Due morti in due giorni. Si allunga la lista delle vittime per mano della polizia. A pagare il prezzo più alto sono le minoranze del Paese.
di Serena Tarabini
Istanbul, 24 maggio 2014, Nena News – Due morti in due giorni: con questa assurda impennata, si allunga la lista delle vittime dell’utilizzo spropositato della forza da parte della polizia in Turchia. Pestaggi, blindati lanciati a tutta velocità in mezzo alla folla, lacrimogeni sparati ad altezza d’uomo, pallottole di gomma, pallottole vere, sono ordinaria amministrazione e quando ci scappa il morto o il ferito grave, i responsabili il più delle volte non vengono individuati e peggio, arriva puntuale il primo ministro ad ammazzare le persone la seconda volta difendendo incondizionatamente in ogni occasione l’operato della polizia.
In Turchia è sempre esistito un problema di modalità gestione dell’ordine pubblico, un problema grave, che da Gezi Park in poi si è reso semplicemente più visibile, perché si sono intensificate le occasioni di protesta e perché lo sguardo del mondo è arrivato finalmente a posarsi anche sulla Turchia.
Per esempio, se una maggiore comprensione ed apertura da parte dei cittadini turchi verso la questione kurda è stato uno dei frutti delle rivolte del giugno scorso, è perché in tanti e diversi hanno assaporato il trattamento militare che da sempre è stato riservato alla minoranze in questo paese. Come gli Aleviti.
Gli Aleviti turchi praticano la religione islamica con modalità più aperte ed eterodosse: non hanno moschee, le donne assistono alle cerimonie religiose assieme agli uomini, i fedeli non seguono l’obbligo delle 5 preghiere; potrebbero essere considerati rappresentati di un Islam “ progressista” e di ispirazione socialista; ovviamente non sono visti di buon occhio, o quantomeno con diffidenza, dalle correnti più conservatrici.
Non è un caso che la tragedia di ieri si sia consumata a Okmeydani, quartiere di Istanbul a forte composizione alevita: un quartiere ad alto grado di infiammabilità, un quartiere dove non si va tanto per il sottile quando si tratta di intervenire per ripristinare l’ordine pubblico: è il quartiere di Berkina Elvan, il quattordicenne ucciso da un lacrimogeno mentre andava a comprare il pane. Ieri il suo ricordo si è unito a quello delle 301 vittime della strage di Soma, evento per il quale nelle strade di Okmeydani non si sono praticamente mai fermate le proteste e gli scontri con la Polizia accorsa a reprimerle. In una di queste operazioni è partita la pallottola, vera, che ha colpito e ucciso Ugur Kurt, che si trovava nel cortile della Cem Evi, la casa di culto degli aleviti, per assistere a un funerale . Pallottole vere utilizzate in un quartiere pieno di gente per soffocare un corteo di qualche decina di studenti. Di questa follia istituzionalizzata è vittima Ugur Kurt, non della fatalità.
La notizia del ferimento e successivamente della morte fa riesplodere il quartiere, la polizia interviene di nuovo, e c’è un’altra vittima. Con Erdogan che continua a buttare benzina sul fuoco e con l’anniversario di Gezi Park alle porte, non c’è da aspettarsi che la tensione scenda, e nonostante le parole di condanna del numero due dell’AKP [ il partito di Governo, ndr] e l’avvio delle indagini sulle pistole utilizzate ieri, una discussione vera sull’uso eccessivo della forza in questo paese sembra ancora lontana.
Inoltre, Ugur Kurt era alevita, Berkin Elvan era alevita, la maggior parte delle vittime della repressione della polizia durante il periodo delle rivolte di Gezi Park erano alevite. Anche su questo bisognerebbe riflettere, in un paese che non ha ancora fatto i conti con le degenerazioni del nazionalismo e dove anche il suo superamento è oggetto di strumentalizzazione politica. Nena News