Alfiero Grandi
La Presidente della Commissione Europea ha presentato al parlamento europeo il programma di interventi (nome originario recovery fund) per sostenere il rilancio dei sistemi economici messi in ginocchio dalla pandemia. Questi interventi che si aggiungono a quelli già decisi, sono una novità politica ed economica di rilievo e rilanciano l’Unione europea dando aiuti consistenti agli stati più colpiti.
Questo sostegno ai paesi più colpiti per la quantità di risorse (750 miliardi) e per il forte rilievo comunitario (prestiti e sostegni diretti) potrebbe essere decisivo per uscire dalla crisi e per rilanciare la prospettiva dell’Unione europea.
Per parlare di novità strategiche è presto ma le potenzialità ci sono. Queste proposte dovranno trovare un’intesa europea e c’è il rischio di tempi lunghi per decidere, viste le resistenze conservatrici di alcuni paesi, che in realtà nascondono interessi precisi, in parte inconfessabili all’opinione pubblica europea.
Per l’Italia è una speranza e insieme un obbligo a definire con chiarezza gli obiettivi su cui concentrare gli interventi perché l’assalto degli interessi alle risorse ci sarà.
Questa novità politica è stata preceduta dall’intervista della Presidente della BCE Cristine Lagarde, che ha chiarito che la BCE continuerà le sue azioni di sostegno all’economia dell’Europa, in evidente polemica con la Corte Tedesca, che aveva intimato alla BCE di dimostrare che gli interventi non favorivano alcuni stati in difficoltà rispetto ad altri.
Alcune affermazioni della Lagarde dovrebbero fare arrossire le sinistre europee, quando ha detto: “credo che i termini del patto di stabilità e di crescita debbano essere rivisti e semplificati prima che si pensi di reintrodurlo, quando saremo usciti da questa crisi.” Questo è il cuore del problema.
E’ necessario avviare la revisione dei trattati per evitare di ritrovarsi sotto accusa tra qualche tempo con il ritorno in vigore delle regole su debito pubblico e deficit, per ora solo sospese dalla Commissione.
La stessa Presidente fece affondare le borse europee con perdite oltre 800 miliardi di euro, facendo schizzare verso l’alto lo spread dei paesi in difficoltà come l’Italia, con dichiarazioni inappropriate, ma ora ha recuperato confermando interventi di sostegno rilevanti e soprattutto ponendo il problema della revisione dei trattati.
Rivedere i trattati europei è un punto essenziale. I trattati da Maastricht hanno subito una sorta di superfetazione a strati, con denominazioni spesso incomprensibili ai più ma non per questo meno pericolose.
I trattati sono i fondamenti della politica dell’austerità in Europa, di cui la Germania è stata il paladino, fissando un prima: regole sempre più stringenti per costringere gli stati ad uniformarsi, e un dopo: i passi avanti verso una vera Unione Europea. E’ la politica dei due tempi di marca conservatrice.
L’austerità è scritta nei trattati e Lagarde chiarisce che esiste il pericolo che in futuro torni l’austerità con tutte le conseguenze prevedibili.
Infatti la grande preoccupazione, quando si discute del Mes e dei vari contributi europei, da ultimo quello che era denominato recovery fund, riguarda proprio cosa accadrà quando la fase dell’emergenza si concluderà e il nostro paese avrà un debito pubblico superiore al 150 % del PIL.
La possibilità che ritornino in vigore le regole di bilancio europee, la cui sospensione sta consentendo all’Italia di adottare provvedimenti che portano il deficit pubblico a livelli prima impensabili, è una preoccupazione fondata. Potrebbero tornare in auge gli obblighi di rientro del deficit entro il 3% e del debito entro il 60%.
Non è necessario l’utilizzo del Mes perché si materializzino questi fantasmi. Se la sospensione delle regole europee dovesse finire senza novità ci troveremmo in grande difficoltà, anche senza avere utilizzato il Mes.
La Presidente della BCE suggerisce di non aspettare, per porre da subito nella discussione europea le modifiche dei trattati, per evitare un contraccolpo che potrebbe essere pesante per l’Italia e per tutti gli altri paesi colpiti dalla crisi.
Un conto infatti è sospendere l’applicazione delle regole, altro è modificarle in tempo utile, prima che tornino in vigore.
Questa proposta dovrebbe essere colta al balzo dalle sinistre europee e dal complesso delle forze democratiche all’insegna di una nuova Europa.
La modifica dei trattati non è un optional, è indispensabile. Quindi occorre costruire presto una piattaforma in grado di superare il groviglio di norme ispirate all’austerità, che fa a pugni con le esperienze che abbiamo vissuto nell’arco di poco più di un decennio, prima quella finanziaria e ora le conseguenze della pandemia.
Questo è un impegno centrale per i prossimi mesi e riguarda tutte le forze democratiche europee, politiche e sociali, cercando convergenze con i conservatori europei più disponibili a mettere in discussione le regole attuali.
In altre parole non basta avere buone idee, ma occorre costruire uno schieramento convergente su obiettivi comuni per il futuro dell’Europa.
Si tratta di un compito epocale, che deve anzitutto riprendere dall’oblio il titolo originale del patto di stabilità e crescita, come era titolato in origine l’accordo di Maastricht. La stabilità è stata interpretata come austerità assoluta e la crescita è sparita dalla scena. Ai parametri noti: il 60 % del debito sul Pil e il 3% di deficit si sono aggiunte altre regole (six pack, two pack) per costringere al rientro nei ranghi i reprobi, fino a pretendere la modifica delle Costituzioni nazionali, che ha portato in Italia all’introduzione del pareggio di bilancio nel 2012 (nuovo art 81).
Questo insieme di regole non deve lasciare tranquilli, occorre avanzare proposte di modifica delle regole in modo da realizzare un altro equilibrio europeo.
La vita reale delle economie nel mondo si è rivelata più complicata di quanto era scritto nei trattati europei e infatti è iniziata una lunga serie di deroghe perché le norme erano spesso inapplicabili. La Grecia ha pagato un prezzo sociale pesante, che solo troppo tardi è stato riconosciuto eccessivo, ma il ritorno dei vincoli è sempre possibile.
In passato ci sono state iniziative per rivedere i trattati europei, senza esito. Ora anche la Presidente della Bce riconosce che i trattati vanno ripensati e forse in Europa ora ci sono condizioni diverse. Occorre cogliere al volo l’occasione. Ci sono resistenze formidabili. Ad esempio pericoli sovranisti, se avessero forza sufficiente, porterebbero indietro la costruzione europea perché l’unico punto di accordo tra loro è il ritiro nei rispettivi confini, senza trascurare che le classi dominanti finanziarie ed economiche hanno sostenuto le politiche di austerità.
In gioco è un mutamento di asse culturale, politico ed economico e non sarà un’impresa facile. Deve cambiare una fase dell’Europa.
Paesi come l’Italia hanno bisogno subito del massimo aiuto possibile per uscire da una crisi epocale ma insieme hanno necessità della riprogettazione dei trattati europei, prima che la pausa finisca.
Riscrivere i trattati è decisivo e occorre inquadrarlo in un passo avanti verso un vero bilancio europeo, che consenta di intervenire con un’ottica europea per colmare i divari tra aree forti e aree deboli, per costruire uno stato sociale europeo, per chiudere la fase dei paradisi fiscali interni, vedi Olanda e Lussemburgo, e avviare una politica fiscale europea, quindi non più solo Iva. Gli interventi proposti dalla Commissione vanno in questa direzione
La concorrenza fiscale interna all’Europa ha fatto danni all’economia di molti paesi ed è giunto il momento di approvare una tassazione europea sui monopoli che si stanno rafforzando, come Amazon che ha sfruttato la pandemia per puntare al monopolio nella vendita on line.
Anche l’Italia deve fare la sua parte, non può restare solo in attesa delle decisioni europee, ma deve prepararsi a finalizzare gli interventi. Prodi ha ragione prima c’era la protesta per i ritardi europei ora c’è troppo attendismo. Prodi ha proposto di mettere al centro con forza la lotta all’evasione. Ci sono anche altri punti da affrontare come la sanità, la scuola, la ricerca, l’innovazione, l’ambiente, il territorio che possono avere una sinergia importante con gli aiuti europei di cui abbiamo bisogno. Occorre un progetto di lungo periodo.
La prospettiva non è meno ma più Europa, certo molto diversa da quella fondata sull’austerità e se di questo cominciano ad accorgersi anche autorevoli esponenti delle strutture europee è un bene per tutti. Se non ora quando?