Ennio Remondino
POCHI MA INFLUENTI: ULTRANAZIONALISTI UCRAINI TRA MAJDAN E RESISTENZA.
I rapporti fra i gruppi dell’estrema destra ucraina, gli oligarchi e le istituzioni. Le origini storiche e la galassia attuale. Il loro ruolo negli scontri del 2014 a Kiev.
Nel paese in guerra è in vigore la legge marziale, ma dietro le misure di emergenza si celano lotte per la futura spartizione del potere. Gli oligarchi in difficoltà. Le leggi sulla lingua e il nazionalismo bellico. L’approfondimento di Fulvio Scaglione su Limes in una sintesi speriamo non traditrice.
La corte suprema, carriere politiche e mazzette
L’organismo incaricato di controllare lo svolgimento delle attività giudiziarie, negli anni ha preso decisioni clamorose, che hanno influito sulla vita sociale e politica del paese.
- Nel 2005 fu questa Corte ad annullare il risultato delle elezioni presidenziali, favorevole al filorusso Viktor Janukovych, spalancando le porte a Viktor Jušenko, l’alfiere della «rivoluzione arancione».
- Nel 2022 è stata la Corte suprema a sentenziare che i simboli e le bandiere usati durante la seconda guerra mondiale dalla Divisione SS Galizia non possono essere banditi dalle manifestazioni pubbliche in Ucraina.
- Poi Vsevolod Knjazjev, presidente della Corte suprema in piena èra ‘zelenskiana’, è stato fotografato mentre ordinava mazzette di quasi tra milioni di dollari, frutto di bustarelle e tangenti.
- A mettere le manette a Knjazjev è stato Oleksandr Klymenko, un poliziotto passato anche per l’Ufficio nazionale anticorruzione, che dal 28 luglio 2022 guida la procura speciale anticorruzione. Troppo rigoroso e poco malleabile.
- Per due volte la commissione rifiutò di nominarlo per l’intervento di Iryna Venedyktova, la consulente legale della campagna elettorale di Zelens’kyj. in parlamento con ‘Servo del popolo’.
- Iper carriera sino a Procuratore generale. Finita il 17 luglio 2022, per decreto presidenziale dopo l’apertura di 650 procedimenti per tradimento a carico di dipendenti della procura e dei servizi segreti.
Le sette raccomandazioni Ue
Sul percorso ucraino verso l’Ue, applausi politici e preoccupazioni. All’Ucraina, la Commissione rivolgeva sette raccomandazioni dopo tanti, troppi sconti. Esempio, le diciassette volte, in cui il parlamento europeo respinse la richiesta di una deputata lettone di indagare sul massacro di Kiev, proteggendo la versione «ufficiale» che riversava tutta la responsabilità sulla polizia di Janukovych. Benevolenza alla nuova Ucraina che rifiutava l’associazione a Mosca e chiedeva quella a Bruxelles.
Poi la legge marziale. «Qualcuno sa qualcosa delle centinaia, forse migliaia, di indagini che sono state aperte, con innumerevoli arresti, per corruzione o tradimento? Processi? Condanne?», la domanda di Limes.
A Bruxelles, però, capiscono bene che la giustizia è il crocevia di tutti problemi che Zelens’kyj e i suoi hanno ereditato dal passato ma anche delle storture che invece hanno contribuito a creare.
Oligarchi, denaro e potere verso l’Ue
Il giudice Knjazjev finito nei guai per aver accettato il denaro dell’oligarca Kostjantyn Ževago, il primo magnate dell’Est europeo a portare, già nel 2007, una propria compagnia (Ferrexpo) alla Borsa di Londra. Il più giovane miliardario ucraino, un seggio alla Verkhovna Rada, il Parlamento, titolare di una delle prime dieci banche ucraine e ‘patron’ di una squadra di calcio, il Vorskla Poltava, che milita in serie A. Paralleli italiani vietati per lutto. E come succede a quasi ogni oligarca che si rispetti, è stato pure arrestato: il 28 dicembre 2022, dalla polizia francese mentre sciava sulle nobili piste di Courchevel. L’accusa, di aver intascato 113 milioni di dollari di risparmiatori e investitori.
Da Porošenko a Zelens’kyj
Poco prima che l’ex presidente Porošenko uscisse di scena, esplosero due scandali sulla forniture per l’esercito. Pezzi di ricambio, contrabbandati dalla Russia e venduti con pesante ricarico al ministero della Difesa. E una partita di 100 ambulanze per il Donbas. Catorci inservibili, venduti senza gara d’appalto dalla società di un vecchio amico del presidente Porošenko.
Quando fu eletto alla presidenza, nel 2019, lo stesso Zelens’kyj, sulla base della fortunata esperienza di attore e produttore di tv e cinema, era considerato una invenzione dell’oligarca Ihor Kolomojs’kyj, proprietario di diverse emittenti televisive e suo socio nel business.
E le promesse di una profonda de-oligarchizzazione del paese? «L’attore diventato presidente, si è a lungo barcamenato e si è deciso ad agire sul serio verso la fine del 2021, in coincidenza con due preoccupanti fenomeni: l’inasprirsi della situazione nel Donbas e il brusco calo del suo indice di gradimento, sceso ai minimi».
Leggi anti oligarchi
Settembre 2022, approvate le cosiddette «leggi anti-oligarchi», per escludere dalle privatizzazioni, dagli appalti pubblici e dal finanziamento ai partiti tutti coloro che disponevano di una fortuna di 85 milioni di dollari e oltre e di attività importanti nel settore dei media. Roba da invidia italiana. Le due leggi non erano impermeabili ma costituivano un precedente clamoroso per l’Ucraina post-sovietica. Un attentato a ungrande amico di Zelens’kyj, e la denuncia di una trama tra Mosca e oligarchi, la risposta.
Invasione russa e pieni poteri
Leggi d’emergenza diventate legge marziale, rendono più facile colpire gli interessi illegittimi e forse anche quelli legittimi ma non graditi. E molti oligarchi si sono rifugiati all’estero, dove sono stati spesso raggiunti dalle polizie di diversi paesi.
- Di Ževago abbiamo detto;
- Kolomojs’kyj gioca con i passaporti israeliano e cipriota per stare alla larga dalla giustizia Usa, e mastica amaro perché l’ex pupillo Zelens’kyj ha nazionalizzato le sue imprese più redditizie, quelle legate a gas e petrolio, in nome dello sforzo bellico;
- Dmytro Firtaš, accusato di aver aiutato il complesso militar-industriale russo, è finito in manette in Austria su richiesta dell’Fbi che lo persegue per associazione a delinquere, frode e riciclaggio, e combatte una dura battaglia legale per non essere estradato negli Usa;
- Porošenko, l’unico degli oligarchi a essere in aperta competizione politica con Zelens’kyj, è stato sistemato con una bella accusa di tradimento, generata da presunti traffici di carbone con i separatisti del Donbas.
Oligarchi patrioti
Gli altri, vista l’aggressione putiniana, costretti ad allinearsi a Zelens’kyj in nome dell’interesse patrio. Akhmetov, proprietario tra l’altro delle maggiori acciaierie dell’Ucraina dell’Est (la ‘Azovstal’ di Mariupol, dove si combatté a lungo, o la Zaporižstal’ di Zaporižžja) ora occupate dai russi, rimane l’uomo più ricco del paese ma la cui fortuna, secondo Forbes, è rapidamente calata da 15,4 miliardi di dollari a 5,7.
Servo del popolo, ma non troppo
‘Servo del popolo’, il serial televisivo con cui Zelens’kyj divenne il volto più noto dell’Ucraina, mostrava in una delle prime sequenze un gruppetto di oligarchi che brindava all’ennesimo malaffare. Fiction che meglio rappresentava la realtà di un paese da governare nel pieno di una guerra. Con le organizzazioni internazionali che non mancano di ricordare la triste realtà del passato vicino.
La Banca mondiale spiega che, misurato in dollari Usa costanti del 2017, il pil ucraino è passato da quasi il 50% in più rispetto alla Polonia al momento del crollo dell’Unione Sovietica a quasi tre volte in meno nel 2020, anche a causa del potere politico ed economico di blocco esercitato dagli oligarchi.
Il Registro degli Oligarchi
Il 30 giugno del 2022, guerra con la Russia era in corso da mesi, decreto per un «registro degli oligarchi», elenco dei super ricchi da tenere d’occhio con almeno 86 nomi. E poche settimane fa, altro decreto presidenziale che ha caricato di sanzioni 13 persone fisiche e 28 persone giuridiche accusate di aver cercato di aiutare i russi a controllare e gestire aziende a danno dell’economia ucraina.
Anche in questo caso, come per le migliaia di indagini e destituzioni provocate da imputazioni per «tradimento» o «corruzione», i processi e le eventuali condanne sono di là da venire. La legge marziale consente di agire prima e dimostrare poi, con molta calma.
Nazionalizzazioni di guerra
Quando Ukrnafta, compagnia petrolifera ucraina, e Ukrtatnafta, la più grande raffineria, controllate dal solito Kolomojs’kyj, vengono nazionalizzate, si arriva alla militarizzazione dell’economia. Secondo dati della Banca centrale ucraina, la quota della pubblica amministrazione è già passata dal 4,4% del 2013 al 6,5% del 2021. Mancano i dati aggiornati al 2022 ma è certo che l’incremento generato dallo stato di guerra è stato drammatico.
Quale Ucraina verso l’Ue?
Ovviamente non si può chiedere troppo alla classe dirigente di un paese che lotta per l’integrità del suo territorio e per l’indipendenza, se non proprio per la sopravvivenza, e a un popolo che, come non si stancano di ripetere i leader europei, «combatte per noi». Eppure certe domande non possono essere eluse.
Quale Ucraina uscirà dalla guerra? E anche: Zelens’kyj rinuncerà a tutto questo potere? Zelens’kyj, oltre a essere il condottiero dell’emergenza e della guerra, sarà anche il presidente della pace e della democrazia?
Informazione di Stato
Con l’inizio dell’invasione Zelens’kyj ha ridotto gran parte dell’informazione a un solo canale televisivo gestito dallo Stato. Sul poco rimasto via Internet ha alzato, nel dicembre 2022, la spada di Damocle di una legge (bloccata da due anni dalle proteste esterne ed interne e giudicata «liberticida dalla Federazione europea dei giornalisti», che attribuisce al Consiglio nazionale per la tv e la radio, potere totale di intervento sui media.
Censura grave dove, per decreto presidenziale, è lecito solo parlare di «aggressione russa» mentre a dire o scrivere di «confitto civile interno» si rischiano tre anni di galera, come se gli ucraini ribelli di Donec’k e Luhans’k non fossero mai stati ucraini, anzi fossero arrivati da Marte.
Democrazia politica
Il presidente ha messo al bando (maggio 2022) undici partiti politici, dal florusso ‘Piattaforma per la vita’ (che era il secondo partito in parlamento, con 43 seggi, ottenuti in un voto cui non avevano partecipato gli elettori del Donbas) ai partitini nemmeno presenti nella Verkhovna Rada, tutti accusati d’intesa col nemico.
Libri quasi al rogo. Vietate la stampa e la diffusione di libri di autori che abbiano mantenuto la cittadinanza russa e la riproduzione di musiche di autori russi post-sovietici. Lo stesso ministro ha poi avviato la campagna per espellere dal monastero delle Grotte di Kiev i religiosi della Chiesa ortodossa ucraina-patriarcato di Mosca.
Mentre in parlamento si discute una legge per bandire l’intera Chiesa, a tutt’oggi riferimento spirituale di milioni di ucraini non certo amici di Putin, a favore della Chiesa ortodossa dell’Ucraina, autocefala, nazionalista e governativa, nata nel 2018 soprattutto per iniziativa dell’allora presidente Porošenko.
La questione della lingua
Poi c’è la questione della lingua, quella che da decenni, dalla Moldova alla Georgia, ai paesi baltici fino alla stessa Ucraina è servita da cavallo di Troia sia per fomentare il separatismo florusso sia per alimentare il nazionalismo nei paesi diventati indipendenti con la fine dell’Unione Sovietica. È stato così anche all’inizio della crisi del Donbas.
La costituzione ucraina approvata nel 1996 stabilisce che «l’ucraino è la lingua di Stato in Ucraina» mentre «sarà garantito il libero sviluppo, l’uso e la protezione del russo e delle altre lingue delle minoranze nazionali». La legge 1989 garantiva protezione a tutte le lingue delle minoranze nazionali del paese, il cui numero arrivava a 130. Dichiarava inoltre «inalienabile il diritto a scegliere la lingua in cui studiare».
La stessa legge stabiliva che l’ucraino fosse l’unica lingua ufficiale della repubblica ma che il russo godesse di uno status speciale in quanto «lingua usata per la comunicazione tra i popoli sovietici», tanto che i documenti d’identità dovevano essere in ucraino e in russo.
La Legge Porošenko
Nel 2019 la legge iper nazionalista del presidente Porošenko, che riuscì a farla passare pochi giorni prima di essere clamorosamente sconfitto da Zelens’kyj . Autore Andrij Parubij, una lunga militanza nel Partito social-nazionale d’Ucraina, il movimento dell’ultradestra flonazista da cui sarebbe germogliato Svoboda. Parubij giudicò l’approvazione della legge «una questione di sicurezza nazionale».
La nuova legge. I cittadini ucraini hanno l’obbligo di conoscere l’ucraino. L’ucraino è l’unica lingua per tutti i tipi di scuola a partire dalla quinta classe. Le lingue minoritarie sono ammesse negli asili e nelle scuole elementari come materie di studio. Nelle università è ammesso l’insegnamento di alcune materie nelle lingue ufficiali dell’Unione Europea ma non in russo.
Il 90% dei film proiettati nei cinema deve essere in ucraino, il restante 10% deve avere sottotitoli in ucraino o in una delle lingue ufficiali della Ue. Manifesti e dépliant devono sempre riportare la versione in ucraino del testo.
Zelens’kyj aveva girato in russo il suo serial ‘Servo del popolo’
Alla vigilia del voto con cui avrebbe conquistato la presidenza: «Lo Stato deve favorire lo sviluppo della lingua ucraina attraverso impulsi ed esempi positivi, non con proibizioni e sanzioni». Lo Zelens’kyj successivo che ha dovuto fronteggiare l’invasione russa, non solo si è tenuto cara la legge Porošenko ma le ha messo al fianco altre leggi che ne incrementano l’effetto.
La minoranza russa da censimento
In Ucraina, prima della riannessione della Crimea, della secessione del Donbas nel 2014 e della guerra del 2022 con l’annessione da parte della Russia di territori nelle regioni di Kherson e Zaporižžja, la minoranza nazionale russa della popolazione, secondo i dati dell’ultimo censimento, risultava il 17,28% della popolazione totale. Una quota a cui andavano aggiunti 5,54 milioni di ucraini che usavano il russo come madrelingua.
Statualità ed elezioni
Le elezioni parlamentari del 2019 si sarebbero dovute svolgere in ottobre, se la legislatura fosse arrivata a scadenza naturale. Ma Zelens’kyj, appena eletto presidente, volle anticiparle e si svolsero in luglio. Dato lo stato di guerra pare ormai impossibile che il parlamento possa essere rinnovato, come da scadenza, nel prossimo luglio o nel prossimo ottobre.
Zelens’kyj, a fine mandato?
Risulta persino difficile credere che nella prossima primavera, allo scadere dei cinque anni del mandato di Zelens’kyj, si vada a una regolare elezione presidenziale. Dunque? E se Zelens’kyj volesse tenersi l’enorme potere che, tra tante tremende responsabilità, l’invasione russa di fatto gli ha consegnato?
24 Giugno 2023