di Gianni Barbacetto
A una domanda della cronista di Palazzo di giustizia, Giuseppe Sala risponde con un sorriso amaro: “Ne ho già abbastanza, rischio di diventare un habitué qua dentro”. La domanda era sui 200 monitor Samsung installati nel Palazzo che da tre anni trasmettono solo un titolo: “Udienza facile”. Ma non danno indicazioni di dove siano, le udienze. Bisogna continuare a orientarsi con i foglietti appiccicati con il nastro adesivo sulle porte delle aule.
Eppure quei monitor sono parte di un appalto con fondi Expo per 2 milioni di euro, stanziati per rendere smart la giustizia milanese in occasione di Expo. L’esposizione è finita da tempo, ma i monitor promettono soltanto “Udienza facile”. “Ah sì, ora ricordo”, aggiunge Sala alla cronista, “era l’appalto fatto dalla presidente del Tribunale, Livia Pomodoro”. Sala era in Tribunale, ieri, come testimone nel processo contro il presidente della Regione Roberto Maroni. Ma a Palazzo anche lui è due volte indagato: per falso. Per non aver dichiarato, da manager Expo, casa in Svizzera, villa in Liguria e due società in Italia e in Romania; e per aver retrodatato due verbali con i quali erano stati sostituiti due commissari di gara per l’appalto della “piastra”, il più grosso di Expo. La Procura generale ha avocato l’indagine e ha chiesto sei mesi per completarla.
Il termine “retrodatazione” compare anche in un documento dell’Anac sui lavori di Palazzo Italia, cuore di Expo. Nel dicembre 2016, l’Autorità anticorruzione di Raffaele Cantone ha consegnato un parere di legittimità, a proposito di un accordo transattivo tra Expo spa e due imprese , Italcementi e Styl-Com, che hanno realizzato e montato i 750 pannelli candidi in cemento biodinamico che rivestono l’edificio. È la solita storia degli appalti Expo: assegnati a una cifra che poi lievita e s’ingrossa. Per i rivestimenti doveva essere di 7,8 milioni, ma poi le due imprese ne hanno chiesti altri 14, per trattare e infine accontentarsi di 5,1 milioni aggiuntivi. L’Anac ha parole di fuoco sull’accordo. Esprime “perplessità di assoluta gravità”. Sala ha approvato “il progetto esecutivo di rivestimento con determina al protocollo n.1022bis/U”, senza indicazione dell’anno. Il contratto ha invece la sigla “1025bis/U /2013”. Conclude l’Anac: “Andrebbe chiarita la coincidenza di protocollazione bissata delle due determine, così da escludere eventuali retrodatazioni degli atti”.
Traduzione: Cantone sospetta che il “bis” nasconda una retrodatazione. Italcementi era stata individuata come l’unica impresa in grado di “fornire in conto sponsorizzazione e senza oneri” il suo materiale sperimentale. Ma “non risulta che sia stato sottoscritto un accordo di sponsorizzazione avente a oggetto specifico i materiali in questione”. L’Anac contesta inoltre il “disordine procedurale” che ha portato all’accordo transattivo, “condotto in spregio alle linee-guida autodeterminate” dalla stazione appaltante (cioè Expo spa), “in particolare rinunciando ad acquisire anzitempo le relazioni riservate della direzione lavori e della commissione di collaudo”. Ha firmato l’accordo al buio, insomma. Anzi, il direttore dei lavori “ha prodotto riconoscimenti talvolta discordanti con l’esito transattivo”.
Non solo: il fibrocemento usato è diverso da quello promesso. “L’unicità del prodotto, offerto in via sperimentale da Italcementi”, aveva permesso di procedere “con un affidamento diretto”, senza gara. Ma evidentemente il prodotto non era unico. La variazione ha cambiato l’oggetto stesso della sponsorizzazione iniziale e ha dunque “compromesso il vincolo ai principi generali dell’ordinamento”. Chissà se la Procura riterrà di guardare meglio questo e altri pareri critici dell’Anac.
Il Fatto quotidiano, 3 febbraio 2017