di lo staff di iskrae.eu
La “banda del buco nero” colpisce ancora: di nuovo dopo 40 anni torna sul Caso Moro per ribadire che in via Fani ci fu solo un tamponamento.
Persichetti – Satta – Bianconi – Colombo e Pippo Marra, con l’impresentabile Mieli, con una grande fakenews denunciano le fakenews!
L’imperativo categorico è: BASTA COMPLOTTI!
Finalmente ristabilita la verità: Giulio Cesare si è suicidato.
UNO: L’AGENZIA
L’agenzia di stampa ADNkronos pubblica il 17/08/2020 alle ore 16:35 l’ennesimo depistaggio, che si intitola (lo riproduciamo papale papale in carattere Georgia 22, così com’è):
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Alle promesse del titolo seguono, ahimè, i fatti: 23 (che poi non sono 23) personaggi impresentabili, alcuni della banda del Manifesto, altri della banda del Viminale, altri ancora della P2 – o come diavolo si chiama adesso – e altri della banda dei Radicali Liberi, si associano nella raccolta di firme di storici e scrittori (giustamente in nero nel testo) ai “mafiosi” della ex DC, come Giulio Andreotti, e ai “‘ndranghetisti” dell’ex dirigenza del PSI calabrese che “non hanno visto” gli interessi malavitosi.
Nella prosa pacata, piena di bufale concrete, che fa appello alla logica e alla ricerca scientifica e scritta con lo stile di chi conosce la materia (controllare, prego: è con questo sussiego che gli assassini e i loro complici danno lezioni di storia e di bon ton), Giuseppe Pasquale Marra detto Pippo si trasforma in un plurale collettivo, sostenendo che il documento sul caso Moro è firmato da 23 tra storici e scrittori di origini, percorsi e orizzonti diversi. “La lettera aperta punta a spazzare via una volta per tutte (un’ altra volta? Non se ne può più) la ‘fake news’ che vuole esistente un legame occulto tra il Sisde e le Br”.
Questi puffaroli cominciano subito con le palle: il legame non è affatto occulto, ma è talmente palese che da quarant’anni la “banda del buco” cerca di negarlo. Via, ragazzi, fatevene una ragione, andate dallo psichiatra, prendete un tranquillante, chiamate lo spirito di Padre Pio perché vi dia consolazione, ma smettetela con le fregnacce.
È vero che il crimine paga, e se voi faceste un onesto esame di coscienza dovreste rinunciare ai dollari e agli euri, in nome dei quali vi abbassate anche a fare la figura dei coglioni, ma volete mettere la dignità? È una cosa, questa, che viene anche prima della ricerca scientifica e della sistemazione di figli, di mogli e cognati, delle carriere e delle prebende, dell’iscrizione nell’elenco dei Cavalieri e dei Commendatori all’Ordine del Merito della Repubblica. È una cosa che permetterebbe a voi e ai vostri compagni di merende di andare avanti a testa alta, cari spacciatori di puzzole stantie.
E chi sarebbero poi questi 23 fra storici e scrittori di origini, percorsi e orizzonti diversi che dividono con voi la tremenda responsabilità di diffondere panzane ovunque?
DUE: GLI STORICI
Questi 23 (che poi sono 28), secondo Giuseppe Pasquale Marra detto Pippo, firmano una “presa di posizione pacata, piena di informazioni concrete, che fa appello alla logica e alla ricerca scientifica”, “scritta con lo stile di chi conosce una materia…”
Sono così pacati e concreti che da anni cercano con tutte le loro forze di ciurlare nel manico; è davvero una ricerca estenuante, la loro, che non si arresta mai nemmeno di fronte all’evidenza. La materia che meglio conoscono non è certo la matematica, se scambiano i metri con i chilometri, e non è nemmeno l’onestà, parola lontana mille miglia dal loro orizzonte cognitivo.
I fatti sono noti: per loro il colonnello dei Servizi, Camillo Guglielmi, non era dei Servizi; la mattina del 16 marzo 1978 era passato dalla scena del crimine “intorno alle 9.30”, a strage già consumata, e non prima. Per raggiungere la palazzina di Gladio, che non era di Gladio secondo loro, dove lo attendeva per pranzo il suo amico e collega Armando D’Ambrosio, era stato costretto ad un tortuoso tragitto, perché via Stresa 117 è “ben lontano da via Fani…”
Peccato che fossero solo le 9 di mattina; peccato che la palazzina di Gladio, in via Stresa 117, davanti alla quale si era fermata la A112 portata là dal brigatista dei Servizi, Valerio Morucci, sia a 50 metri dall’incrocio, 50 metri lineari, percorribili in un minuto, senza bisogno di affannarsi in tortuosi tragitti…
Ma diamo la parola ai puzzoni, perché non sembri che ci stiamo inventando le loro inqualificabili fake news. Censisce ed elogia lo squallido scritto di Vladimiro Satta il compagno di merende Paolo Mieli, che rifila ai suoi lettori questa robaccia stantìa:
oltre ad essere entrato nel Sismi solo dopo i fatti di via Fani, [Guglielmi] racconterà alla magistratura di non essere mai passato quella mattina per quel tratto di via ma di essere arrivato a casa del suo collega Armando D’Ambrosio (che confermò l’episodio), abitante in via Stresa, intorno alle 9.30, quando via Fani era già invasa da giornalisti, fotografi e televisioni, transitando per le vie adiacenti, probabilmente via Molveno, come ipotizza Vladimiro Satta nel suo Odissea del caso Moro, Edup 2003. Via Molveno sfocia nella parte alta di via Stresa, nei pressi del civico 117 dove abitava appunto D’Ambrosio, ben lontano da via Fani e raggiungibile da quel punto solo dopo un tortuoso tragitto”.
Satta è così incapace di non raccontare frottole che mente anche sulla toponomastica, sciroppandoci una mappa di sua invenzione, tutta fatta di tornanti di montagna e di tortuosi tragitti, pur di non tradire il suo DNA.
Se non pretendesse di passare per uno storico e se non trovasse chi lo tiene in grande considerazione, sarebbe solo un simpatico puzzone, un ciarlatano venditore di almanacchi.
Quanto dista in verità, nonostante quello che scrive Satta, la palazzina di Gladio di via Stresa 117 dall’incrocio con via Fani?
TRE: CINQUANTA METRI
Nel rapporto del nucleo investigativo dei Carabinieri del 20 marzo 1978 alla Procura della Repubblica di Roma, riportato anche in Commissione Moro (30, pag. 184 e seguenti), si legge:
“Il giorno 16 marzo 1978, subito dopo i noti fatti, questo nucleo disponeva che militari dipendenti, procedessero ad un attento controllo di tutte le autovetture in sosta in via Mario Fani e strade adiacenti. Durante l’operazione i militari notavano un’autovettura A112 targata Roma P55430 telaio n.ro A1124-1 [? … di] colore verde chiaro, tetto color crema, parcheggiata in via Stresa all’altezza dello stabile contrassegnato dal civico 137, con le portiere chiuse, ma non a chiave. […] Si constatava quindi che: – lo sportello e parte della fiancata destra erano ammaccati: – le chiavi di accensione e chiusura sportelli si trovavano nel vano porta oggetti; – il contachilometri segnava 43721; – mancava la carta di circolazione; – era provvista di ruota di scorta e sul parabrezza erano in mostra i contrassegni di assicurazione della Compagnia Tirrena, con scadenza 27.9.1978 e la tassa di circolazione con scadenza maggio 1978. A quest’ultimo proposito e [sic] da evidenziare il fatto che da un preliminare sommario esame, gli estremi dell’autovettura che appaiono sui due contrassegni, sembrano uguali e cioè battuti dalla stessa macchina per scrivere. – Ciò fa supporre che anch’essi siano falsi…”
Quattro giorni prima, nel loro rapporto redatto il 16 marzo e reperibile anche nell’Archivio del Senato, dove Satta, che lavora proprio lì come archivista, ce l’ha a portata di mano, i brigadieri dei Carabinieri Tino Lovotti ed Elio Centurioni scrivono, fra l’altro:
“Tra le targhe rilevate abbiamo annotato anche quella ROMA P55430, montata sull’autovettura A112 [l’auto di Morucci] di colore verde chiaro con il tetto color crema, parcheggiata in via Stresa, a circa 50 metri lineari dall’incrocio di via Fani”.
Cinquanta metri, cinquanta! Vergogna, Satta! Questa dei tortuosi tragitti che ti sei inventato è proprio sporca, e non poco.
Ma voi della “banda del buco” siete giornalisti d’inchiesta o giornalisti del network Repubblica-Qn-Sole24ore-Corsera-Stampa-RadiocorriereTv-Giornale-Mediaset & C.? Quelli della banda larga Rizzoli-Scalfari-De Benedetti-Mondadori Berlusconi-Monti-Caltagirone-Ciarrapico-Agnelli Elkann-Moratti-Piaggio-Cuccia-P2 & C.?
Volete che vi insegniamo tutto noi? Bene, allora sfogliate i documenti che si trovano in Senato, dopo esservi lavati le mani per non lasciare impronte: ci sono tutti i nomi e i cognomi, i numeri di telefono e gli indirizzi dei vostri padroni, dei vostri compari e di tutti quei fantasmi, neri, rossi, bianchi, in divisa e in borghese, che voi non riuscite mai a vedere.
Magari passate anche dall’oculista, prima o dopo essere andati dallo psichiatra.
QUATTRO: ANCORA GLI STORICI
Se mettiamo insieme la relazione interna dei brigadieri del 16 marzo e il rapporto ufficiale del nucleo dei Carabinieri alla magistratura del 20 marzo, chiunque – a parte Satta – è in grado di fare due + due = 50 metri. Perché trasformarli in chilometri? Perché la “banda del buco”, pur di sostenere l’insostenibile, passa sopra le testimonianze e le foto, le presenze e i dati, le targhe e le visure. “Me ne frego!” è il suo motto.
Cari ragazzi, voi che avete sempre un occhio di riguardo per la P2, per Licio Gelli, per Cossiga, per Andreotti, per i nazifascisti, per Craxi, per la mafia, e invece parlate male di Mani Pulite, della Resistenza, dei giornalisti veri, degli storici indipendenti, spiegateci, di grazia: lo fate gratis, per intima convinzione, o a pagamento? Noi preferiremmo che lo faceste gratis, per un moto intimo del cuore, ma forse non è così.
Fra i firmatari dell’accorato appello, oltre ad assassini brigatisti e fascisti assassini, oltre a gente dei Servizi sotto mentite spoglie, oltre a storici a pagamento e ciurma d’accatto, di quella che si trova in ogni porto, c’è anche chi, pur non avendo ammazzato nessuno, è proprio un firmaiolo di lungo corso. C’è chi è lì che firma da quarant’anni. Ormai avrà il crampo ai muscoli della mano; per quelli del cervello non c’è pericolo.
Cominciamo con la banda del Manifesto: Paolo Persichetti, assassino e docente all’università di Cosenza, Marco Clementi (università di Cosenza: aveva solo 13 anni quando i suoi amici ammazzavano la gente), Andrea Colombo, ancora convinto, il poveretto, che a fare la strage di via Fani siano solo dieci brigatisti. Ma quando mai? Questi sono inaffidabili non solo se chiacchierano, ma anche se agiscono. In via Fani perdono i baffi, gli si inceppano i mitra, gli cade un caricatore, smarriscono un bottone da carabiniere, dimenticano una borsa.
Mancano proprio di professionalità: sembrano quasi delle comparse, arruolate per fare teatro, come nel coro nell’Aida, con trombette ed elefanti. Lo dice anche Persichetti – che se n’intende di omicidi – ad ammazzare gli agenti erano dieci dilettanti: un contadino, un tecnico, un assistente di sostegno, un artigiano, uno studente, due disoccupati, un commerciante e due operai. Mancava solo un idraulico; peccato, perché nei covi (vedi via Gradoli) c’erano spesso perdite d’acqua.
Nella banda del Manifesto dobbiamo mettere anche Carla Mosca, autrice con la Rossanda di una famosa intervista in carcere a Mario Moretti nella quale Moretti racconta palle su palle che le giornaliste diffondono in tutto il mondo, come quella che Moretti fosse un comunista, mentre è un provato fascista; e poi la Elisa Santalena, che insegna storia a Cosenza, Andrea Brazzoduro, borsista alla Sorbona, Frank Cimini, per 25 anni praticante al Manifesto, Silvia De Bernardinis, che insegna inglese all’Università di Bologna… Lei scriverà balls, immaginiamo, anziché palle.
Questi, per capirci, cari lettori, sono del versante calabrese ‘ndranghetista del PSI, come Franco Piperno, Lanfranco Pace & C., capaci di incontrarsi, durante il sequestro Moro, nella trattoria dove Morucci e Faranda andavano a mangiare quasi ogni giorno, la solita trattoria di Trastevere, con Valerio e l’Adriana clandestini e ricercatissimi, mai trovati dalla Polizia, ma da Pace sì – quando si dice l’abilità di Pace! – nella stessa trattoria che era frequentata anche dalla scorta del “mafioso” Andreotti – quando si dice il caso!
CINQUE: MA QUANTI STORICI CI SONO?
Gli storici non finiscono mai, come gli esami nella commedia di Eduardo. Questi professorini saputelli del Manifesto, questi rivoluzionari da salotto che spiegano agli operai come si fa a fare la rivoluzione, e mettono sotto esame il PCI revisionista, che non capisce le nuove forme delle lotte operaie, dentro le fabbriche con i sabotaggi e nelle piazze con le molotov, sono oggettivamente filobrigatisti, avventuristi, fascisti, magari giornalisti part time, ma servi della Nato a tempo pieno.
Eccole, le truppe cammellate sfilare nei ranghi della ADNkros di Giuseppe Pasquale Marra detto Pippo: c’è Christian De Vito (laurea a Firenze, dottorato alla Normale di Pisa, resoconti fotografici sul Primo Maggio da Bonn); c’è l’avvocato ex carabiniere Davide Steccanella, strenuo difensore di assassini malavitosi e terroristi; c’è Italo Di Sabato, esperto di lotta nelle carceri, che si batte per la libertà dei reclusi e l’abolizione dell’Articolo 41bis; c’è Frank Cimini, specialista di cronaca giudiziaria che sa tutto sui complotti della magistratura contro Craxi, contro Berlusconi, contro Sogno e contro tanti altri galantuomini; c’è il penalista Giuliano Spazzali, inviso ai brigatisti della prima ora, passato dalla difesa degli anarchici alle arringhe contro Mani Pulite; c’è Mario Gamba, bravo musicologo con cattive frequentazioni, passato da Avanguardia Operaia alla retroguardia de il Manifesto al giornale “socialista” Reporter; Marco Grispigni, che riscrive la storia del Sessantotto e degli anni Settanta cancellando tutto quello che non gli piace; Davide Franco Jabes, professore di storia militare, della Marina e dell’Aviazione; Nicola Lofoco, pubblicista che da decenni lotta per attaccare i testimoni di via Fani e negare l’intervento dei Servizi nella strage; Eros Francescangeli, storico della Resistenza che fa un po’ di confusione fra D’Annunzio e l’antifascismo; Giovanni Pietrangeli, autore di bei saggi sulla strategia della tensione, al quale bisognerebbe spiegare che le BR erano manodopera di quella strategia esattamente come i terroristi neri; Francesco Pota, che forse deve essere un Francesco Porta, con l’inserzione di una “r”, se gli scienziati permettono la nostra precisazione; Ilenia Rossini, professoressa de il Manifesto studiosa di lotte antagoniste; Gianremo Armeni, esperto di mafia, che non si accorge della presenza della mafia nella logistica e nell’esecuzione della strage di via Fani (ma dobbiamo dargli atto di essere una persona corretta, a differenza della maggior parte dei soci di Pippo); Matteo Antonio Albanese, che sostiene che le BR con la formula del SIM (lo Stato Imperialista delle Multinazionali) avevano analizzato la globalizzazione prima di Marx ed Engels, e che solo dopo la fine della loro esperienza di lotta antagonista e di quella di Antonio Negri detto Toni il capitalismo selvaggio ha vinto; Ugo Maria Tassinari, fascistissimo animatore di Fascinazione, affascinato dal fascio, passato poi a Fascisteria, tanto per non perdere il vizio.
Tante persone eterogenee, di cui ADNkronos pubblica la lista: storici, scienziati, brigatisti & affini. Alla fine, finalmente, la lista di questi 23 scienziati firmatari contro le fake news finisce (era ora!) ma, SORPRESA! I 23 firmatari contro le fake news non sono 23, sono 28! (1) Contarli, per credere. Che (dato che la menano da 40 anni) qualcuno di loro nel frattempo abbia figliato per partenogenesi? Che la ribollita in tutti questi anni sia fermentata, debordando? Che abbiano voluto dimostrare per assurdo, i firmatari, che le fake news (cioè le palle) esistono davvero, e loro ne sono la prova vivente?
O semplicemente che sono così ignoranti che non sanno nemmeno contare per 1?
Noi propendiamo scientificamente per quest’ultima ipotesi.
Cari ragazzi, dopo lo psichiatra e l’oculista vi conviene prendere appuntamento anche da un prof di matematica, per imparare le tabelline. Via, non saper nemmeno contare per 1! Che vergogna!
Chi gliela racconta, questa, a Paolo Mieli?
SEI: ANCORA QUALCHE NOTERELLA SULL’AGENZIA FASCISTISSIMA DI GIUSEPPE PASQUALE MARRA DETTO PIPPO
Se i nostri lettori non sono stanchi di leggere le ragazzate di questi bravi ragazzi che invece di andare a scuola a imparare giocano a fare i prof, con risultati fra il farsesco e lo squallido, l’indecente e il tragico, noi andiamo avanti, per amore della scienza e della storia, a raccontarvi chi sono e cosa fanno.
Ma prima, per cambiare registro, vi raccontiamo la storiella del marito cornuto.
Sapete già che per la “banda del buco” la compresenza in via Fani del colonnello dei Servizi Camillo Guglielmi con la sua squadretta di killer, del generale Ferdinando Pastore Stocchi, istruttore di gladiatori a Capo Marargiu, degli alti ufficiali della Nato nella palazzina di Gladio di via Stresa 117 (a 50 metri 50 dal fatidico incrocio), di Tullio Moscardi (Decima MAS), di Pino Rauti (Ordine Nuovo), di Musumeci e del suo aiutante Belmonte, oltre a una scuderia di auto dei Servizi o di società di copertura (tutti lì, all’ora Zero del 16 marzo) è solo una coincidenza.
Apologo del cornuto: un giorno il signor Rossi, rincasando, trova l’idraulico nudo in camera da letto. “Si sta cambiando, dopo aver fatto una doccia”, dice la consorte. Tempo dopo si ripete la scena: l’idraulico nudo in camera si sta cambiando. La cosa si ripete ancora, con l’idraulico nudo in camera….
Dopo quante volte, signor Vladimiro Satta, il signor Rossi comincia a sospettare di essere cornuto? Bastano quarant’anni di coincidenze?
Ahimè, non bastano. Per la “banda del buco”, che il signor Rossi sia cornuto è soltanto un’illazione. In compenso, che dieci brigatisti abbiano fatto tutto da soli è una granitica certezza. Tutto da soli, anche senza l’idraulico!
Ed ecco, cari lettori, qualche stralcio preso a caso per verificare l’onestà, la serietà e l’attendibilità della ADNkronos di Giuseppe Pasquale Marra detto Pippo, uno dei boss della stampa italiana.
Con un lancio del 16/08/2020 ore 12:45 la “Giuseppe Marra Communications” così ricorda Francesco Cossiga, il presidente che incontrava regolarmente Gelli e aveva riempito di piduisti il Comitato tecnico operativo istituito durante il sequestro Moro:
“Cossiga è stato prima di tutto uno statista, l’uomo che ha contribuito a evitare che l’Italia deragliasse (questo lo sottolineiamo perché deve essere un lapsus: il deragliamento dei treni era una specialità dei Servizi) dai binari della sua storia, e un politico dall’ineguagliabile corsus honorum (ignorante, si scrive cursus honorum)…È stato anche uno straordinario comunicatore, capace di parlare all’opinione pubblica (ma non al Parlamento né alle commissioni di inchiesta, di fronte alle quali ha sempre mentito) con un linguaggio semplice e diretto, comprensibile a tutti (come quando attaccava la magistratura o salutava platealmente il generale golpista Giovanni Allavena, abbracciandolo in pubblico e gridando: “Allavena, golpista, vecchio amico mio!”). Ma quello che di lui ricordo con maggiore nostalgia è il padre e l’amico affettuoso, il maestro di vita dalla sterminata cultura, l’uomo curioso che si interessava a ogni aspetto dell’esistenza, anche a quelli all’apparenza più banali. Un uomo coraggioso, e libero, che servirebbe anche all’Italia di oggi”.
Con un lancio d’agenzia del 26/07/2014 alle ore 17:53 (sei anni fa) per celebrare l’ottantaseiesimo compleanno dell’ex presidente Cossiga, Giuseppe Pasquale Marra detto Pippo, rimpiangendo gli anni della presidenza eversiva, scriveva:
“Manca il ‘Presidentissimo’ come mi piaceva chiamarlo nelle nostre molteplici telefonate quotidiane, manca la sua ironia (come quando Cossiga, che non aveva mai fatto il militare perché era un imboscato, si metteva il basco da Capitano di Fregata e partecipava così travestito alle manovre Nato) e soprattutto mancano i suoi pensieri, il suo coraggio e la sua libertà”.
Facciamo rispettosamente notare che anche Paolo Bellini, il terrorista di Avanguardia Nazionale (il movimento “rivoluzionario” fondato da Stefano Delle Chiaie detto Caccola, un pluriomicida al servizio dello Stato) implicato nella strage della stazione di Bologna, piduista e sodale di Gelli come Cossiga, rivolgendosi a Cossiga scriveva: “Tu sei sempre il mio presidente”.
In questo grande amore per Cossiga l’agenzia di Pippo coinvolge le massime autorità istituzionali insieme a terroristi di ogni ordine e grado.
Con un lancio del 17/08/2020 ore 11:30 Luigi Zanda, suo portavoce al Ministero e poi nello staff di Cossiga presidente, uomo degli apparati, amministratore di varie testate editoriali e sardo come Cossiga, scrive:
Certo sentiva su di sé in quanto ministro dell’Interno tutto il peso della inadeguatezza e dell’impreparazione degli apparati dello Stato che non furono in grado né di impedire il sequestro né di liberare Moro” (altro che inadeguati e impreparati! Furono in grado benissimo di farlo ammazzare).
Sarebbe ora di finirla con questa palla dell’inadeguatezza e dell’impreparazione: i Servizi conoscevano i Br meglio di quanto i Br stessi si conoscessero, al punto che erano in grado perfino di sapere per ogni terrorista quanti peli aveva nel sedere, cosa che i Br ignoravano del tutto. E in via Fani, via Stresa e dintorni ogni metro quadrato era capillarmente sorvegliato. Quello di Monte Mario sì che era un quartiere soggetto a controllo di vicinato! Un controllo capillare, con telecamere piazzate sui lampioni e nei posti più impensabili, per proteggere i delinquenti e i malavitosi.
Gli assassini alla Persichetti & Company, controllati al centimetro, credono di essere loro i controllori. Illusi, megalomani, dilettanti! Piccoli apprendisti vanitosi! Saliti sulla giostra colorata, in groppa ai dischi volanti e ai cavallini, credono di essere loro a far girare la ruota.
Un lancio d’agenzia del 17/08/2020 alle ore 10:42 ci racconta che Cossiga, pensando a Moro, capitava che di notte si svegliasse dicendo: “L’ho ucciso io”.
Forse il sardo era sincero solo quando dormiva, e come il suo amico Gelli, mentiva sia da sveglio che quando era in sonno. E, di sonno in sonno, riempiva di piduisti tutti gli apparati dello Stato. I magnifici apparati.
Ma il disonesto Vladimiro Satta e i suoi sostenitori Paolo Mieli e Giovanni Bianconi, con il solito Giuseppe Pasquale Marra detto Pippo raccontano, all’unisono, che il ruolo della P2 è stato molto sopravvalutato, che i capi dei Servizi erano stati scelti non perché piduisti, ma per la loro professionalità, che la P2 era un po’ uno status symbol, se volevi essere ammesso in certi salotti dovevi avere la tessera, che la pista anarchica in piazza Fontana era giusta, come quella brigatista in via Fani…
Tutti argomenti e motivazioni presenti quotidianamente da 50 anni e più nei lanci d’agenzia della ADNkronos, specializzata in palle, di proprietà dello “spacciatore” Giuseppe Pasquale Marra detto Pippo, giornalista dei Servizi.
Con un altro lancio del 17/08/2020 alle ore 18:04 Pippo fa parlare Giorgio Vittadini, il fondatore della Compagnia delle Opere (la holding economica di Comunione e Liberazione) e Sergio Mattarella, l’attuale presidente della Repubblica. Parlando di Cossiga, Vittadini afferma:
“Ricordo che partecipò anche al meeting e ci spronò a osare, costruire, essere coraggiosi, anche a criticarci. Lo ricordo come un padre pubblico e l’Italia ha bisogno di padri come lo è stato Cossiga”. (Infelice quel Paese che ha bisogno di Cossiga!).
Mattarella, informato non sappiamo da chi, sforna una di quelle frasi fatte che vanno bene in qualsiasi occasione, dai funerali agli anniversari, dalle inaugurazioni delle mostre all’apertura dell’Anno Accademico: “Patrimonio democratico da trasmettere ai giovani” – e non si capisce bene se il patrimonio democratico è la P2, Cossiga, i Servizi, Licio Gelli, la Mafia, la Nato, Antonio Negri detto Toni, la stampa di regime, il nuovo itinerario turistico enogastronomico, o gli assassini di via Fani e dintorni.
SETTE: PIPPO E I SERVIZI
Spizzicando qua e là fra le opere dei firmatari dell’appello sul caso Moro pubblicato da Pippo, vediamo che il chiarissimo penalista Davide Steccanella scrive, oltre a tante altre palle, anche queste:
“È avvilente come, a distanza di 42 anni, il nostro Paese non sia ancora stato capace di raccontare un periodo importante della nostra storia senza ricorrere continuamente a quelle mistificazioni che solleticano il gusto italico per misteri e complotti. Viene da pensare che questo non sia solo frutto di superficialità ma di una volontà ben precisa: ridurre un importante e lungo conflitto sociale (peraltro mondiale) a terrorismo avulso e teleguidato”.
Avulso no, avvocato Steccanella, ma teleguidato sì. Chi glielo ha suggerito?
Interrogato da Frank Cimini con Manuela D’Alessandro, che gli chiedono: “Cosa significa per te, che hai studiato anche da storico quel periodo pur non avendolo mai vissuto direttamente, difendere Cesare Battisti?”.
Davide Steccanella risponde:
“Avrei preferito continuare a occuparmene da storico (…), però nel momento in cui una persona in stato di detenzione mi nomina come avvocato non posso che fare solo l’avvocato e dimenticare d’essere uno storico” (vedi nel sito www.giustiziami.it, un sito un po’ garantista e un po’ giustizialista, un po’ meticoloso e un po’ sciattone: la Camera di Consiglio è etichettata come Camera di Coniglio).
E allora dimentichi pure di essere uno storico, caro avvocato. Ce ne faremo una ragione. Perché di complottisti che straparlano di complotti organizzati dai complottisti ne abbiamo a bizzeffe. Per costoro sono complotti le verità degli altri, ma è verità il loro complottismo. Ci ricordano molto quei guardoni per i quali l’eros degli altri è porno, ma il proprio porno è eros.
Eccoli segnalare nel loro accorato appello alcune “chiare evidenze” dalle quali appare chiarissima la loro pornografia:
“L’ingegner Borghi/Moretti ha affittato i locali di via Gradoli 96 a seguito di normale annuncio pubblicitario nel dicembre 1975”, affermano. Bravi, avete scoperto l’acqua calda.
“I locatori erano i signori Giancarlo Ferrerò (rectius: Ferrero) e Luciana Bozzi, proprietari dell’appartamento dal rogito avvenuto in data 01/07/1977”. Capperi che scoperta! Bravi, continuate pure con l’acqua calda.
“È accertato che si è trattato di una transazione tra privati, senza coinvolgere la figura dell’amministratore”.
“Il Sisde, il nuovo servizio interno civile, è stato creato nel 1977, cioè due anni dopo la stipula del contratto di affitto per la base brigatista”. Certo, prima si era chiamato in tanti altri modi, ma esisteva da cent’anni. Non ve l’avevano detto, ignorantoni?
“È evidente che il contratto d’affitto tra brigatisti e coniugi Ferrerò (e dài con questo Ferrerò! Non sarà un depistaggio?) non poteva perciò essere implicato con il Sisde, del resto inesistente in quel momento”.
Inesistente forse sulla carta, cari i nostri pornografi, ma dotato di sedi, prestanome, funzionari, automobili, società di copertura, laboratori; un intero dossier, ampiamente conosciuto, lo trovate nell’Archivio del Senato, se lo cercate.
Saltiamo per decenza qualche boule (letteralmente: palla) dell’acqua calda, per arrivare ad alcune belle palle finali.
“Per evitare contiguità immotivate e fuorvianti, va sottolineato che la base dei Nar era invece al civico 65 di via Gradoli (…). Un altro estremista di destra aveva in realtà abitato in via Gradoli 96 – Enrico Tomaselli di Terza Posizione – ma nel 1986, cioè molti anni dopo i fatti in oggetto”.
In effetti, il civico 65 non è il 96: vediamo che le ripetizioni sulle tabelline stanno dando i loro frutti.
“In particolare, sono agli atti le proprietà immobiliari di Vincenzo Parisi, nel 1978 questore di Grosseto, dal 1980 in organico al Sisde (di cui diventa direttore nel 1984) e nel 1987 capo della Polizia”.
Vi facciamo notare, storici della Pippo & Company, che Vincenzo Parisi lavorava per i Servizi fin da quando, a Trieste, faceva lo spione per gli americani, con la squadra di Guido De Nozza, che nel 1956 Fernando Tambroni, ex centurione fascista e ministro per l’Interno, chiama a Roma, per intercettare amici e nemici, spiarli, ricattarli, fotografarli, registrarli e schedarli. Forse non aveva la tessera del Sisde (che del resto non esisteva ancora come sigla), ma il suo mestiere lo sapeva fare. Agli spioni Tambroni pagava in nero perfino un’agenzia di stampa, specializzata in palle e fake news come la vostra. Ah, che bei tempi, quelli di Tambroni!
E ancora, cari pornografi: “L’intensa attività immobiliarista del dirigente Parisi, con gli appartamenti intestati alle figlie Maria Rosaria e Daniela, non sembra richiamare reconditi misteri” (infatti, è un mistero solo per voi, che non sapete né leggere né scrivere). Ad ogni buon conto, sono atti notarili riguardanti il civico 75 che ricorrono un prima volta un anno e mezzo dopo il rapimento Moro mentre i successivi, inerenti al civico 96 (che, bravissimi!, non è il 75), avvengono nel 1986-87; ben quattro e undici-dodici anni dopo la stipula del contratto di affitto del 1975 da parte delle Brigate Rosse.
Peccato che risulti, cari pennivendoli dilettanti, che il direttore Vincenzo Parisi durante il sequestro Moro avesse a sua disposizione una villa a Manziana con ampio parco, le cui chiavi, contrassegnate da un cartellino (“Villa Manziana”) stavano nel covo BR di via Gradoli. Basta controllare un elenco telefonico del 1975/76 (a proposito, siete poi andati dall’oculista?) per leggere che a Manziana Vincenzo Parisi risulta in via di Villa Giulia 1 – telefono 9026261; prefisso 06 per chi chiama da fuori Roma.
Ma poiché non c’è limite al porno travestito da ricerca scientifica, riportiamo papale papale l’intero punto 11 che gli spacciatori di palle della Pippo & Company mettono a conclusione delle loro esilaranti farneticazioni:
“Quando si tratta dell’immobile di via Gradoli queste date abitualmente non vengono segnalate ai lettori. E invece la precisione sui tempi cronologici è necessaria per un’interpretazione ponderata dei fatti ispirata al metodo storico. Un’analisi corretta dei tempi, delle fonti e del nesso causa-effetto smentisce seccamente ogni possibile coinvolgimento di entità non riconducibili alla lotta armata intrapresa dalle Br nel lontano 1970. Denunciamo pertanto il mancato rispetto dei più elementari criteri di verità e di logica nella ricostruzione di eventi e circostanze, una degenerazione particolarmente grave della e nella stampa italiana”.
Parole sante!
OTTO: PIPPO E I SERVIZI/BIS
L’accorato appello firmato da 23 o 28 storici tanto cari all’ADNkronos di Giuseppe Pasquale Marra detto Pippo, costellata da una serie di lanci di palle ad ogni ora del giorno in questo mese di agosto 2020, non è purtroppo, nella “ricostruzione di eventi e circostanze”, un evento isolato, come quelli appaltati in agosto alla Pro Loco, né è giustificabile con la circostanza della calura estiva.
La loro narrazione della vicenda Moro si fonda essenzialmente sul memoriale Sisde-Gelli-Piccoli-Cavedon-Morucci; la bozza, partorita nel grande appartamento su due piani di Flaminio Piccoli, in via Massimi 75, nel quale Licio Gelli riceveva industriali e militari, funzionari e politici desiderosi di fare affari e carriera con la P2, è una vera e propria enciclopedia di palle.
Il volume di queste palle è così esorbitante e il loro numero è talmente grande che dobbiamo limitarci a raccontarne una.
L’autore collettivo di quel memoriale (poi portato a perfezione da una suora che aveva rapporti con i Servizi, Teresilla Barillà delle Serve di Maria Riparatrici, al secolo Chiara Barillà), racconta, fingendosi l’unico redattore del testo e firmandosi Morucci, di aver effettuato con la A112 verde chiaro con il tettuccio color crema un particolare, insolito tragitto (CM 30: 144 e segg.).
Questa è la A112, utilitaria davvero inadatta a caricare cinque passeggeri e due borsoni carichi di armi. A parte il fatto che la vettura era omologata per quattro persone compreso il conducente, l’accesso al sedile posteriore avveniva soltanto abbassando lo schienale di un sedile anteriore e facendolo scorrere in avanti. Il bagagliaio, poi, era accessibile attraverso un unico portellone, che permetteva di stipare i bagagli soltanto fino all’altezza del bordo dello schienale del sedile posteriore, che toccava il lunotto della vettura e sigillava, per così dire, lo spazio sottostante. Inoltre una parte del bagagliaio ospitava la ruota di scorta. Era quindi fisicamente impossibile far entrare in quel volume cinque persone e due borsoni di armi. Da dove venivano dunque i quattro terroristi travestiti da personale di Alitalia che pochi minuti prima delle nove scendevano dalla parte alta di via Stresa verso l’incrocio con via Fani? Non da qui. È ovvio quindi che Morucci mente anche su questo. Ma la A112 ci permette di smascherare anche altri bugiardi: i disonesti della banda Mieli-Bianconi-Satta-Lofoco-Colombo-De Luca-Persichetti & C., che pur di non mancare al proprio mestiere di disonesti a tempo pieno raccontano perfino che la A112 – parcheggiata a 50 metri dall’incrocio, davanti alla palazzina di via Stresa 117 (la palazzina di Gladio) – è ben lontana da via Fani, e la si può raggiungere solo dopo un tortuoso tragitto.
Se la distanza fra l’incrocio e la palazzina è in realtà 50 metri, la distanza fra i firmatari della lettera di Pippo Marra e i giornalisti onesti è incolmabile, perché tende all’infinito.
Scendendo giù con la A112 dalla parte alta di via Stresa verso via Fani, Morucci, giunto all’altezza della via privata Madesimo, che allora aveva solo i civici 37, dove stava Ferdinando Pastore Stocchi, addestratore di gladiatori a Capo Marargiu, e 40, dove stavano, oltre al cognato e alla sorella di Pastore Stocchi, anche il giudice piduista Domenico Pone e altri personaggi eccellenti, giunge con l’auto alla fine del breve percorso di via Madesimo; passa sotto il numero 71 di via Fani, in angolo, alla sua destra, dove stava il vice di Junio Valerio Borghese nella Associazione di ex Combattenti della RSI, Aurelio Languasco, criminale di guerra condannato per aver collaborato con i nazisti nelle stragi partigiane, e poi riabilitato dalla Cassazione ed entrato nel MSI; voltando ancora a sinistra, passa davanti ai numeri 109, 111, 113, 115, 117 e 119 di via Fani, che corrispondono alle abitazioni e ai locali commerciali del bar di Tullio Olivetti, dove troviamo Patrizio Bonanni, fiduciario dei Servizi, con diversi membri del suo clan, oltre a palazzinari, massoni e giornalisti (c’è anche Bruno Vespa); giunto all’incrocio con via Stresa, volta ancora a sinistra, passando davanti ai numeri 158, 156, 154, 152 e 150 (le vetrine del bar Olivetti su via Stresa), che si trovano alla sua sinistra, mentre oltrepassa l’abitazione del terrorista di Ordine Nuovo Pino Rauti, alla sua destra. Finalmente ferma la sua macchina davanti alla palazzina di Gladio di via Stresa 117, dove stavano gli alti ufficiali di Stato Maggiore dell’Esercito, della Marina e dell’Aeronautica (Rosseti, Podda e Aliberti, oltre a D’Ambrosio, amico di Camillo Guglielmi). I loro numeri di telefono, per chi volesse controllare, si trovano negli elenchi telefonici dell’epoca.
Dopo questo tour la A112 si trova praticamente davanti a via Madesimo, dove aveva voltato a destra, ma adesso ha il muso verso la parte alta di via Stresa.
Morucci, al servizio dei Servizi, racconta di aver parcheggiato in questo modo la A112 perché doveva servire per la fuga, se qualcosa non avesse funzionato. Ma le chiavi della macchina erano nel vano portaoggetti sotto il cruscotto; per aprirlo ed estrarre la chiave d’accensione si perdevano secondi preziosi, se era necessario agire in emergenza. E poi, serviva per la fuga di chi, se, come abbiamo visto, non c’era spazio nemmeno per quattro?
Ma, come accade nelle narrazioni dei Servizi, alle palle si mescolano fatti veri e documentati, per dare anche alle menzogne un’apparenza di verità. La presenza, a quell’epoca, dei soli numeri civici 37 e 40 nella via privata Madesimo è verificabile ancora oggi, grazie alle targhe sempre avvitate al cancello, che provano una verità inconfutabile, ma al tempo stesso ci costringono a riflettere. Poiché l’accesso alla strada privata era riservato ai residenti, chi fece trovare aperto il cancello a Morucci per entrare in via Madesimo da via Stresa prima delle nove, e chi gli fece trovare aperto quello per uscire da via Madesimo in via Fani?
Mentre da una parte acquistano senso tutte le postazioni logistiche toccate una dopo l’altra da Morucci con perfetto sincronismo, come in una gara di regolarità, d’altra parte quelle stesse postazioni, con i loro personaggi eccellenti, conferiscono senso al tour del brigatista. Il controllo è reciproco. Al maresciallo Morucci spetta l’ultima ispezione prima dell’ora Zero: segno che lui non fa parte della manovalanza, ma è nello staff della cabina di regia.
Ma Pippo Pippo non lo sa, e quando passa ride tutta la città. (…) Si crede bello, come un Apollo, e saltella come un pollo. La canzone, cantata dal Trio Lescano, è del 1939. Il nostro Pippo aveva tre anni, ma è rimasto un pollo, anche se dirige un pollaio di gente specializzata in becchime per lettori, con il potere pervasivo, invasivo ed eversivo delle palle, dei depistaggi e dei capovolgimenti della verità storica spalmato su tutti i quotidiani e le riviste, sulle radio e le televisioni. Pallisti ignoranti e un tantino cialtroni, incuranti di verificare le loro fonti e di fornire dati corretti, ma in grado di plasmare opinioni e influenzare votazioni, perché sono padroni di tutto.
L’elenco delle loro aderenze, dei loro periodici e dei loro quotidiani, delle loro clientele e delle televisioni, delle loro squadre sportive e dei loro stadi, non ci crederete? è lungo come la Treccani.
Non si fanno mancare niente.
NOVE: IL POLLAIO DEI GIORNALI, IL BECCHIME PER IL POPOLO E I SOLITI SERVIZI
Non so se sapete, cari lettori, che in una telefonata intercettata fra un magistrato del CSM, Luca Palamara, e il PM Stefano Fava, si dice chiaramente che Giovanni Bianconi è al servizio dei Servizi (2).
Ecco perché sul Corriere della Sera, quotidiano di lunga tradizione piduista, in simbiosi con i Servizi che sparavano palle al laser per i membri della Commissione Moro, questo losco individuo scriveva che i suoi colleghi dell’Antiterrorismo:
“hanno effettuato nuovi sopralluoghi coi laser-scanner. Conclusione: a sparare sugli agenti che dovevano proteggere il presidente della Democrazia cristiana, la mattina del 16 marzo in via Mario Fani, furono solo le armi dei militanti delle Brigate rosse, appostati su un unico lato della strada. I colpi che – ipoteticamente – potevano provenire dall’altra parte (e quindi esplosi da qualche killer al soldo di altre forze, servizi segreti più o meno deviati, o chissà chi altro), non hanno trovato alcun riscontro” (questa parte dell’articolo è in neretto, segno che il disonesto le attribuisce una grande importanza scientifica).
Ed ecco le presunte smentite del puffarolo:
“Il proiettile nel fianco destro del caposcorta è dovuto alla torsione che fece per proteggere il presidente seduto dietro, visto che un altro sparato dalla stessa mitraglietta ha colpito la parte interna dello sportello destro, e dunque fu esploso da sinistra. A queste conclusioni sono giunti i responsabili della Direzione antiterrorismo della polizia, insieme a quelli della Scientifica, che ieri ne hanno riferito alla nuova commissione parlamentare d’inchiesta sul caso Moro. Hanno anche rintracciato e interrogato testimoni quasi 90enni, spulciato carte di vecchie società e svolto accertamenti per verificare che altre auto ritenute «sospette», parcheggiate o arrivate subito dopo in via Fani, o erano di residenti o trasportavano investigatori. Smentite pure le ipotesi su presenze ambigue sul luogo della strage. Insomma, anche alla luce delle ultime, accurate e sofisticate indagini, risulta che a rapire Aldo Moro furono le Br. Solo le Br”.
Con “16 marzo 1978”, (Edizioni Laterza, 18 euro = 7 centesimi a pagina) questo pseudogiornalista si conferma grande esperto in palle e disinformazione. Omertoso come i mafiosi presenti sulla scena del blitz il 16 marzo, non vede, non sente, non parla. Invano i suoi poveri lettori cercheranno nelle sue pagine i nomi di Tullio Moscardi, Camillo Guglielmi, Patrizio Bonanni, Bruno Barbaro, Tullio Olivetti e il fratello Annibale, Enrico Marinelli, che hanno avuto un ruolo nella strage.
Invano vorranno sapere qualcosa del gladiatore Ferdinando Pastore Stocchi, residente in loco, e dei capi dei Servizi Siro Rosseti, piduista, Umberto Aliberti e Giuseppe Podda, residenti, come Armando D’Ambrosio, in via Stresa 117, dove l’assassino Morucci ferma la A112 targata Roma P55430. Invano cercheranno informazioni sull’auto di un fiduciario del Sisde (Roma T50354), che ostacola l’auto di Moro, sull’auto dell’Ucigos (Roma S88162), che parte alle 8,30-8,35 dalla Questura per non fare tardi alla strage, sull’auto, anche questa dell’Ucigos, targata Roma A40051 che è parcheggiata contromano in via Fani. Invano un lettore paziente aspetterà la pagina in cui, in un impeto di onestà intellettuale, Bianconi Giovanni cita quei passi della Commissione Moro che parlano di altri killer in borghese, oltre agli assassini brigatisti in divisa, presenti in via Fani. La sua attesa sarà delusa. In via Fani, come racconta l’esperto assassino Persichetti, che la sa lunga, c’erano solo un contadino, un tecnico, un assistente di sostegno, un artigiano, uno studente, due disoccupati, un commerciante e due operai. Mancava solo, come abbiamo rilevato più volte, un idraulico, e così qualcuno sarà finalmente sicuro di non essere cornuto.
Invano un lettore onesto cercherà da Bianconi notizia del verbale falso firmato dal commissario Carlo De Stefano, un verbale palesemente contraddetto dalle foto dell’ auto di Patrizio Bonanni; invano cercherà i nomi di Aurelio Languasco, Domenico Pone, Daniele Paldi… Certo che se Bianconi avesse fatto questo elenco dei nomi le pagine del libro sarebbero perlomeno raddoppiate, con una spesa troppo alta per l’editore.
Che non vogliamo abbinare, come si usa adesso, a scopi turistici, la commemorazione di via Fani con un itinerario enogastronomico?
Alla visita guidata, in torpedone, di cittadini allevati con il becchime del pollaio, occorre proporre come target una sosta al Bar-Gelateria-Pasticceria-SnackBar-Tavola Calda Olivetti Tullio, dove di target sono esperti, per degustare le specialità. Per la frittura mista c’è Aliberti, Capitano di Vascello, che sta lì a 50 metri: viene dalla Marina militare e di pesce se ne intende. Volendo, fa anche consegne a domicilio: basta chiamare il 344350. Lì dove sta lui, al piano di sopra abita anche il generale Rosseti, lieto di servire a tavola (tel. 982332123) anche gli amici degli amici, come il colonnello Podda (340042) o D’Ambrosio, che sta al piano terra. Se Domenico Pone, specializzato in acque torbide, è disponibile, gli chiediamo se può dare una mano, 344286. Ci sarebbe anche Casimirri (uno che ha buone entrature in Vaticano) con le capesante: ha un’armeria con articoli di caccia e pesca a piazza San Giovanni di Dio.
L’importante è prenotare con un certo anticipo, come Guglielmi, che alle nove si mette d’accordo con D’Ambrosio per il pranzo di mezzogiorno. Lui sì che per il pranzo è puntuale, anche se – dicono – per l’ammazzatina è arrivato in ritardo!
A disinformare sul caso Moro non c’è solo il circo di Giuseppe Pasquale Marra detto Pippo ma l’entourage si allarga, arruola giovani studiosi, persone serie che servono come specchietto per allodole, fascistoni mai pentiti e casalinghe di Voghera desiderose di darsi alla storia; e così fa proseliti.
Fra questi anche il povero Davide Maria De Luca, incauto allievo del rivenditore di palle ammuffite Vladimiro Satta, che, sotto dettatura del Maestro, scrive:
“Ancora più strana è la storia dell’ex carabiniere ed ex agente dei servizi segreti Pierluigi Ravasio, un altro dei sostenitori della teoria secondo cui le forze dell’ordine sapevano in anticipo del sequestro Moro…(…)”
Peccato che Emidio Biancone, l’autista dell’Alfasud dell’Ucigos targata Roma S88162, presente just in time sulla scena del crimine subito dopo la strage, sentito per tre volte nel corso di un anno dalla Commissione Moro, abbia ammesso, nel terzo interrogatorio (6 aprile 2016) che sì, erano partiti davvero presto. Biancone ha detto che i funzionari Domenico Spinella ed Enrico Correale gli avevano ordinato in fretta e furia alle 8,35 di dirigersi verso via Trionfale. Erano partiti da pochissimi minuti quando via radio fu loro ordinato di andare in via Fani. La strage non era ancora avvenuta.
Peccato che Saverio Mammoliti, l’autista dell’auto civetta che sorvegliava via Bitossi per tenere d’occhio l’abitazione del giudice Celentano, alle 9, quando stava per accadere il patatrac, ricevette per radio dal funzionario Antonio Esposito, piduista, del Centro Operativo Tecnico della Questura centrale, l’ordine di correre in via Fani, dove trovò carabinieri e finanzieri, partiti evidentemente anche loro per tempo, per non arrivare in ritardo all’ammazzatina…
Peccato che l’allontanamento dell’auto civetta fosse ordinato ad altissimo livello dal questore piduista, come racconta alla Commissione Stragi il notaio ex gladiatore ed ex Digos Antonio Frattasio.
Peccato che i movimenti della scorta di Moro fossero stabiliti via radio dal Centro Operativo Tecnico del Viminale, controllato da Licio Gelli e dai piduisti amici di Cossiga, che agivano in perfetta sincronia con il COT della Questura.
Peccato che l’agente Adelmo Saba, che ogni giorno in borghese su un’auto civetta precedeva di una decina di minuti la scorta di Moro, per intervenire in caso di situazioni sospette, la mattina del 16 marzo fu messo a riposo e il servizio di bonifica non fu effettuato.
Peccato che a dispensarlo dal servizio fosse il dirigente del Commissariato di Polizia Monte Mario, dottor Enrico Marinelli, lo stesso che 10 anni prima aveva ostacolato le indagini del giudice Ottorino Pesce sulla morte del colonnello Renzo Rocca, “suicidato” dai Servizi…
Quante coincidenze!
Il 16 marzo quindi i Servizi controllano attimo per attimo la scena del blitz, muovono come pedine gli esecutori materiali della strage e avvertono per tempo le diverse squadre che cooperano nell’operazione Fritz, perché tutti devono essere sul pezzo puntualissimi all’ora Zero.
Sono richiamati in servizio Moretti, che deve fare un’alzataccia (fin dalle sei è già sul teatro della strage), Morucci, che deve controllare prima delle nove se tutto è pronto, Moscardi, che è sul pezzo con la sua Mini Cooper, Guglielmi, che si esercita da un mese per la buona riuscita del blitz, Barbaro, che esce presto per alterare la scena del crimine, Olivetti, che ospita truppe venute da lontano… Insomma, avvertono tutti.
Proprio tutti no, purtroppo. In un’operazione così complessa è inevitabile che qualche particolare sfugga: il Centro Operativo Tecnico del Viminale dimentica di avvertire il giovane Vladimiro Satta, innocente diplomando del liceo Gaetano De Sanctis, che all’epoca faceva ancora collezione di figurine e non era ancora diventato uno storico, come poi asserirà di essere.
DIECI: ANCORA SUI POLLI DA REDAZIONE E SUI SERVI SERVIZIEVOLI DEI SERVIZI TRAVESTITI DA STORICI E DA GIORNALISTI
Come Cossiga ama travestirsi da Capitano di Fregata, Andreotti da Uomo Pio Senza Gobba, Sogno da Liberale Salvatore della Patria, Borghese e Graziani da Gatto Nero con Volpe Fumo Di Londra, Umberto II da Re D’Italia, Buttazzoni da Servo Di Due Padroni, Chiara Barillà da Suora Delle Serve Di Maria Riparatrici, i Bierre da Piloti Alitalia, D’Amato in Gambero Rosso Affogato Nel Nero Di Seppia, tutti quelli che hanno a che fare con questa storia devono presentarsi travestiti sulla scena.
Spacciare palle per fascisti e nazisti è come respirare per una persona normale. Nel Ventennio, tra “L’Africa è nostra”, “Se retrocedo sparatemi”, “Spezzeremo le reni alla Grecia, “Lo inchioderemo sul bagnasciuga”, tutta la comunicazione era una palla gigantesca. Durante la RSI, fra “Prendiamo Mosca”, “La Grecia si arrende”, “Hitler è il salvatore dell’Europa”, “Gli americani sono negri e selvaggi”, la storia si ripete…
Il refrain ha bisogno di una serie di palle ricorrenti che si ripetono per anni e anni, dando l’impressione, a forza di sentirle ripetere, che siano cose vere.
Dal 1945 in poi, tra i “Poveri fascisti perseguitati dai partigiani comunisti”, “I nazisti erano brave persone, scienziati di prim’ordine”, “Non è vero che hanno fatto tante stragi”, sono “Galoppanti fantasie di gente male informata”, si costruisce la leggenda dei “Partigiani bolscevichi che hanno fatto stragi di nazifascisti anche dopo la Liberazione” – Orrore!
Non era ancora nata la nostra Repubblica che questi puzzoni, di nuovo al comando di apparati e di mezzi d’informazione, di squadre di terroristi e di Marina, Esercito e Aviazione, da Roma sparavano palle – sia in senso fisico che in senso metaforico.
Ma il peggio è che hanno continuato prima e dopo il 1948, come può agevolmente controllare chiunque abbia fatto almeno le elementari: basta leggere riviste e giornali come Nuovo Meridiano, Candido, il Borghese, Tempo, il Resto del Carlino, Epoca, il Tirreno, la Nazione, il Giornale d’Italia, il Mattino, la Gazzetta del Mezzogiorno, la Stampa, il Corriere della Sera, e poi Oggi, Gente, e, via via, il Giornale, il Foglio, la Padania, la Repubblica, il Riformista, il Sole24Ore, e guardare la RAI e le TV private del monopolio Mediaset, dove le palle girano per l’etere notte e giorno.
E c’è un mantra che gira per l’Europa: quello dei partigiani che hanno fatto stragi di fascisti e di nazifascisti anche dopo la Liberazione. I fascisti e i giornali “indipendenti” lo ripetono alternando al pianto il desiderio di vendetta; i progressisti e i giornali “di sinistra” lo ripetono, aggiungendo un “purtroppo” che accredita la palla.
Eh, sì, purtroppo i partigiani hanno ammazzato tanti poveri nazistifascisti che gli sparavano anche dopo la Liberazione, perché la guerra finì in maggio. Nelle città che venivano liberate (da Cervia, 22 ottobre 1944, a Milano 29 aprile 1945) è tutta una guerra, una guerra civile che finirà soltanto con la resa della Germania, l’8 maggio 1945.
La “violenza” e le stragi lamentate dai reducisti (Decima MAS, nazifascisti, ex RSI, MSI) sono episodi di guerra, ma il coro unanime della stampa, da allora ad oggi, attribuisce ai bolscevichi, ai comunisti, al PCI, agli operai comunisti che nascondono le armi dentro le fabbriche per un’insurrezione armata, azioni efferate, prima, dopo e durante la Liberazione, il Quarantotto, gli Anni Cinquanta, i Sessanta e i Settanta.
Questo è il milieu culturale in cui pesca l’agenzia ADNkronos di Giuseppe Pasquale Marra detto Pippo, già giornalista del Secolo d’Italia, esponente del FUAN missino, e poi fascistissimo amministratore del quotidiano Roma, consulente della Montedison, archivista (anche lui!) nell’agenzia di stampa ADNkronos, di cui è amministratore, fino a quando ne diventa il padrone, attraverso la Piemme Editoriale Finanziaria Spa.
La Piemme è una concessionaria di pubblicità di Roma, nella quale come soci troviamo i palazzinari più o meno mafiosi, proprietari anche di acque minerali, di squadre di calcio, di ditte farmaceutiche e di giornali. Dirottando ingenti quote di pubblicità su questi o quei giornali, su queste o quelle tv, sono in grado di sostenere o di far fallire una testata. È così che Berlusconi ha fondato il suo monopolio televisivo, rastrellando tutta la pubblicità disponibile, con l’aiuto di mafiosi, piduisti, Ior, Lega Calcio, militari sudamericani del Mundialito, politici corrotti e terroristi.
È così che i Bocconiani, Prodi compreso, hanno svenduto i diritti e rubato le pensioni agli italiani, privatizzando il privatizzabile e vendendo la palla del monopolio privato (Fiat, Mediaset, Benetton, Poste Spa) come espressione del libero mercato.
Se i nostri lettori, che immaginiamo estranei al monopolio dell’informazione, vanno a controllare, scopriranno inquietanti TAG fra tutti questi monopoli: corruzione, mafia, fascismo, P2, banche e assicurazioni, fondi neri, Servizi, terrorismo. Il network sta in piedi grazie ad una serie incredibile di pseudogiornalisti pagati profumatamente, in modo diretto o indiretto, dai Servizi.
UNDICI: ECCO PERCHÉ PIPPO, PADRONE DELL’ADNKRONOS E DI TANTA INFORMAZIONE ITALIANA, SEMBRA UN FASCISTISSIMO: È PERCHÉ È FASCISTISSIMO
Ecco il senso, nemmeno tanto recondito, dell’operazione di disinformazione che Pippo in agosto ha portato avanti con l’accorato appello di 23 o 28 assassini, avvocati, giornalisti, ricercatori, storici, preoccupati del fatto che sul caso Moro si stabiliscano rapporti fra i Servizi e le Bierre. L’accorato appello è dettato dai Servizi, e l’elenco delle 100 coincidenze che provano la presenza dei Servizi prima, durante e dopo la strage di via Fani dovrebbe aprire gli occhi a tutte le persone oneste.
Verrebbe voglia, in un impeto di magnanimità, di invitare Satta-Bianconi-Mieli-Pippo & Company ad ammettere i propri errori.
Coraggio, ragazzi, a volte sbagliano anche i giornalisti onesti.
Ma le persone oneste coinvolte loro malgrado nell’accorato appello di Giuseppe Pasquale il fascistone, sono vittime anche loro di una gigantesca manipolazione?
Sì, come tutti noi, anche chi era già adulto e critico, e vide in diretta la strage: sembrava tutto vero. Poi, a poco a poco, tanti particolari inquietanti sono emersi e continuano ad emergere, anche se l’ADNkronos e i Servizi, coadiuvati da personaggi come Giovanni Bianconi o Vladimiro Satta, spargono fumo per nascondere la verità, coinvolgendo anche persone oneste e non consapevoli della trappola in cui si sono cacciate sulla scia del reducismo, dell’antibolscevismo, dell’anticomunismo, del cosiddetto garantismo, del complottismo, dando credito agli assassini, ai golpisti, ai terrapiattisti e sparando contro i giornalisti indipendenti.
Le sole cose sicure, cari lettori, sono le coincidenze. Se il signor Rossi per 140 volte trova l’idraulico in camera da letto, può essere sicuro del fatto che è cornuto.