdogan, un animale politico non proprio di primissimo pelo, c’è poco da stupirsi. Ha giocato magistralmente una mano di poker e ha vinto. Lasciando in mutande Barack Obama, gli odiati “alleati” del Pentagono, mezza Europa e tre quarti della Nato. Punto.
Ma come, direte voi, tutti questi facevano il tifo per il colpo di Stato? “Senz’altro!” è la risposta più timida. “L’hanno addirittura organizzato loro (indirettamente)” sarebbe la replica più sfacciata. Ma andiamo con ordine e diamo sostanza ai nostri sospetti.
Da anni Erdogan è diventato una spina nel fianco dell’Occidente. L’islamista “moderato” in doppio petto si è progressivamente tolto la maschera e, navigando di bolina, controvento, ha manovrato il caicco turco verso le infide acque dell’integralismo. Non è un vero estremista, è solo un cinico che ha capito come, travestendosi da musulmano “duro e puro”, si possa continuare a governare alla faccia dell’Europa, dell’America e di Kemal Ataturk, il Padre della Patria “laica”.
E infatti Erdogan le elezioni le ha vinte a ripetizione, anche se spesso di un soffio. Per dirla tutta, metà del Paese lo ama e l’altra metà vorrebbe vederlo con una pietra al collo, in fondo al Bosforo.
Forte del risicato mandato popolare, come un sultano della Sublime Porta, Erdogan ha fatto ripetutamente il passo più lungo della gamba. Offeso per le resistenze di Bruxelles è diventato sempre più tiepido verso l’adesione all’Unione e ha cominciato a guardare, strategicamente, all’Asia Centrale, a quell’area, cioè, di antica cultura turcomanna e di nuovi salvadanai petroliferi e metaniferi.
In effetti, se la lite è sempre per la coperta, l’erede di Solimano ha capito che con l’Europa si guadagnano gli spiccioli, mentre a Est si trovano i forzieri di Zio Paperone.
La Turchia ha così progressivamente cambiato strategia e ora si avvia a diventare il terminale energetico più importante del Mediterraneo. Contemporaneamente, sono cresciute le sue ambizioni come potenza che da “regionale” vuole diventare “continentale”. La politica estera è stata modellata su continui giri di valzer, mazurke e qualche polka, con una solo furioso charleston: quello contro i curdi.
E, se la vogliamo dire corta e netta, anche col balletto guardingo e ringhioso verso gli ayatollah iraniani. Tiriamo le somme. Curdi e iraniani sono i migliori alleati di Obama in tutta l’area.
Erdogan, che gioca a fare il “Patron” indiscusso del sunnitismo, vede gli sciiti (siriani alawiti, libanesi, irakeni, iraniani, yemeniti) come fumo agli occhi. In questa veste ha fatto finta di combattere l’Isis ma, in effetti, ha sotterrato di bombe solo i curdi. Col “Califfo” (quello vero) i turchi hanno fatto (e fanno) affari d’oro, contrabbandando di tutto, dal petrolio, ai carri armati, dai profughi fino alle scatolette di carne per il gatto.
Insomma, ci siamo capiti. L’Isis arricchisce il Paese di Erdogan e fa finta di mettere qualche bomba. Specie quando Ankara scantona e per non farla proprio sporca (è pur sempre nella Nato) mima qualche operazione antiterrorismo contro i jihadisti.
Questo ruolo ambiguo della Turchia ha stancato tutto l’Occidente. Così, quando Erdogan ha cominciato a vedere il mare agitato, ha pensato bene, con un tuffo carpiato e una piroetta, di cambiare politica estera. Si è buttato nelle braccia degli ex nemici israeliani e degli odiati russi. A Putin ha addirittura chiesto scusa per l’affaire del Sukhoi abbattuto e a Netanyahu ha proposto un “matrimonio” a tutto campo.
A cominciare dallo scambio di informazioni tra i rispettivi servizi segreti. Avere tirato il Mossad dal suo lato può essere la chiave per capire come mai il Presidente abbia salvato le terga. Avere poi stretto la “comparanza” con Putin può spiegare perché Obama e la Nato siano andati in bestia.
Cruciale l’intesa raggiunta col Mossad
Passando poi da Conan Doyle ad Agatha Christie, siccome tre indizi fanno una prova (ma qua ce ne sono di più), qualcuno ci sa spiegare, di grazia:
1) Come mai, l’unico presunto colpevole del “golpe” apertamente accusato da Erdogan sia il potente islamista, moderato-liberale, Fethullah Gulen, che si è rifugiato in Pennsylvania e viene protetto dagli americani?
Perché il Segretario di Stato John Kerry ha farfugliato qualche frase di circostanza, dicendo “di non avere informazioni e di aspettare sviluppi”, manco se stesse parlando delle Isole Tonga?
Perché Obama è scomparso dalla circolazione per tre ore, prima di essere stanato dai media?
E la Merkel, che non fa atterrare l’aereo di Erdogan in fuga verso l’ignoto?
E gli altri compagnucci della parrocchietta, che attivano le “unità di crisi” degli impiegati statali, foglia di fico del “non contare niente” e soprattutto dell’essere girati dall’altro lato?
Questa storia puzza come un caprone. Tutti aspettavano che l’odiato sultano di Istanbul se la svignasse o, addirittura, tirasse le cuoia. Così non è stato. E ora arriverà una restaurazione che potrebbe portare la Turchia sull’orlo della guerra civile.
Sì, perché la folla di Piazza Taksim di oggi non è quella del 2013, quando una marea di gente protestava contro Erdogan, un “califfo” in doppio petto che chiude i giornali di opposizione e spedisce in carcere chi gli dà fastidio.
A cominciare dai giudici, dai professori d’università, dagli studenti e dagli intellettuali in genere. Strano Paese la Turchia. Dove un golpe viene organizzato per difendere la laicità dello Stato e dove il Presidente “democratico” già proclama in diretta vendette e stila liste di proscrizione.
Gli israeliani che, al solito, la sanno lunghissima, hanno scritto che il colpo è fallito perché i rivoltosi non sono riusciti ad acchiappare, per pochi minuti, Erdogan. Chi lo ha avvisato? Beh, forse loro ne sanno di più.
17 luglio 2016