di Gianni Barbacetto e Giorgio Meletti /
Nell’ipotesi investigativa della procura di Brescia, Ubi Banca sembra il paradiso del riciclaggio. Una decina di dirigenti sono indagati per aver omesso le comunicazioni obbligatorie alla Banca d’Italia di un certo numero di operazioni sospette. Addirittura disattivato i software anti-riciclaggio per coprire le operazioni di 40 clienti eccellenti. Con il nuovo filone bresciano lo scandalo Ubi fa un salto di qualità. L’inchiesta condotta dalla procura di Bergamo ha riguardato la manipolazione dell’assemblea degli azionisti del 2013 e vede indagati i massimi vertici della banca: l’amministratore delegato Victor Massiah, il presidente del consiglio di sorveglianza Andrea Moltrasio, il vicepresidente vicario Mario Cera, l’ex presidente del consiglio di gestione Franco Polotti, il consigliere Francesca Bazoli e suo padre Giovanni Bazoli, presidente onorario di Intesa Sanpaolo. Un reato da colletti bianchissimi, mentre l’inchiesta bresciana punta direttamente al malaffare.
Il decreto di perquisizione, con cui il procuratore aggiunto di Brescia Sandro Raimondi ha ordinato il 30 maggio scorso l’acquisizione di documenti, è molto chiaro. Gli indagati principali sono due alti dirigenti del gruppo Ubi, Carlo Peroni, responsabile antiriciclaggio, e il suo capo Mauro Senati, responsabile del controllo rischi. Secondo il pm, dall’agosto 2012 al 31 dicembre 2016 “presso la struttura a cui sono demandati i compiti in materia di antiriciclaggio di Ubi banca si sono verificati sistematici episodi di omissione di segnalazioni per operazioni sospette”. Non per tutti ma per una selezionata platea di “soggetti legati a figure apicali in seno al gruppo bancario ovvero facenti parte della governance della banca”. “In taluni casi – aggiunge Raimondi – è stato imposto a funzionari dell’area anti money laundering, da personale gerarchimente superiore, di non procedere negli opportuni approfondimenti di fatti che avrebbero dovuto essere oggetto di segnalazioni”.
I vertici della banca e i loro amici sarebbero stati protetti anche manomettendo i software di controllo: “In un caso, risulta essere stata compiuta un’operazione di manipolazione del sistema informatico di supporto per le segnalazioni di operazione sospette denominato Gianos (Generatore indici di anomalia per operazioni sospette)”. Questo a seguito “di indebite pressioni esercitate da figure apicali su un valutatore di primo livello”. Il risultato? “Le condotte sopra descritte potrebbero avere, anche indirettamente, consentito ovvero agevolato operazioni economico-finanziarie illecite, o riciclaggio di capitali di provenienza delittuosa”. Le falle erano state avvistate anche dai funzionari dell’Uif (l’Unità di informazione finanziaria) che nel corso di un’ispezione presso Ubi tra il 2015 e il 2016 avevano “individuato rilevanti carenze di impianto e funzionamento dell’area antiriciclaggio”.
Le ipotesi di Raimondi si sostanziano nella lista dei 40 clienti eccellenti (non indagati) per i quali è stata acquisita la documentazione, sospettando che siano i beneficiari delle omesse segnalazioni, magari a loro insaputa. Spicca il nome dell’azienda Ori Martin e del suo titolare Polotti, ex presidente di Ubi. Ma spicca anche il nome della Saras, colosso petrolifero controllato dai fratelli Gian Marco e Massimo Moratti. La moglie di Gian Marco, Letizia Moratti Brichetto, un anno fa ha sostituito Polotti alla presidenza del consiglio di gestione. Nella lista anche i nomi di Gianfranco e Michele Faissola, fratello e nipote di Corrado Faissola, presidente di Ubi e dell’Abi scomparso nel 2012; Gianluigi Gola, consigliere di Ubi fino al dicembre scorso; Luca Volontè, ex deputato dell’Udc di Pierferdinando Casini; gli imprenditori Viviana Pecci-Blunt, Pierluigi Berlucchi e Mariliano Mazzoleni; l’ex magistrato Ferdinando Esposito insieme al padre Antonio Esposito, oggi in pensione, presidente della sezione della Cassazione che nel 2013 ha condannato definitivamente Silvio Berlusconi per frode fiscale. Esposito, collaboratore del Fatto, spiega che l’unica operazione non segnalata che lo può riguardare è una donazione di circa 200 mila euro al figlio per l’acquisto mai concluso di una casa.
Ma il nome sintomatico è Pietro Gussalli Beretta, presidente dell’azienda bresciana produttrice di armi. Nel 2016 l’inchiesta internazionale sui Panama Papers, realizzata per l’Italia dall’Espresso, rivelò che nel gigantesco riciclaggio internazionale che faceva capo allo studio panamense Mossack-Fonseca c’erano anche “40 sigle offshore registrate a Panama e alle Seychelles, che appaiono legate a Ubi”. La banca ha sempre negato tutto, ma pochi giorni dopo le rivelazioni dell’Espresso la Ubi Banca International, filiale lussemburghese sotto accusa, è stata venduta. Beretta, che ne era il presidente, è stato dirottato alla vicepresidenza di Ubi, mentre la procura di Bergamo apriva il nuovo fascicolo, poi dirottato a Brescia dove ha sede l’anti-riciclaggio di Ubi.
C’è un’altra curiosa coincidenza in questa vicenda. Nel 2014, due anni prima delle rivelazioni dei Panama Papers, il dirigente Ubi Roberto Peroni (omonimo del Peroni indagato), andò dai carabinieri proprio per denunciare le attività di riciclaggio protette dalla banca. Peroni detta a verbale: “La Ubi Banca International in Lussemburgo è in pratica la banca utilizzata dagli amici degli amici per fare le peggio schifezze”. E ancora: “Mesi fa ho avuto evidenza che il fratello di Corrado Faissola avesse fatto arrivare dalla Svizzera 350 mila euro in tranche da 50 mila. Ho detto: questa è importazione di capitali, dobbiamo segnalarla all’Uif. No, non puoi segnalarla”, gli avrebbero risposto i capi.
Lo scorso gennaio il verbale è reso noto su La Verità da un articolo di Maurizio Tortorella, e diventa oggetto di scontro all’assemblea degli azionisti Ubi il 7 aprile scorso. Il presidente Moltrasio dice di aver attivato i controlli per “riscontrare quanto riportato”, e aggiunge: “Quando ci sono queste sistematiche denigrazioni, dossier, immediatamente il mio compito è di far partire l’audit e andare a verificare. Il dipendente soggetto di queste dichiarazioni ha ricevuto una sospensione cautelare dal servizio, perché dalle verifiche svolte non sono emerse evidenze che supportino circostanze che lo stesso dirigente ha asserito e riportato in quell’articolo di stampa”. Gli osti di Ubi, quasi tutti indagati, hanno deciso che il loro vino è buono. E il 22 maggio hanno licenziato Peroni il whistleblower. Peroni l’indagato è ancora al suo posto.
Nella foto: Victor Massiah, Letizia Moratti e Andrea Moltrasio