I dati pubblicati qualche giorno fa dall’Ufficio Nazionale di Statistica ci dicono che l’economia cinese è cresciuta del 4,5% nel primo trimestre dell’anno – totalizzando un PIL pari a circa 3.776 miliardi di euro – in linea con l’obiettivo per l’intero 2023 fissato a gennaio dal governo, ovvero una crescita intorno al 5%, e con la previsione – al rialzo – del Fondo Monetario Internazionale (+5,2%).
Si tratta così di un ritmo superiore rispetto al trimestre precedente, ultimo dell’anno scorso, quando il dato si era fermato ad un 2,9% grossomodo in linea con il dato dell’intero 2022 (+3%). Secondo quanto comunicato, nel secondo trimestre la tendenza dovrebbe consolidarsi e rafforzarsi con un’ulteriore accelerazione per poi probabilmente tornare a rallentare nei due trimestri successivi, ma semplicemente per il cosiddetto effetto base.
La piena ripresa dell’economia cinese è trainata in buona parte dai servizi, che hanno beneficiato della definitiva eliminazione dei provvedimenti di limitazione agli spostamenti. Nel primo trimestre il terziario, che ha visto aumentare la produzione a valore aggiunto del 5,4%, ha contribuito alla crescita per il 69,5%.
Tra i segmenti in ripresa rispetto al primo trimestre del 2022, i dati indicano alloggio e ristorazione (+13,6%), vendite al dettaglio dei beni di consumo (+5,8%), servizi di trasmissione di informazioni, software e tecnologia dell’informazione (11.2%). Il ritorno alla piena libertà di movimento e la riapertura dei confini ai viaggiatori provenienti dall’estero hanno dunque immediatamente consentito alla Cina di ripartire con forza, beneficiando anche dell’effetto moltiplicatore intrinseco ad eventi e manifestazioni di carattere B2B e B2C come la Fiera di Guangzhou – China Import and Export Fair, in svolgimento tra aprile e maggio, e la China International Consumer Products Expo (CICPE), conclusasi il 15 aprile scorso con un afflusso-record di 320.000 visitatori e 3.300 brand da 65 tra Paesi e regioni del mondo.
Riscontri positivi arrivano anche dalla produzione a valore aggiunto industriale, cresciuta del 3% rispetto al primo trimestre 2022, e dagli investimenti diretti esteri verso la Cina continentale, che nel primo bimestre sono aumentati del 6,1% su base annua, totalizzando flussi pari a circa 35,54 miliardi di euro, provenienti da numerose economie avanzate, inclusi Stati Uniti e Unione Europea.
I numeri smentiscono insomma la narrazione di un processo di de-globalizzazione in atto. Tutt’altro. E se anche alcuni settori, o specifici segmenti, registreranno tentativi – più o meno efficaci – di rimodulazione o riposizionamento delle catene del valore e delle catene logistiche, come ad esempio annunciato da Bruxelles per il mercato dei semiconduttori, questo non potrà in alcun modo minare la cooperazione internazionale e le dinamiche, ormai irreversibili, dell’interdipendenza globale tra le diverse aree del pianeta. Le ravvicinate visite in Cina di Emmanuel Macron, Ursula von der Leyen e Annalena Baerbock dimostrano che se l’Europa sta ancora curato le ferite profonde dello strappo con Mosca, un’analoga mossa verso Pechino avrebbe lo stesso effetto di un detonatore.
(L’autore Fabio Massimo Parenti è professore associato di studi internazionali e Ph.D. in Geopolitica e Geoeconomia)
2023-04-23